3 et 4bc. 23-23.25 et 54

Questa sequenza alfanumerica non è un codice misterioso o qualche tipo di strano algoritmo ma la serie dei versetti del salmo 77 che verranno proclamati nella liturgia della Parola di questa domenica, XVIII del tempo Ordinario anno B. Non migliore fortuna il nostro salmo la ha nelle altre occasioni in cui viene utilizzato come salmo responsoriale: sempre vivisezionato, con versetti presi qua e là nel testo (1). Non farebbe male, almeno nella meditazione personale, leggere il salmo 77 per intero, e nel contesto della prima lettura e del Vangelo di questa domenica ci accorgeremmo che sebbene lunga e dal genere letterario inconsueto (è classificato come salmo storico) tale composizione salmica è di aiuto e sostegno alla preghiera e alla meditazione in modo davvero interessante. A dire tutta la verità, non solo nel lezionario il salmo 77 conosce una limitazione, ma pure nella liturgia delle Ore la sua occorrenza è del tutto particolare e rischiò addirittura l’estromissione. Su questo avevamo già scritto alcuni post (2).  Ci si scuserà la riproposizione di interventi passati, ma approfittiamo di questo per avvisare che la pubblicazione di prossimi nuovi articoli sarà meno frequente: si avvicina anche per noi il riposto estivo e, a meno di ispirazioni eccezionali, ridurremo per qualche tempo il nostro impegno sul blog. Approfittiamo per incoraggiare i lettori che ci seguono a proporre eventuali loro riflessioni e contributi.

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(1) Cf. l’utile sussidio approntato da F. M. Arocena, Psalterium liturgicum, Vol. II Psalmi in Missalis Romani Lectionario, Città del Vaticano 2005, 58.

(2) Cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/08/ancora-sul-salmo-7778/ ; http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/10/salmo-7778-liturgia-fidelitatis/ ; cf. anche http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/14/ii-settimana-di-avvento-sabato-ufficio-delle-letture-un-approdo-non-scontato-per-un-salmo/

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La pagina citata alla nota 1

Un titolo e l’incipit davvero accattivanti, insieme ad alcuni scivoloni. Note su una lettura estiva.

E’ nella liturgia che la Scrittura è maggiormente a casa propria (1).

L’introduzione massiccia della Scrittura nel Messale […] costituisce indubbiamente il rinnovamento più spettacolare di tutto ciò che il Concilio ha fatto per la liturgia.

Queste due espressioni, la seconda delle quali è una citazione di A. Nocent (2), si trovano nelle prime pagine di un saggio dal titolo intrigante.

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Purtroppo dobbiamo segnalare già alcune imprecisioni, e neanche di poco conto: “Per tradurre in pratica le riforme liturgiche prescritte dalla costituzione, il concilio istituì nel gennaio 1964 una commissione denominata Consilium” (3). Non è proprio così: il Consilium, e la sua particolare struttura, fu una decisione di Paolo VI.

L’autore dice in verità di non volere presentare uno studio storico approfondito, e descrive in modo sintetico passaggi importanti e significativi; ma quell’errore è macroscopico. Siamo fiduciosi, tuttavia, che il proseguimento del libro riserverà annotazioni utili ed interessanti.

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(1) N. Bonneau, Il Lezionario Domenicale. Origine struttura teologia, Bologna 2012, 7.

(2) cit. A. Nocent, «La parole de Dieu et Vatican II», in P. Jounel – R. Kaczynski – G. Pasqualetti (edd.), Liturgia, opera divina e umana. Studi sulla riforma liturgica offerti a S.E. mons. Annibale Bugnini in occasione del suo 70° compleanno, Roma 1982, 36.

(3) Bonneau, Il Lezionario…,36.

‘Non è esagerato dire che l’attuazione della riforma liturgica….’: un’editoriale datato, ma ancora attualissimo.

Ci si perdonerà la lunga citazione, ma il testo seguente è troppo importante e significativo per le intenzioni del nostro blog. Si tratta di un editoriale, non firmato, ma senza dubbio opera di Salvatore Marsili. Il corsivo è nel testo, mentre qui evidenziamo alcuni passaggi con il carattere grassetto.

