Rovesciamento delle sorti: questo potrebbe essere uno dei tanti concetti capaci, insieme ad altri, di sintetizzare il mistero dell’Ascensione. Certamente, le immagini e la terminologia legati a coordinate spaziali (alto/basso, terra/cielo, etc.) ci possono aiutare ad avvicinarne il contenuto, ma non ci si può fermare a tale rivestimento.
Prendiamo in prestito alcune considerazioni dell’allora giovane professore J. Ratzinger, dal suo insuperabile commento al Simbolo della fede. Addentrandosi nell’analisi degli ultimi due articoli cristologici, annota:
«E’ senz’altro certo che tale concezione (la disposizione del mondo localmente pianificata su tre scaglioni) ha offerto il materiale ideologico per formularli (gli asserti di fede concernenti la discesa agli inferi e l’ascensione al cielo); ma è anche altrettanto certo che non ha costituito il fattore sostanziale e decisivo. I due articoli di fede esprimono invece, assieme alla professione di fede nel Gesù storico, l’intera dimensione dell’esistenza umana, che non abbraccia affatto tre piani cosmici, ma sottende invece tre dimensioni metafisiche» (1)
La liturgia ha saputo mantenere il linguaggio legato alla cosmologia tradizionale e al dato del Nuovo Testamento, nelle sue descrizioni dell’evento, coniugandolo e arricchendolo con altre immagini e concetti. Lo vedremo fra pochissimo: ci piace, prima, riportare un’altra espressione, sempre di Ratzinger, ormai parecchio più maturo e Papa, ma sempre caratterizzato da una freschezza ed una vivacità inaspettate:
«Non è un percorso di carattere cosmico-geografico di cui qui si tratta, ma è la navigazione spaziale del cuore che conduce dalla dimensione della chiusura in se stessi alla dimensione nuova dell’amore divino che abbraccia l’universo» (2).
Una navigazione spaziale del cuore, che un tempo ha potuto invertire le ordinarie leggi della fisica e che, con ben maggiore rilevanza, ha reso possibile un rovesciamento inaudito.
Ecco come lo dice la liturgia, in uno dei suoi modi:
Tremunt videntes angeli / versam vicem mortalium / culpat caro, purgat caro / regnat caro Verbum Dei [Gli angeli tremano nel vedere mutata la sorte dei mortali, la carne cade nella colpa, la carne la purifica, e la carne regna nel Verbo di Dio] (3)
In un altro passaggio si dice che Gesù Cristo asceso al cielo ha presentato al Padre la gloria di una carne ormai vittoriosa (victricis carnis gloriam)! La celebrazione del Triduo pasquale ha rievocato il duello affrontato dalla «carne» dell’umanità di Cristo, la dimensione sostitutiva e vicaria (dal latino vicis!) di tale mistero salvifico. L’ascensione (e compiutamente la Pentecoste) celebra uno degli aspetti finali della dinamica pasquale: il rovesciamento, la mutazione, l’avvicendamento delle sorti dei mortali arriva al punto che è possibile affermare che la nostra vita è ormai nascosta, con Cristo, in Dio: la sua umanità, la sua carne gloriosa, in vece della mia, già possiede la gloria dell’eternità. Se la carne ad un tempo è segno della debolezza, della fragilità caduca e colpevole di Adamo, ora in Cristo, in-vece, la carne espia la colpa, e sana (4), e vince. Tutto questo, raccogliendolo, la liturgia lo sa dire in poche parole, le parole di una sola strofa di un inno!
(1) J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, Brescia 1986, 254. «La realtà del cielo nasce invece in primo luogo dall’intimo incontro fra Dio e l’uomo. Il cielo va definito come la presa di contatto fra la natura dell’uomo e la natura di Dio: ora, tale stretta fusione fra Dio e l’uomo si è definitivamente attuata in Cristo, col superamento dello stadio biologico da lui operato passando attraverso la morte per giungere alla nuova vita. Il cielo è quindi quel futuro dell’uomo e dell’umanità che quest’ultima non può darsi da sé, e perciò le rimane precluso intanto che essa bada solo a sé stessa; per fortuna sua però, esso le è stato per la prima volta e decisamente aperto nell’uomo avente il suo centro esistenziale in Dio, nell’uomo tramite il quale Dio si è inserito nella natura umana» (Ibid., 256).
(2) J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano 2011, 317.
(3) Se è un vero peccato che il salterio italiano non abbia tradotto questo Inno per l’Ascensione (Aeterne rex altissime), riconosciamo almeno la buona decisione di riportarne il testo latino, di seguito all’Inno italiano proposto per l’Ufficio delle Letture che è la versione tradotta dell’Hic est dies verus Dei. Forse è stato mantenuto l’inno pasquale per conservare, almeno per l’Ufficio delle Letture, una certa uniformità della cinquantina pasquale?
(4) Possiamo ricordare un verso dell’Inno pasquale Hic est dies verus Dei, analogo nell’immagine contrastante e paradossale: carnis vitia mundans caro.