“Non finisce di stupirmi per le arcane verità che richiama….”

“Non finisce di stupirmi per le arcane verità che richiama”: così Cirillo di Gerusalemme parla del tema del paradiso, nella sua tredicesima catechesi battesimale (1). Mentre la stavamo rileggendo, ci ritornavano in mente alcune sottolineature che avevamo già evidenziato; questi collegamenti mostrano l’affascinante ricchezza della liturgia, che davvero trae fuori dal vasto tesoro della tradizione, di oriente e di occidente, le perle preziose che offre ai suoi cultori attenti.

Ecco alcune espressioni, con i link a qualche post più datato:

La croce, l’albero scelto ab aeterno: “Alla caduta che avvenne nel paradiso terrestre corrisponde la salvezza che si compì nel giardino degli Ulivi; dal legno ebbe origine il peccato, legno segnò la fine del peccato. […] Con il legno la Scrittura mette sempre in rapporto la vita. Già ai tempi di Noè, infatti, salvò la vita l’arca di legno. Poi, ai tempi di Mosè, il mare ebbe timore dinanzi al segno della verga con cui egli lo percosse: se tanto potere ebbe la verga di Mosè, vorremmo negarlo dunque alla croce del Salvatore? […] Adamo cadde a causa del legno, tu [riferito al buon ladrone] sarai introdotto in paradiso per mezzo del legno: Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi, XIII, 19-20.31. Cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/18/ipse-lignum-tunc-notavit-ancora-sulla-teologia-della-storia-a-partire-dal-legno-della-croce/

La grazia rapidissima: “Quale potenza, o ladrone, ti ha illuminato? Chi ti ha insegnato ad adorare chi subiva come te il disonore della crocifissione? O Luce eterna che illumini quanti sono immersi nelle tenebre, per mezzo tuo egli poté a buon diritto ascoltare quelle parole: ‘Confida nella grazia che ti dà il re accanto al quale tu sei, non nelle tue opere per cui nessuno oserebbe sperare’. La domanda non richiedeva di essere subito esaudita, ma la grazia venne rapidissima: ‘In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso; […] O grazia veramente grande, ineffabile! Il fedele Abramo non era ancora entrato in paradiso, e vi entrò il ladrone; non vi erano entrati ancora né Mosè né i profeti, e vi entrò un ladrone eslege: se ne meravigliò prima di te Paolo, che esclamò: ‘Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia!’. Quelli che hanno sopportato il caldo del giorno non sono ancora entrati, e già entrano gli operai dell’ora undecima: Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi, XIII,31. Cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/11/23/un-ladrone-impunito-una-fede-breve-e-veloce-misericordia-questo-e-il-regno-di-dio

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(1) Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi. Edizione: Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi (Collana di testi patristici 103), C. Riggi (ed.), Roma 1997².

La “polvere” quaresimale, a chi deve essere ricordata? La liturgia risponde, a suo modo: incredibili capovolgimenti a partire da un Inno della liturgia delle ore.

Dopo averlo pregato per tutta la quaresima, ci apprestiamo a congedare l’inno Precemur omnes cernui, nella versione italiana conosciuto con l’incipit “Nella santa assemblea”. Si deve riconoscere che la recitazione corale prolungata rende familiare e gradito il testo italiano, il quale, tuttavia, non pare proprio una traduzione fedele dell’originale latino di riferimento. Non vogliamo mettere in discussione, un’altra volta, il valore delle traduzioni, che del resto in questo non sembra nemmeno tanto malriuscita (1), quanto piuttosto far risaltare meglio il retroterra biblico soggiacente al testo latino, forse meno apprezzabile nella nuova versione in italiano: in quest’ultimo aspetto non siamo del tutto d’accordo nella valutazione del lavoro del traduttore quando Lodi afferma: “In questi settenari si rispecchia assai fedelmente la tematica penitenziale del testo originale” (2). Crediamo che le risonanze bibliche che echeggiano in alcuni stichi dell’inno liturgico siano assai ben più ricche e sorprendenti: ci riferiamo a quella parte del testo in cui per un attimo la considerazione delle proprie colpe diventa, quasi paradossalmente, maggiore audacia nell’invocare una clemenza particolare, per suscitare, in Dio, una nuova iniziativa di amore.

Memento quod sumus tui, licet caduci, plasmatis; ne des honorem nominis tui, precamur, alteri. [Non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria. / Ricorda che ci plasmasti col soffio del tuo Spirito: siam tua vigna, tuo popolo e opera delle tue mani.]

