‘Non è esagerato dire che l’attuazione della riforma liturgica….’: un’editoriale datato, ma ancora attualissimo.

Ci si perdonerà la lunga citazione, ma il testo seguente è troppo importante e significativo per le intenzioni del nostro blog. Si tratta di un editoriale, non firmato, ma senza dubbio opera di Salvatore Marsili. Il corsivo è nel testo, mentre qui evidenziamo alcuni passaggi con il carattere grassetto.

Una liturgia cristiana senza una lettura della Parola di Dio non è mai esistita, almeno come regola. Questo fatto da solo è già sufficiente a farci comprendere che un legame per sé indissolubile tiene strettamente unite tra loro la celebrazione del mistero cristiano e la proclamazione di esso nella Parola. Nei fatti però di questa indissolubilità è stata lungo la storia un’interpretazione molto e fin troppo riduttiva.

Lo schema liturgico e tradizionale che prevede sempre un’alternanza tra preghiera e lettura della Parola, sia nella celebrazione sacramentale che nella Liturgia deiie Ore, ha continuato ad essere materialmente mantenuto e osservato; ma nella realtà il posto della Parola nella liturgia non è stato sempre, dal primo Medioevo in poi, quello che veramente gli competeva. Mentre il calendario liturgico continuava a non prevedere, eccezione fatta per la Quaresima le Quattro Tempora e le ottave di Pasqua e Pentecoste, celebrazioni feriali dell’Eucaristia, queste di fatto si andarono moltiplicando e quando non interveniva la festa di un santo o una messa votiva, non si faceva che riprendere le letture della domenica precedente. Le stesse feste dei santi non avevano di solito delle letture proprie, ma si ricorreva a letture ‘comuni’, che naturalmente erano ripetutissime, dato il grande numero di santi che riempiva sempre di più il calendario.

E’ noto che dalla fine del Medioevo la ‘Liturgia delle Ore’ è stata chiamata ‘Breviario’: questo nome deve la sua orgine – anche se non esclusivamente – al fatto dell’abbreviamento cui in quel tempo erano state sottoposte le letture della Parola di Dio. Anche nel Breviario, come nel Messale. si era già affermato l’uso delle letture ‘comuni’ per la maggior parte delle feste dei santi; e benchè nella celebrazione domenicale e feriale si fosse conservato il principio della ‘lettura continua’ dei libri della Sacra Scrittura, di fatto questa lettura spesso si riduceva solo all’enunciazione di alcuni pochi versetti, per esempio dei profeti minori. Ma oltre che nella quantità, la Parola aveva subìto anche una riduzione di ruolo, per quanto riguarda la sua funzione liturgica. La lettura della Parola di Dio, che né si chiamava ‘Liturgia della parola’, né era pensata come tale, risultava praticamente solo ‘accostata’, e in posizione dichiaratamente secondaria, alla celebrazione del mistero. Sappiamo infatti che l’obbligo di partecipare alla celebrazione non includeva quello di ascoltare la lettura della parola di Dio, e questa d’altra parte non era valutata come quella che dava significato e contenuto alla celebrazione; le si riconosceva infatti solo una funzione di preparazione psicologico-spirituale, a sfondo moralistico, della celebrazione.

Una riforma liturgica, come doveva essere quella che il Vaticano II esigeva, non poteva né ignorare né mancare di risolvere il ‘problema liturgico’ – perché di questo ormai si trattava – che era costituito appunto dall’uso della Parola nella liturgia. Questo non poteva continuare ad essere quello che era; ma ciò importava che proprio rifacendosi ai principi organizzativi della tradizione liturgica, si disfacesse quasi per intero quel che la storia ci aveva trasmesso da una tradizione che nei fatti aveva spesso tradito se stessa, e si costruisse quindi un ordinamento di letture che in tutti i sensi meglio corrispondesse alle esigenze della liturgia, in modo che la celebrazione del Mistero di Cristo meglio apparisse, nella proclamazione della Parola, come attuazione continuata della storia della salvezza, di cui appunto la parola ci porta l’annuncio prima a livello di promessa e poi di realizzazione.

Questa è la ‘novità’ del Lezionario che la riforma ci ha dato tanto per la liturgia dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, quanto per la Liturgia delle Ore. Cercare una chiave di lettura per entrare in questa ‘novità’, vuol dire addentrarsi sempre più nella comprensione della liturgia; ma significa anche fare della celebrazione veramente ‘la mensa del Signore’, nella quale Cristo si comunica a noi nell’annunzio e nella realtà della parola di salvezza. Non è esagerato dire che l’attuazione della riforma liturgica è in rapporto diretto con la comprensione della funzione che la Parola ha nella liturgia, e a tale comprensione è mezzo quasi indispensabile il retto e adeguato uso del nuovo Lezionario.

Rivista Liturgica 70 (1983), Editoriale, 643-645

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Per altri post sul tema, cf. i seguenti:

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/04/forza-riconciliatrice-della-parola-di-dio-la-verbum-domini-e-protestante/

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/08/liturgia-della-parola-o-servizio-divino-dellistruzione/

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