Una liturgia cristiana senza una lettura della Parola di Dio non è mai esistita, almeno come regola. Questo fatto da solo è già sufficiente a farci comprendere che un legame per sé indissolubile tiene strettamente unite tra loro la celebrazione del mistero cristiano e la proclamazione di esso nella Parola. Nei fatti però di questa indissolubilità è stata lungo la storia un’interpretazione molto e fin troppo riduttiva.

Lo schema liturgico e tradizionale che prevede sempre un’alternanza tra preghiera e lettura della Parola, sia nella celebrazione sacramentale che nella Liturgia deiie Ore, ha continuato ad essere materialmente mantenuto e osservato; ma nella realtà il posto della Parola nella liturgia non è stato sempre, dal primo Medioevo in poi, quello che veramente gli competeva. Mentre il calendario liturgico continuava a non prevedere, eccezione fatta per la Quaresima le Quattro Tempora e le ottave di Pasqua e Pentecoste, celebrazioni feriali dell’Eucaristia, queste di fatto si andarono moltiplicando e quando non interveniva la festa di un santo o una messa votiva, non si faceva che riprendere le letture della domenica precedente. Le stesse feste dei santi non avevano di solito delle letture proprie, ma si ricorreva a letture ‘comuni’, che naturalmente erano ripetutissime, dato il grande numero di santi che riempiva sempre di più il calendario.

E’ noto che dalla fine del Medioevo la ‘Liturgia delle Ore’ è stata chiamata ‘Breviario’: questo nome deve la sua orgine – anche se non esclusivamente – al fatto dell’abbreviamento cui in quel tempo erano state sottoposte le letture della Parola di Dio. Anche nel Breviario, come nel Messale. si era già affermato l’uso delle letture ‘comuni’ per la maggior parte delle feste dei santi; e benchè nella celebrazione domenicale e feriale si fosse conservato il principio della ‘lettura continua’ dei libri della Sacra Scrittura, di fatto questa lettura spesso si riduceva solo all’enunciazione di alcuni pochi versetti, per esempio dei profeti minori. Ma oltre che nella quantità, la Parola aveva subìto anche una riduzione di ruolo, per quanto riguarda la sua funzione liturgica. La lettura della Parola di Dio, che né si chiamava ‘Liturgia della parola’, né era pensata come tale, risultava praticamente solo ‘accostata’, e in posizione dichiaratamente secondaria, alla celebrazione del mistero. Sappiamo infatti che l’obbligo di partecipare alla celebrazione non includeva quello di ascoltare la lettura della parola di Dio, e questa d’altra parte non era valutata come quella che dava significato e contenuto alla celebrazione; le si riconosceva infatti solo una funzione di preparazione psicologico-spirituale, a sfondo moralistico, della celebrazione.

Una riforma liturgica, come doveva essere quella che il Vaticano II esigeva, non poteva né ignorare né mancare di risolvere il ‘problema liturgico’ – perché di questo ormai si trattava – che era costituito appunto dall’uso della Parola nella liturgia. Questo non poteva continuare ad essere quello che era; ma ciò importava che proprio rifacendosi ai principi organizzativi della tradizione liturgica, si disfacesse quasi per intero quel che la storia ci aveva trasmesso da una tradizione che nei fatti aveva spesso tradito se stessa, e si costruisse quindi un ordinamento di letture che in tutti i sensi meglio corrispondesse alle esigenze della liturgia, in modo che la celebrazione del Mistero di Cristo meglio apparisse, nella proclamazione della Parola, come attuazione continuata della storia della salvezza, di cui appunto la parola ci porta l’annuncio prima a livello di promessa e poi di realizzazione.