In vari passi della Bibbia l’orante si arrende definitivamente, confessando l’invincibilità delle proprie colpe e, in tal modo, affidandole ultimamente a Dio: la fragilità umana è un dato di fatto, quasi connaturale, ma tale umile riconoscimento è tutt’altro che pessimismo inquietante. Pare, infatti, che proprio una tale confessione di impotenza permetta un’ultima audacia: tu ci hai fatti, Signore! Siamo opera delle tue mani, “ricordati che come argilla mi hai plasmato” (Gb 10,9). La confessione della fragilità diventa una supplica che rende necessario e indispensabile l’intervento misericordioso di Dio (3). Ne va del suo onore! Di fronte alla pervicace perversione di Israele, le grandi preghiere penitenziali di Baruc e di Daniele si appoggiano sulla grandezza di Dio per muoverlo alla compassione: agisci per il tuo nome, difendi la tua gloria: “Non ricordare le ingiustizie dei nostri padri, ma ricordati ora della tua potenza e del tuo nome, poiché tu sei il Signore, nostro Dio, e noi ti loderemo, Signore” (Bar 3,5-6); “Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, perché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo” (Dan 9,19). Anche in alcuni passi del profeta Isaia si trovano simili contenuti, e proprio dal profeta Isaia il traduttore italiano pare abbia preso le parole di alcuni stichi dell’inno: “Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. […] Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo? (Is 64,7-8.11). Un altro grande intercessore osò di più: insinuò che abbandonare alla sua invincibile malvagità il popolo avrebbe significato per Dio una pessima fama, non consona alla sua santa dignità: “Ora, se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama diranno: ‘Siccome il Signore non riusciva a condurre questo popolo nella terra che aveva giurato di dargli, li ha massacrati nel deserto’. Ora si mostri grande la potenza del mio Signore” (Nm 14,15-17a) (4). E sembra davvero che Dio “tenga” alla sua fama, se per bocca di Isaia dice più volte: “Io sono il Signore: questo è il mio nome; non cederò la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli” (Is 42,8); “Per riguardo a me, per riguardo a me lo faccio; altrimenti il mio nome verrà profanato. Non cederò ad altri la mia gloria” (Is 48,11). Si dovrebbe approfondire l’indagine anche relativamente all’espressione “caduci” [licet caduci, plasmatis], ma ciò allungherebbe eccessivamente questo semplice post. Ci piace, piuttosto, ritornare a sottolineare la prodigiosa libertà con cui la liturgia sceglie le parole della Scrittura, ridicendole in altri modi: qui la confessione della fragilità diventa invocazione, e la preghiera “ricorda” a Dio le sue stesse parole, che in bocca al penitente che protesta la sua umiltà, sono sicura garanzia di salvezza. All’inizio della Quaresima, la preghiera della Chiesa ci ricordava la nostra caducità e il nostro essere polvere [memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris]; ebbene, per chi ha potuto ascoltare ogni giorno le parole della preghiera innodica e le ha fatte sue meditandole e approfondendole, può verificarsi un curioso capovolgimento: ora si può ricordarla a Dio, la nostra fragilità, e fare della propria polvere una preghiera fiduciosa e un appiglio, un pretesto ed un’occasione perché Dio si muova a salvezza. Un umile penitente, a cui è stato ricordato il suo essere polvere, può ora ricordarlo a Dio: guarda, Signore, sono polvere: ricordartelo! E salvami!

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(1) “Meritano attenzione due passaggi felici. Il primo è l’inserzione dello Spirito Santo nella terza strofa (‘Ricorda che ci plasmasti con il soffio del tuo Spirito’), mentre nel latino esiste solo una frase (‘ne des honorem nominis tui, praecamur alteri’) che ha trovato un’elegante versione:'”Non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria’. L’altro è la menzione dell’iter pasquale (‘guidaci con la tua grazia alla vittoria pasquale’), che pure manca nel latino. Dunque si deve riconoscere un arricchimento nel testo italiano.”: E. Lodi, “L’innario della liturgia oraria nell’opera poetica di L. Gherardi”, in La cupola fra le torri. Scritti per mons. Luciano Gherardi nel 50° di ordinazione sacerdotale, G. Matteuzzi – S. Ottani (edd.), Bologna 1992, 108.

(2) Ibid.

(3) Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere [ipse cognovit figmentum nostrum. Recordatus est quoniam pulvis sumus]: Sal 103(102),13-14. Cf. anche Sal 89(88),47-48: Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto: per sempre? Arderà come fuoco la tua collera? Ricorda quanto è breve la mia vita: invano forse hai creato ogni uomo?

(4) Cf. anche Dt 9,26-29: Pregai il Signore e dissi: ‘Signore Dio, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai riscattato nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo e alla sua malvagità e al suo peccato, perché la terra da dove ci hai fatto uscire non dica: Poiché il Signore non era in grado di introdurli nella terra che aveva loro promesso e poiché li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto. Al contrario, essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu hai fatto uscire dall’Egitto con grande potenza e con braccio teso”.

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Infine, può essere interessante guardare alcune altre traduzioni della nostra strofa: Erinnere dich, daß wir deine, wenn auch hinfälligen, Geschöpfe sind, und gib die Ehre deines Namens, wir bitten dich, nicht dem andern preis.

Ricorda che, benché fragili, siamo opera delle tue mani; ti preghiamo: non dare ad altri l’onore del tuo nome. (Sebbene tanto deboli noi siamo tuoi, ricordati: ad altri Tu non cedere del nome tuo la gloria).

Remember we belong to you though members of the fallen flesh; do not we pray to others give the signal glory of your name. (Remember Lord though frail we be that yet thine handiwork are we. Nor let the honor of thy name be by another put to shame).

Souvenez-vous de vos travaux. Car, tombés nous restons votre œuvre. Veuillez ne pas céder à l’Autre la gloire due à votre Nom.

L’espressione francese “Souvenez-vous de vos travaux” ci fa ritornare in mente una strofa del Dies Irae: Quarens me, sedisti lassus, redemisti Crucem passus: tantus labor non sit cassus. Ma ora dobbiamo proprio fermarci!

