La preghiera sulle Offerte della XVI domenica del tempo Ordinario è un gioiello di teologia liturgica e un esempio senza pari di come la liturgia possa aiutare a compendiare in una sintesi mirabile numerose pagine della Sacra Scrittura.
Crediamo che a partire da questa preghiera si possano scrivere interi trattati; qui, in questi prossimi giorni, cercheremo di offrire qualche semplice elemento per apprezzarne meglio il significato e la portata.
Cominciamo dalla lettera stessa del testo. Ma non sembri facile la questione, perché sull’interpretazione e traduzione di un solo verbo si decidono comprensioni delicate. Ecco la prima parte del testo latino: «Deus qui legalium differentiam hostiarum unius sacrifici perfectione sanxisti, …»
La versione italiana ufficiale recita: «O Dio, che nell’unico e perfetto sacrificio di Cristo hai dato valore e compimento alla tante vittime della legge antica…». Il traduttore italiano, quindi, riconosce la complessità di quel «sanxisti», tanto da renderlo con una duplice espressione. La soluzione però apre altre domande: se una realtà deve essere portata a compimento perché abbia valore, allora che senso può avere in sé stessa? Il compimento, che è una realtà altra, come può avvalorare la prima realtà, senza manifestarla come passata e, quindi, ormai caduca? Eppure, non sembra che nella liturgia abbia spazio una sorta di marcionismo, ossia la negazione in toto degli elementi anticotestamentari dall’ambito della fede cristiana (1). Prima di continuare, vediamo pure le traduzioni in alcune altre lingue europee:
F. Dans l’unique et parfait sacrifice de la croix, tu as porté à leur achèvement, Seigneur, les sacrifices de l’ancienne loi…
S. Oh Dios, que has llevado a la perfección del sacrificio único los diferentes sacrificios de la antigua alianza..
P. Senhor, que levastes à plenitude os sacrifícios da Antigua Lei no único sacrifício de Cristo..
I. O God, who in the one perfect sacrifice brought to completion various offerings of the law..
Al momento non riusciamo a reperire la versione tedesca. Una nota interessante l’abbiamo tuttavia trovata in alcune riflessioni del benedettino Burkhard Neunheuser, in un articolo sul sacrificio. Lui introduce un termine tedesco: su wikipedia si trova una definizione interessante: «Aufheben o Aufhebung è una parola tedesca che assume diversi significati, alcuni dei quali sembrano contraddittori, tra cui “sollevare”, “sopprimere”, o “sublimare”. Il termine può anche essere tradotto con “preservare” e “trascendere.”». Di nuovo troviamo l’apparente contraddizione: sopprimere e trascendere….
Ci aiuteranno a trovare una pista per la soluzione sia il testo di Neunheuser sia, poi, una riflessione magistrale di Benedetto XVI, che pur nel nascondimento del recinto di San Pietro, continua a dispensare sintesi eccezionali: anche se il discorso è più generale sulla missione e sui rapporti fra cristianesimo e religioni, la profondissima sintesi del Papa emerito ci aiuterà a trovare una strada. Le osservazioni qui riportate sono solo spunti iniziali, ma hanno tutto il loro valore già da ora! Potrebbero essere certamente meglio approfondite e ampliate, ma sono di per sé assai gustose.
..tutti questi sacrifici hanno trovato il loro ultimo compimento e di conseguenza anche il loro superamento (Aufhebung) nella morte sacrificale di Gesù Cristo, come afferma in termini classici la preghiera sulle offerte della domenica XVI per annum del nuovo Messale Romano: “O Dio, che alla tante vittime della legge antica hai dato valore e compimento nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo…” […] Nella visuale di questa interpretazione “il sacrificio di Gesù sulla croce segna il compimento e l’abolizione di tutti i sacrifici antichi”. Abolizione, qui, significa certamente la fine, il superamento definitivo del culto sacrificale anteriore, ma contemporaneamente e soprattutto il suo più vero compimento. Quel che in tale culto era prefigurato in maniera vaga, ora è verità e realtà perfetta. Noi perciò possiamo già sentire e presagire quel che il sacrificio di Cristo è, guardando alle prefigurazioni umbratili che Dio che ce na ha dato nella storia del popolo di Israele
B. Neunheuser, «Sacrificio», in D. Sartore – A. M. Triacca (edd.), Nuovo Dizionario di Liturgia, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 1200-1201.