Questa è la ‘novità’ del Lezionario che la riforma ci ha dato tanto per la liturgia dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, quanto per la Liturgia delle Ore. Cercare una chiave di lettura per entrare in questa ‘novità’, vuol dire addentrarsi sempre più nella comprensione della liturgia; ma significa anche fare della celebrazione veramente ‘la mensa del Signore’, nella quale Cristo si comunica a noi nell’annunzio e nella realtà della parola di salvezza. Non è esagerato dire che l’attuazione della riforma liturgica è in rapporto diretto con la comprensione della funzione che la Parola ha nella liturgia, e a tale comprensione è mezzo quasi indispensabile il retto e adeguato uso del nuovo Lezionario.

Rivista Liturgica 70 (1983), Editoriale, 643-645

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Per altri post sul tema, cf. i seguenti:

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/04/forza-riconciliatrice-della-parola-di-dio-la-verbum-domini-e-protestante/

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/08/liturgia-della-parola-o-servizio-divino-dellistruzione/

Giona: questa volta, vincono gli anglofoni.

Non ho le competenze per muovermi con maestria nel delicato ambito delle traduzioni liturgiche, anche se conosco per sentito dire e per una davvero superficiale informazione le passate tensioni fra la Congregazione per il Culto Divino e la speciale commissione per l’inglese nella liturgia (International Commission on English in the Liturgy). Tuttavia posso dire qualcosa a riguardo del lezionario della messa di oggi, mercoledì della prima settimana di quaresima.

La prima Lettura (Giona 3,1-10), nel lezionario italiano è, secondo consuetudine, introdotta con “In quel tempo”. Il testo liturgico opera tuttavia una scelta ulteriore: “In quel tempo fu rivolta a Giona questa parola del Signore..”, mentre il testo biblico reciterebbe così: “Fu rivolta a Giova una seconda volta questa parola del Signore” (Gn 3,1).

Mi trovo in territorio statunitense, ed ho ascoltato nella proclamazione liturgica queste parole: “The word of the Lord came to Jonah a second time“. Non è un particolare da poco, quello che il lezionario liturgico italiano omette. Il testo inglese, più fedele alla Sacra Scrittura, permette il richiamo al retroscena della missione di Giona, dato forse non trascurabile per una migliore comprensione della pericope odierna. Sappiamo bene come abbia inizialmente resistito, il simpatico profeta Giona: ci pare un impoverimento il non ricordarlo, mentre ne viene proclamato il finale successo apostolico.

Questa volta, l’inglese nella liturgia si esprime meglio e con più fedeltà all’originale!

Su questo blog abbiamo già scritto su Giona, cf. qui

“Una stessa origine”: notazioni e assonanze in margine al Lezionario.

“Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine” (Eb 2,11): così uno dei versetti della prima lettura assegnata dal Lezionario alla celebrazione eucaristica odierna (Feria III, II settimana del tempo Ordinario I). La traduzione della Conferenza Episcopale italiana, sia nella versione attuale, sia in quella precedente, ha scelto di rendere con “origine” quello che nel greco è semplicemente ex enos pantes, [ex uno omnes, tutti da uno], con il pronome numerale al maschile. Pare quindi che i traduttori abbiano scelto un’interpretazione (1): la nota della Bibbia di Gerusalemme riferisce infatti: “si potrebbe anche tradurre secondo il contesto ‘colui che santifica e i santificati formano un tutt’uno’. I vv. seguenti insistono su questa comunione nella carne e nel sangue, che il Figlio di Dio ha voluto assumere, e introducono così il tema essenziale della lettera, quello di Cristo sommo sacerdote”.

Ora non possiamo entrare in questioni esegetiche, che non ci competono. É assai più interessante, dalla prospettiva di un liturgista, notare alcune assonanze, che ci fanno ritornare al realismo dell’Incarnazione che abbiamo appena celebrato nel Natale del Signore. Rendendo assai concreta quella “stessa origine”.
Ci riferiamo ad alcune espressioni della predicazione natalizia di San Leone Magno, cristallizzate nei suoi Sermoni (2).