Le carte di Mons. Bugnini: damnatio memoriae, omissione o mistero? Note sul Concilio inedito

E’ del tutto evidente di quanto la consultazione degli archivi sia imprescindibile per una ricerca storica seria e fondata. Tale principio vale anche per la storia del Concilio Vaticano II e per i suoi documenti. Il testo della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium ha un valore assoluto in sé, ed è il riferimento obbligato per ogni ermeneutica; ciò non sminuisce, però, l’importanza e l’utilità della consultazione delle carte e delle note dei vescovi e dei periti che lavorarono alla redazione del testo. In quest’opera di ricerca, nel mare magnum degli archivi istituzionali e dei fondi privati, strumento preziosissimo è lo studio, pubblicato a cura di Massimo Faggioli e Giovanni Turbanti, Il Concilio inedito. Fonti del Vaticano II. In esso si possono trovare, oltre ai riferimenti dei principali centri di raccolta dei documenti e della ricerca sul Vaticano II, i risultati di una davvero ampia consultazione sui fondi locali e sulle carte di numerosissimi attori dell’evento conciliare, vescovi e periti. Al nome della singola persona o istituzione è associata una breve descrizione del ruolo avuto al Concilio, cui segue l’esito dell’indagine sulla documentazione ed, eventualmente, l’indicazione dell’ubicazione del fondo archivistico.

Scorrendo il repertorio, di cui più sotto offriamo qualche esempio, non mancano le sorprese. Uno studioso della Sacrosanctum Concilium non può, infatti, trattenersi dall’andare a cercare, prima di tutto, indicazioni circa Annibale Bugnini, il segretario della commissione conciliare preparatoria. Ebbene, nello studio in questione non si troverà alcuna indicazione a proposito. Come interpretare tale lacuna: una sorta di damnatio memoriae? Una dimenticanza? Lo sgomento potrebbe aumentare notando che simile sorte è riservata anche per il segretario della commissione conciliare per la liturgia, Ferdinando Antonelli: pure di lui non vi è alcuna menzione. Rimane pertanto il mistero circa le carte di Bugnini. Per i due protagonisti principali, almeno in quanto coordinatori dei periti, della redazione della Costituzione liturgica, rimane ancora non accessibile la loro personale documentazione (1).

Repertorio delle fonti indagate per la storia del concilio Vaticano II

Botte Bernard o.s.b. (direttore dell’Istituto superiore di Liturgia di Paris; consultore della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti sono essere (sic!) conservati presso l’Abbazia di Keizersberg/Mont-César a Leuven.

[…]

Braga Carlo c.m (minutante della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti conciliare sono conservati presso il Collegio Leoniano a Roma; presso ISR è conservata copia di alcuni documenti. (p. 58)

[…]

Cannizzaro Giovanni Bruno o.s.b. (membro della commissione preparatoria per la liturgia): presso la biblioteca del monastero benedettino di Quarto Castagna (Genova) sono state reperite alcune lettere relative al breve periodo in cui partecipò alla commissione; alcuni suoi documenti sono presenti presso il “Centre National de Pastoral Liturgique” di Paris. Copia di alcuni documenti è conservata presso ISR.

Capelle Bernard o.s.b. (abate di Keizersberg/Mont-César – Leuven; consultore della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti dovrebbero essere conservati presso l’abbazia di Keizersberg/Mont-César a Leuven. (p. 61)

[….]

Daniélou Jean s.j. (perito conciliare): i suoi documenti sono conservati presso l’Archivio della Provincia francese dei gesuiti a Vanves. Presso ISR è disponibile un inventario parziale del fondo documentario. (p. 70)

[…]

Diekmann Godfrey o.s.b (consultore della commissione preparatoria per la liturgia, poi perito conciliare): le sue carte sono conservate presso la “Saint John’s University of Collegeville” (Minnesota – USA). (p. 75-76)

[…]

Jenny Henry (ausiliare, poi coadiutore con diritto di successione di Cambrai – Francia; membro della commissione preparatoria per la liturgia): le carte sono conservate presso l’archivio diocesano di Cambrai e in fotocopia presso il “Centre de Pastoral Liturgique” a Paris; un inventario parziale del fondo e copia di alcuni documenti sono presenti presso ISR

Jounel Pierre (consultore per la commissione preparatoria per la liturgia): le sue carte sono conservate presso il “Centre de Pastoral Liturgique” di Paris. Presso ISR si trova copia di alcuni documenti. (p. 97)

[…]

Martimort Aimé Georges (consultore della commissione preparatoria per la liturgia e poi perito conciliare): ha conservato presso di sé la documentazione personale. (p. 108)

Il Concilio inedito. Fonti del Vaticano II (Testi e ricerche di scienze Religiose, Fonti e strumenti di ricerca 1), M. Faggioli – G. Turbanti (edd.), Bologna 2001

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(1) Sono certamente fondamentali due studi: il primo, del Bugnini stesso, La riforma liturgica (1948-1975), Roma 1997², e il secondo, N. Giampiero, Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Roma 1998. Tuttavia crediamo che l’accesso diretto alle carte possa fornire ulteriori elementi e portare nuova luce su passaggi ancora non del tutto chiari. In questo campo non manca chi consideri l’opera del Bugnini una troppo sbilanciata apologia pro domo sua, e pure lo studio di Giampietro non pare immune da parzialità ed omissioni (cf., ad es., https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/24/commissio-conciliaris-de-liturgia-le-adunanze-con-un-convitato-di-pietra/).

Sacrement de la Réconciliation et parole de Dieu (seconda parte)

A beneficio, sopprattutto, dei lettori di lingua francese, la seconda e ultima parte del nostro contributo, pubblicato nel volume Faire pénitence…

lex orandi per il flie in pdf, cliccare sul link: Sacrement de la Réconciliation (2)

qui la prima parte: Sacrement de la Réconciliation (1)

M. Felini, “Sacrement de la réconciliation et parole de Dieu dans la réforme postconciliaire”, in Faire pénitence, se laisser réconcilier. Le sacrement comme chemin de prière, H. Bricout – P. Prétot (edd.), Paris 2013, 55-67.