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L’opinione comune è che le religioni stiano per così dire una accanto all’altra, come i Continenti e i singoli paesi sulla carta geografica. Tuttavia questo non è esatto. Le religioni sono in movimento a livello storico, così come sono in movimento i popoli e le culture. Esistono religioni in attesa. Le religioni tribali sono si questo tipo: hanno il loro momento storico e tuttavia sono in attesa di un incontro più grande che le porti alla pienezza. Noi, come cristiani, siamo convinti che, nel silenzio, esse attendano l’incontro con Gesù Cristo, la luce che viene da Lui, che sola può condurle alla loro verità. E Cristo attende loro. L’incontro con Lui non è l’irruzione di un estraneo che distrugge la loro propria cultura e la loro propria storia. E’, invece, l’ingresso in qualcosa di più grande, verso cui esse sono in cammino. Perciò quest’incontro è sempre, a un tempo, purificazione e maturazione. Peraltro, l’incontro è sempre reciproco. Cristo attende la loro storia, la loro saggezza, la loro visione delle cose. Oggi vediamo sempre più nitidamente anche un altro aspetto: mentre nei Paesi della sua grande storia il cristianesimo per tanti versi è divenuto stanco e alcuni rami del grande albero cresciuto dal granello di senape del Vangelo sono divenuti secchi e cadono a terra, dall’incontro con Cristo delle religioni in attesa scaturisce nuova vita. Dove prima c’era solo stanchezza, si manifestano e portano gioia nuove dimensioni della fede.
La religione in sé non è un fenomeno unitario. In essa vanno sempre distinte più dimensioni. Da un lato c’è la grandezza del protendersi, al di là del mondo, verso l’eterno Dio. Ma, dall’altro, si trovano in essa elementi scaturiti dalla storia degli uomini e dalla loro pratica della religione. In cui posso rinvenirsi senz’altro cose belle e nobili, ma anche basse e distruttive, laddove l’egoismo dell’uomo si è impossessato della religione e, invece che in un’apertura, l’ha trasformata in una chiusura del proprio spazio.
Per questo, la religione non è mai semplicemente un fenomeno solo positivo o solo negativo: in essa l’uno e l’altro aspetto sono mescolati. Ai suoi inizi, la missione cristiana percepì in modo molto forte soprattutto gli elementi negativi delle religioni pagani nelle quali s’imbattè. Per questa ragione, l’annuncio cristiano fu in un primo momento estremamente critico della religione. Solo superando le loro tradizioni che in parte considerava pure demoniache, la fede poté sviluppare la sua forza rinnovatrice. Sulla base di elementi di questo genere, il teologo evangelico Karl Barth mise in contrapposizione religione e fede, giudicando la prima in modo assolutamente negativo quale comportamento arbitrario dell’uomo che tenta, a partire da se stesso, di afferrare Dio. Dietrich Bonhoeffer ha ripreso questa impostazione pronunciandosi a favore di un cristianesimo “senza religione”. Si tratta senza dubbio di una visione unilaterale che non può essere accettata. E tuttavia è corretto affermare che ogni religione, per rimanere nel giusto, al tempo stesso deve anche essere sempre critica della religione. Chiaramente questo vale, sin dalle sue origini e in base alla sua natura, per la fede cristiana, che, da un lato, guarda con rispetto alla profonda attesa e alla profonda ricchezza delle religioni, ma, dall’altro, vede in modo critico anche anche ciò che è negativo. Va da sé che la fede cristiana deve sempre di nuovo sviluppare tale forza critica anche rispetto alla propria storia religiosa. Per noi cristiani Gesù Cristo è il Logos di Dio, la luce che ci aiuta a distinguere tra la natura della religione e la sua distorsione.
Benedetto XVI, Messaggio per l’Intitolazione dell’Aula Magna a Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI,
Città del Vaticano, 21 Ottobre 2014, I.
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(1) In uno studio di solito molto preciso e valido, troviamo una versione alquanto differente di una possibile traduzione italiana: «Dio, che ponesti fine alla molteplicità delle vittime della Legge antica con la perfezione di un unico sacrificio..»: M. F. T. Lovato, Messale Romano. Le orazioni proprie del tempo, nuova versione con testo latino e fonti, Reggio Emilia 1991, 401.