La fonte di vita che Egli ha ricevuto nel seno della Vergine, l’ha riposta nel fonte del Battesimo, ha donato all’acqua ciò che ha donato alla madre: ‘la potenza dell’Altissimo e l’azione fecondatrice’ dello Spirito Santo, per cui Maria partorì il Salvatore, è la stessa che infonde nell’acqua battesimale il potere di rigenerare il credente. [Originem quam sumpsit in utero Virginis posuit in fonte baptismatis, dedit aquae quod dedit matri: virtus enim Altissimi et obumbratio Spiritus Sancti, quae fecit ut Maria pareret Salvatore, eadem facit ut regeneret unda credentium] (Sermone 5, 5.2)

E questa sua origine spirituale noi possiamo acquistarla mediante la rigenerazione, e per ogni uomo che rinasce l’acqua del Battesimo è come il grembo della Vergine: feconda il fonte battesimale il medesimo Santo Spirito che ha fecondato anche la Vergine [Cuius spiritualem originem in regeneratione consequimur, et omni homini renascenti aqua baptismatis instar est uteri virginalis, eodem sancto Spiritu replente fontem qui replevit et virginem] (Sermone 4, 3.3)

Un concetto analogo lo si trova anche in sant’Ambrogio: “Se dunque lo Spirito Santo scendendo sopra una vergine operò il concepimento e compì la funzione generativa, non si deve certo dubitare che lo Spirito, scendendo sul fonte o su quelli che ottengono il battesimo, operi la realtà della rigenerazione” [Si ergo superveniens Spiritus Sanctus in virginem conceptionem operatus est et generationis munus implevit, non est utique dubitandum, quod superveniens in fontem Spiritus, vel super eos, qui baptismum consequuntur, veritatem regenerationis operatur] (Sui misteri, 9,59).

La Collectio Missarum de Beata Maria Virgine presenta un’interessante formulario, che raccoglie questa intuizione patristica. L’introduzione alla Messa “Maria Vergine fonte di luce e di vita” (16. Tempo di Pasqua) recita:

I sacramenti dell’iniziazione cristiana, che molto opportunamente vengono celebrati durante la Veglia Pasquale, configurano i catecumeni a Cristo: nelle acque del Battesimo li rendono figli di Dio, con l’unzione crismale e l’imposizione delle mani effondono su di loro l’abbondanza dello Spirito Santo e con la comunione al pane della vita e al calice della salvezza li fanno concorporei di Cristo. I santi Padri insegnano con una certa insistenza che i misteri di Cristo, celebrati dalla vergine madre Chiesa nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, ebbero compimento nella vergine madre Maria (cfr Prefazio): lo Spinto che santifica il grembo della Chiesa – cioè il fonte battesimale – perché generi i figli di Dio, santificò il grembo di Maria perché desse alla luce il Primogenito di molti fratelli (cfr Eb 2,11-15). Lo stesso Spirito che il giorno di Pentecoste scese sulla Vergine Maria, viene effuso sui neofiti nella celebrazione del sacramento della Cresima; la carne e il sangue che Cristo offrì sull’altare della croce per la vita del mondo e che la Chiesa ogni giorno offre nel sacrificio eucaristico, sono la carne ed il sangue che la beata Vergine Maria generò per la nostra salvezza. In questa messa si ricorda il compito materno tanto della Chiesa quanto della Vergine Maria verso i fedeli. La maternità di Maria precede quella della Chiesa, di cui e figura ed esempio (cfr LG 63).

Di quel formulario riportiamo un segmento del prefazio: “Per un dono mirabile del tuo amore tu hai voluto che nei segni sacramentali si rinnovassero misticamente gli eventi della storia della salvezza vissuti dalla Vergine Madre. Così la Chiesa, vergine feconda, partorisce nelle acque del Battesimo i figli che ha concepito dalla fede e dallo Spirito”.

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(1) cf. lo spagnolo: Sanctificador y sanctificados, todos proceden de uno mismo; l’inglese: He who consecrates and those who are being consecrated all have one origin; il francese: Car celui qui sanctifie, et ceux qui sont sanctifies, doivent tous avoir même origine; il latino: Qui enim sanctificat et qui sanctificantur, ex uno omnes.
(2) Leone Magno, I Sermoni del ciclo natalizio (Biblioteca Patristica 31), ed. E. Montanari – M. Naldini – M. Pratesi, Fiesole (Fi) 1998.