Sacrement de la réconciliation et parole de Dieu (prima parte)

Ecco il testo del contributo pubblicato in Faire pénitence, se laisser réconcilier. Le sacrement comme chemin de prière, H. Bricout – P. Prétot (edd.), Paris 2013: M. Felini, “Sacrement de la réconciliation et parole de Dieu dans la réforme postconciliaire”, 55-67.

Dans un contexte marqué par des contestations de la réforme liturgique postconciliaire, il peut être intéressant de s’arrêter sur un aspect particulier du nouveau Rituel qui semble se présenter en discontinuité par rapport à l’édition précédente. Parmi d’autres éléments, le Rituel de la pénitence publié sous l’autorité de Paul VI comporte un fait significatif…..

qui è possibile scaricare la prima parte del testo: Sacrement de la Réconciliation (1)

“Faire pénitence, se laisser réconcilier…”: prima la recensione e poi l’articolo

Secondo quanto anticipato qualche tempo fa, possiamo postare qui una parte della recensione, apparsa su Ecclesia Orans, del volume Faire pénitence, se laisser réconcilier, nella collana Lex Orandi delle Editions Du Cerf, nel quale abbiamo avuto l’onore di pubblicare un nostro contributo. A beneficio di quanti seguono il blog e possono legggere in francese riportiamo la recensione (1), ora, e quindi l’articolo completo.

L’année 2013 a vu non seulement le cinquantième anniversaire de la Constitution Sacrosanctum Concilium, mais aussi le soixante-dixième du Centre de Pastorale Liturgique (CPL) de Paris. Les diverses activités du CPL on vivifié le mouvement liturgique dans la deuxième moitié du vingtième siècle, et par là ont joué un role décisif dans la préparation de la Constitution sur la sainte Liturgie. Entre autres, la célèbre collection Lex Orandi, lancée dès 1944, a su nourrir la réflexion liturgique avant et après le Concile. Relayée sous le titres de «Rites et symbole» puis de «Liturgie», la voici qui renait sous son appellation d’origine, à l’occasion de cette année commémorative. On ne peut que se réjouir de cette heureuse initiative qui laisse espérer un espace éditorial propre à entretenir le dynamisme di mouvement liturgique […]. Le premier volume de cette nouvelle série est un collectif, fruit d’une session organisée en janvier 2010 par l’Institu Supérieur de Liturgie de Paris, sous le titre de «Théologie et Pastorale du Sacrement de Pénitence et de Réconciliation». L’ouvrage veut participer «à l’effort pastoral de l’Église en vue d’une redécouverte du sacrement de la pénitence et de la réconciliation». Il s’adresse en priorité aux ministres et futurs ministres du sacrement, d’où une préoccupation pour sa pratique concrete. Certains aspects un peu techniques qui en résultent ne devraient pas cependant limiter cette lecture aux clercs; tous les fidéles désireux d’approfondir les divers aspects de la pénitence sacramentelle pour mieux en vivre pourront s’y plonger avec profit. Le sacrement est abordé dans une approche pluridisciplinaire selon quatre perspectives: sa ritualité, ses normes, ses fondements et une quatrième partie intitulée: «Approfondissements et perspectives». Le volume donne en annexes, le point normatif concernant les fidéles divorcés remariés, l’absolution collective et une abondante bibliographie classée. Dès la première partie, Hélène Bricout présente l’histoire de la pénitence en trois étapes: la pénitence canonique de l’Antiquité, la pénitence tarifé du haut Moyen Âge et la pénitence dite “moderne”, mise en place à partir du XII siécle qui prévaut encore de nos jours; un développement propre considère sa pratique depuis la période tridentine jusq’au XIX siécle. Ce parcours historique est éclairé par les questions théologiques et l’expérience pastorale inhérentes à l’histoire du sacrament qui apparait comme «une institution au service du salut», selon le titre de cette contribution. Le rituel de Vatican II et son usage n’y sont pas abordés; d’autres le dont largement. H. Bricout elle-même en propose plus loin une exploration théologique et liturgique et montre que le titre de l’édition francophone: «Célébrer la pénitence et la réconciliation», fait bien ressortir ses accents particuliers. On retiendra en particulier la dimension baptismale qui rejoint la préoccupation originelle de la pénitence sacramentelle dans l’Église: la pénitence, comme le baptême, est un sacrement de conversion. En réactivant la grâce baptismale, elle permet «d’inscrire la conversion non seulement à l’origine, mais tout au long de la vie chrétienne». On trouvera dans le texte d’H. Bricout comme dans l’ensemble de l’ouvrage des pistes pour renouveler la pratique du rituel dont la richesse et les potentialités vont bien au-delà de ce qui en est perçu. C’est le cas, en particulier, de la place de la Parole de Dieu: difficile à honorer dans la pratique normale et habituelle de la célébration individuelle, elle devrait pouvoir s’y insérer. Marco Felini retrace le processus qui a conduit à revaloriser la Parole de Dieu dans le sacrements et en particulier dans celui de la Pénitence: par sa Parole, Dieu appelle à la conversion et conduit à la guérison….

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(1) Anche in spagnolo, su Phase 54 (2014) 453, è apparsa una piccola presentazione:

BIBLIOGRAFIA RECIENTE EN FRANCES
Esta obra colectiva recoge distintas aportaciones a la teologia del sacramento de la penitencia, como lugar privilegiado para el anuncio de la salvación de Dios a la humanidad. Esta dividida en cuatro partes, según la perspectiva desde la que se considera el sacramento. En la primera, después de una aproximación a la historia, se tratan asuntos mas propiamente litúrgicos o rituales: la Palabra de Dios, la teologia del nuevo ritual, las celebraciones penitenciales, y los lugares litúrgicos; en la seconda, temas de derecho canonico; en la tercera los fundamentos bíblicos, y en al cuarta aspectos teológicos varios, como el misterio pascual, el acompañamiento espiritual y la oración.

Helene Bricout – Patrick Pretot (dirs.), Faire penitence, se laisser reconcilier. Le sacrement comme chemin de prière (Lex Orandi. Nouvelle série 1), Paris: Cerf 2013, 304 pp.

“Generoso impegno”: e’ la liturgia il luogo della morale? Alcune letture utili.

Il tema della traduzione dei testi liturgici è certamente troppo complesso e articolato per poter essere anche solamente accennato in un post. Nonostante questo doveroso senso del limite, la versione italiana della Colletta della IV Domenica di Quaresima ci suggeriva alcune riflessioni e letture.

Il sintagma latino “prompta devotione” viene reso in italiano con “generoso impegno” (1). Ci si creda quando affermiamo che non rivendichiamo alcuna pretesa di serietà scientifica, tuttavia non possiamo non percepire qualcosa di dissonante nel termine scelto per tradurre “devotio”: è pur vero che la parola italiana “devozione” pare oggi non comprensibile ai più, e che il significato di dedizione, ardore non è escluso dal termine impegno. Comunque, anche quest’ultimo sostantivo richiama, nella lingua corrente, un ambito semantico che pare fuorviante dal senso profondo della preghiera.

Più che proporre soluzioni, ci pare utile rileggere un testo di R. Guardini, che allargandosi in considerazioni più generali, storiche e filosofiche, ci aiuta a considerare con attenzione quello che potrebbe soggiacere ad una non precisa traduzione (2).

Il primato del Logos sull’Ethos

La liturgia mostra un’altra caratteristica che la rende estranea ai temperamenti attivistici dalle disposizioni particolari alla gravità morale: la sua posizione particolare rispetto all’ordine morale. Anzitutto, codesti temperamenti sentono nella liturgia questa mancanza: che la sua etica non ha rapporti molto immediati con la vita reale di ogni giorno. Essa non offre allo sforzo e alla lotta quotidiana alcun impulso traducibile immediatamente in azione e neppure pensieri immediatamente valorizzabili. Le è proprio un certo riserbo, un certo distacco dalla vita concreta; essa si compie nell’ambito del santuario, solenne e alquanto appartato dal mondo. […] Alla liturgia spetta invece, prima di tutto, di suscitare i fondamentali sentimenti cristiani. Essa vuole condurre l’uomo a inserirsi nell’ordine esatto ed essenziale che s’accentra in Dio, a divenire intimamente “giusto” nell’adorare Dio e nel rendergli i dovuti omaggi, nella fede e nell’amore, nello spirito di penitenza e di sacrificio. Quando verrà posto nella condizione di agire, egli farà certamente ciò ch’è giusto, in conformità a quello stesso orientamento. La questione, però, conduce oltre. Che atteggiamento tiene in genere la liturgia di fronte all’ordine morale? In quale rapporto sta in essa il volere rispetto alla conoscenza, il valore di verità rispetto al valore di bontà? In che relazione, per formulare in due parole il problema, stanno in essa Logos ed Ethos? […] In tal modo la religione prese un orientamento sempre più mondano (weltfreudig). Essa divenne sempre più la consacrazione dell’esistenza umana temporale nei suoi aspetti più vari, una santificazione dell’attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto sia inadeguata questa spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell’esistenza e dell’anima. Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell’angustia dell’età nostra. Goethe ha realmente toccato l’intimo nucleo della situazione quando fece scrivere al suo Faust, preso dal dubbio, le parole: “In principio era l’azione” al posto della frase: “In principio era il Verbo”. Passando il centro di gravità della vita dalla conoscenza al volere, dal Logos all’Ethos, la vita si fece sempre più instabile. […] Su questa mentalità ricade la colpa del fatto che l’uomo di oggidì assomiglia tanto spesso a un cieco che brancola nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca. La volontà può volere, agire e creare, non, però, vedere. Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo, tutto si muta, e la vita è un perenne divenire, un anelare, un ricercare, un pellegrinare senza posa. La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi. Ma s’egli intacca il principio, in tal caso è lo stesso santo ordine della vita che è levato dai cardini. La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza a ogni concezione moralistica della verità, del dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore di verità del dogma sul suo valore per la vita, è nel suo intimo, anticattolico. La Chiesa pone la verità, il dogma come un dato assoluto, riposante su se stesso, che non abbisogna di nessuna fondazione sulla base dell’ambito morale o pratico. La verità è verità, perché è la verità. […] Il volere non crea la verità, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perciò bisognoso di luce, della guida, della potenza ordinatrice e formatrice della verità. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla volontà, del Logos sull’Ethos. […] E il valore definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul valore, ma in quello sull’essere, non nello sforzo, ma nell’adorazione. […] Non appena questo primato venga ristabilito, si offre anche il fondamento della sanità spirituale. L’anima infatti abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da cui possa spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non può essere che la verità. Il riconoscimento della verità oggettiva è il fatto fondamentale della liberazione spirituale: “la verità vi farà liberi”. L’anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l’irrequietudine dell’anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente e in prima linea nell’atto intenzionale in cui il pensiero riconosce la verità, lo spirito ammutolisce dinanzi alla maestà sovrana della verità. […] Questo atteggiamento spirituale è veramente cattolico. E se è pur vero che, per qualche riguardo, il cattolicesimo è arretrato rispetto alle altre confessioni, transeat! Esso non poteva partecipare alla furiosa caccia a cui si è abbandonata la volontà sciolta da ogni pastoia dopo aver spezzato le leggi eterne. Esso ha, però, conservato qualcosa di insostituibilmente prezioso: il primato del Logos sull’Ethos, e in tal modo l’accordo con le leggi immutabili di ogni vita. Quantunque in tutto questo discorso non si sia ancora parlato di liturgia, tuttavia tutto fu detto per essa. Nella liturgia il Logos ha la preminenza che gli spetta, sulla volontà. Di qui la sua mirabile placidità, la sua calma profonda. Di qui s’intende com’essa sembri totalmente risolversi in contemplazione, adorazione, esaltazione della verità divina. Di qui la sua apparente indifferenza alle piccole miserie quotidiane. Di qui la sua scarsa preoccupazione di “educare” immediatamente e di insegnare la virtù. La liturgia ha in sé qualcosa che fa pensare alle stelle, al loro corso eternamente uguale, alle loro leggi inviolabili, al loro fondo silenzi, all’ampiezza infinita in cui si trovano. Sembra, però, soltanto che la liturgia si preoccupi così poco delle azioni e delle aspirazioni, e della condizione morale degli uomini. Poiché in realtà essa sa assai bene provvedervi: chi infatti vive realmente in essa, si assicura la verità, la sanità e la pace nell’intimo dell’essere.

R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Brescia 1996, 99-110.

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(1) Cf. alcune altre traduzioni della preghiera latina Deus, qui per Verbum tuum humani generis reconciliationem mirabiliter operaris, praesta, quaesumus, ut populus christianus prompta devotione et alacri fide ad ventura sollemnia valeat festinare:
O God, who through your Word reconcile the human race to yourself in a wonderful way, grant, we pray, that with prompt devotion and eager faith the Christian people may hasten toward the solemn celebrations to come.
Señor, que reconcilias contigo a los hombres por tu Palabra hecha carne, haz que el pueblo cristiano se apresure, con fe viva y entrega generosa, a celebrar las próximas fiesta pascuales.
Dies qui as réconcilié avec toi toute l’humanité en lui donnant ton propre Fils, augmente la foi de peuple chrétien, pour qu’il se hâte avec amour au devant des fêtes pascales qui approchent.
Herr, unser Gott, du hast in deinem Sohn die Menschheit auf wunderbare Weise mit dir versöhnt. Gib deinem Volk einen hochherzigen Glauben, damit es mit froher Hingabe dem Osterfest entgegeneilt.
(2) E’ impressionante l’assonanza di questo testo con il pensiero di J. Ratzinger – Benedetto XVI. Alla figura di R. Guardini è stato, da alcuni, affiancato anche J. Bergoglio: nello specifico dei paragrafi citati non se ne vede proprio il fondamento (cf.http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/10/21/guardini-un-maestro-che-bergoglio-non-ha-mai-avuto/).

“Ut nobis praestaret pagina quod illis gerebat historia”: pensieri sulla sacramentalità della Parola di Dio.

“La liturgia della Parola ha anch’essa una sacramentalità? Senza dubbio, anche se non identica a quella dell’Eucaristia. Quindi anch’essa in qualche modo verifica sul piano dell’efficacia salvifica quanto indica. Sarà opportuno in proposito ricordare un testo della Dei Verbum: Nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e prende della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla Sacra Scrittura ciò che è stato detto: ‘Vivente ed efficace è la parola di Dio’ (Eb 4,12) ‘che ha a forza di edificare e dare l’eredità fra tutti i santificati’ (At 20,32; cf 1Ts 2,13). La parola esprime tutte le realtà dell’ordine salvifico e, quindi, in qualche modo le rinnova. Anche la parola ha carattere analettico in quanto ricorda i misteri della salvezza e li rende oggetto di esperienza vitale, dando loro una specie di ripresentazione sacramentale”: V. Raffa, “Parola ed Eucaristia”, in Mysterion. Nella celebrazione del Mistero di Cristo la vita della Chiesa. Miscellanea liturgica in occasione dei 70 anni dell’Abate Salvatore Marsili (Quaderni di Rivista Liturgica, Nuova Serie 5), Leumann (TO) 1981, 342-343.

In verità, ogni tempo, o carissimi, tiene viva negli animi dei cristiani l’attenzione sul sacramento della passione e della risurrezione del Signore, e altro dovere non ha la nostra religione se non quello di celebrare la riconciliazione del mondo e l’assunzione in Cristo della natura umana. Ma questo è il momento opportuno perché tutta la Chiesa sia istruita per una maggiore capacità di comprendere; perché sia accesa da una più fervida speranza, ora che proprio la grandezza di quelle realtà viene espressa dalla ricorrenza dei giorni sacri e dalle pagine autentiche del vangelo (quando ipsa rerum dignitas, ita sacramentorum dierum recursu et paginis evangelicae veritatis exprimitur), così che la Pasqua non sia ricordata come un evento passato, ma sia celebrata come una realtà presente (ut Pascha Domini non tam praeteritum recoli quam praesens debeat honorari). Che lo sguardo della nostra fede non vada cercando altro se non ciò che riguarda la croce di Gesù Cristo, e nessun dettaglio messo in luce dalla narrazione del vangelo sia accolto con orecchio indifferente. […] Noi, non allontanandoci in nulla dalle testimonianze dei vangeli e degli apostoli, facciamoci forti della conoscenza di coloro che ci hanno trasmesso l’insegnamento sicuro della loro esperienza, in modo da poter dire con venerazione e fermezza che in loro anche noi siamo stati istruiti, che quanto essi hanno veduto noi pure l’abbiamo visto, quanto essi hanno appreso, quanto hanno toccato con mano noi pure abbiamo toccato; e così non rimaniamo turbati nella passione del Signore dal momento che non ci siamo ingannati riguardo alla generazione. Sappiamo infatti, carissimi, e con tutto il cuore professiamo, che una è la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e che l’essenza consustanziale dell’eterna Trinità non ha in sé alcuna divisione né diversità, poiché è insieme temporale, immutabile, e non lascia di essere ciò che è. Ma pure in questa unità ineffabile della Trinità, le cui opere e giudizi sono sempre comuni, la restaurazione del genere umano l’ha assunta in proprio la persona del Figlio. E ciò perché Egli, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose e nulla è stato fatto senza di lui, Egli che animò con il soffio della vita razionale l’uomo plasmato dal fango della terra, potesse restituire alla dignità perduta la nostra natura precipitata dal baluardo sicuro dell’eternità e potesse essere anche il restauratore di ciò di cui era anche il creatore. Portò a compimento il suo disegno in modo tale che, per distruggere il dominio del demonio, si servì più della giustizia della ragione che del potere della forza. […] Il Figlio della beata Vergine è infatti l’unico ad essere nato senza colpa, non estraneo al genere umano, ma alieno dal peccato. In lui era perfetta l’innocenza e vera la natura dell’essere creato ad immagine e somiglianza di Dio, venendo all’esistenza dalla stirpe di Adamo come il solo in cui il demonio non trovò nulla da considerare suo. Anzi, dal momento che infierì su di lui, ma non poté sottometterlo alla legge del peccato, perse il diritto all’empia dominazione. L’effusione del sangue del giusto per gli ingiusti fu infatti così potente per ottenere il condono, fu così preziosa per il riscatto che se tutta la moltitudine di coloro che sono in schiavitù credesse nel suo Redentore, nessuno sarebbe più trattenuto dai vincoli del tiranno poiché, come dice l’Apostolo, dove abbondò il peccato, sovrabbondò anche la grazia. Leone Magno, Sermo 51 (De passione dominica 13): edizione: Leone Magno, I Sermoni sul mistero pasquale (Biblioteca Patristica 38), E. Montanari – E. Cavalcanti (edd.), Bologna 2001, 266 ss.

Ciò che Cristo operò, non lo operò soltanto per quelli che aveva davanti a sé allora, ma anche per noi che saremmo venuti dopo, cosicché i nostri antenati, che pure ci precedevano nel tempo, non ci precedessero nella grazia dei segni. Quella potenza, che fu loro manifestata nei miracoli compiuti nel presente, quella stessa potenza ci fu conservata nel tesoro delle Scritture, affinché la pagina ci offrisse ciò che per loro la realtà storica produceva e, anzi, si verificasse per noi tutto quanto dallo specchio persuasivo delle Scritture veniva dettato (Christus enum quod operatus est non illis tantum operatus est, quos habebat tunc praesentes, sed et nobis posta secuturis, ut licet maiores nostri tempore nos pracederent, tamen signorum gratia non praeirent. Quae enim illusi exhibita est prasentiarum in mirabilibus virtus, eadem virtus nobis est litteram thesauro conservata, ut nobis prestare pagina quod illusi gerebat historia, immo nobis geretur quidquid nobis insinuante scripturarum speculo dictaretur; et potenti Domini, qua illi carnalibus oculis cernerent, nos spiritali lumine videremus): Massimo di Torino, Sermone 103:  edizione: Massimo di Torino, Sermoni liturgici (Letture cristiane del primo millennio 28), M. Mariani Puerari (ed.), Milano 1999, 351-352; cf. CCL 23, 409).

Domenica Laetare: un’anticipazione del “Laetetur et mater Ecclesia” della notte pasquale?

Che la domenica Laetare avesse a che fare in certo qual modo con il catecumenato e il battesimo pasquale l’avevamo già accennato qui: https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/28/il-cieco-nato-e-la-domenica-laetare-suggestioni-e-associazioni/. Anche se le letture dell’anno B non sono riconducibili direttamente all’istituzione del catecumenato, rimane comunque l’Antifona di Ingresso a fare da porta di ingresso nella liturgia di questa domenica. Purtroppo il Messale odierno non riporta l’indicazione del Salmo che dovrebbe seguire all’antifona: nel messale tridentino invece risaltava già nel testo l’affinità dell’antifona (Isaia 66,10-11) Laetare, Ierusalem con il primo versetto del salmo 121 Laetatus sum in his, quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus. La menzione del Salmo probabilmente aiuterebbe a non rischiare di cadere in troppo generali considerazioni sulla “letizia” proposta dalla liturgia. Tuttavia, anche con il solo testo di Isaia ci si dovrebbe rendere conto che è tutta la Chiesa ad essere invitata alla letizia per la rinnovata fecondità che sarà compiuta nella “Pasqua ormai vicina”, grazie ai sacramenti pasquali dell’iniziazione cristiana e della riconciliazione.

In un preziosissimo libretto di H. Rahner, troviamo un mirabile commento al capitolo 66 del profeta Isaia, che ci rimanda di nuovo al battesimo, e al fecondissimo ministero della santa Madre Chiesa, che nel tempo quaresimale si affatica invitando tutti alla conversione e ad immergersi di nuovo nella morte e risurrezione del suo Signore, sia mediante il sacramento della rigenerazione battesimale, offerto ai catecumeni, sia mediante la “seconda tavola di salvezza”, offerta ai cristiani caduti in peccato e bisognosi della penitenza e del perdono sacramentale.

Meriterebbe di essere riportato l’intero paragrafo, ma dobbiamo contenere la citazione in termini ragionevoli, sperando che sia sufficiente per rendersi conto della ricchezza soggiacente alla liturgia di questa domenica.

La Chiesa delle doglie sacramentali (1).

Giorno per giorno, dalla Pentecoste dello Spirito fino alla parusia del Signore trasfigurato, il corpo mistico di Cristo si edifica nel santo battesimo che la Chiesa dispensa…Ma ciò avviene in quelle doglie che Isaia previde nella profezia sulla nuova nascita del popolo di Dio e che si trasformano nel grido di giubilo: “Gioite con Gerusalemme, voi  tutti, che la amate. Bevete a sazietà alla sua mammella ricca di consolazioni!”. Ciò vale per la Chiesa, la madre che nutre tutti i popoli. Sulla miniatura semplice ma stupenda di un manoscritto del monastero di Engeleberg è rappresentata la madre Chiesa nell’atto di porgere la sua mammella ad un vescovo e ad un laico. La spiegazione ce la dà il commentario carolingio che si attribuisce ad Aimone di Halbertstadt: la parola profetica di Isaia si adempie con la Chiesa che è chiamata, al posto della Sinagoga divenuta infedele, a nutrire i popoli al suo seno e ad offrire agli uomini la fede filiale in Cristo. Questo però si verifica nel battesimo, nel momento in cui la liturgia prevede la domanda al battezzato: “Che cosa desideri dalla Chiesa? La fede!”

[…] Di tutto ciò risuona il canto di giubilo pasquale che la Chiesa intona quando nella santa notte dei battesimi può condurre alla sorgente di vita del sacramento i suoi figli che si è procurata nelle doglie. […] E’ caro a noi tutti il tripudio dell’Exsultet pasquale riguardo alla madre Chiesa. Nelle illustrazioni dei rotoli dell’Exultet essa avanza verso di noi come una donna sontuosa, sotto il portale della sua casa spirituale, avvolgendo con braccia protese tutti i popoli che accorrono a lei.

barber2Laetetur et Mater Ecclesia!

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(1) H. Rahner, Mater Ecclesia. Inni di lode alla Chiesa tratti dal primo millennio della letteratura cristiana, Milano 2011³, 29-32

Dall’impenitenza al cuore penitente: prodigi della liturgia!

Anche per il tempo quaresimale, il pregare e il “ruminare” l’innodia della Liturgia delle Ore ci rende sensibili a sfumature curiose e a dettagli pur minimi. Anche da queste piccole cose, tuttavia, può risaltare la vivacità della tradizione eucologica della Chiesa, la quale prende dalla Sacra Scrittura le parole per la preghiera, ridicendole tavolta in modo letterale, in altri e più frequenti passaggi con allusioni più libere, talora addirittura rovesciandole! Ci pare questo il caso dell’inno Iam, Christe sol iustitiae, mantenuto come testo latino facoltativo per le Lodi nei giorni feriali (1). Evidenziamo solamente la seconda strofa, offrendo una nostra traduzione italiana:

Dans tempus acceptabile, et paenitens cor tribue, convertat ut benignitas quos longa suffert pietas [Tu che ci offri un tempo favorevole concedici anche un cuore penitente, affinché la bontà converta quelli che la lunga misericordia sopporta] (2).

Vi sono qui allusioni a diversi passaggi della Scrittura: il primo e più chiaro riferimento è senza dubbio 2 Cor 6,2 (ecce nunc tempus acceptabile); meno evidente risulta il riferimento a 1 Cor 13,7, dove nell’inno alla carità si dice che essa “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” [il latino della Vulgata: omnia suffert omnia credit omnia sperat omnia sustinet]: interessante come la riformulazione liturgica esprime in categorie temporali e spaziali – longa pietas -,  il senso dell’testo paolino “ogni cosa, tutto” (3).
Ancora più sorprendente il terzo riferimento: da Rm 2,5-6 l’inno prende alcune parole, ma usandole in senso rovesciato. Vediamo:

O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (Rm 2, 5-6) [an divitias bonitatis eius et patientiae et longanimitatis contemnis ignorans quoniam benignitas Dei ad paenitentiam te adducit, secundum duritiam autem tuam et inpaenitens cor thesaurizas tibi iram in die irae et revelationis iusti iudicii Dei]

Ciò che Paolo scrive per ammonire chi presume di poter giudicare gli altri, non accorgendosi di quanto la stessa paziente misericordia divina sia di fatto un invito serio e pressante alla conversione, diventa nell’inno il fondamento della preghiera: la bontà di Dio infine converta quanti fanno esperienza della sua prolungata e grande misericordia, così che nel tempo favorevole della conversione si riesca ad evitare la collera nel giorno del giudizio. La constatazione dell’indurimento insensibile – inpenitens cor – di quanti giudicano in modo temerario, e che Paolo stigmatizza, diventa qui una preghiera perché il cuore sia invece penitente!

Non si potrebbe capire come sia permesso alla liturgia godere di tale licenza se non si concepisse la Liturgia in profonda continuità teologica con la Sacra Scrittura. Ma di questo non possiamo occuparci ora: sia sufficiente il piccolo esempio offerto.

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(1) L’innario quaresimale della Liturgia delle Ore in italiano presenta alcune particolarità, che contiamo di poter approfondire. Non è facile reperire l’appropriata bibliografia per studiare meglio il lavoro di L. Gherardi, che curò la traduzione (!?) e le scelte della versione italiana degli Inni tipici: di fatto l’inno Iam Christe non è stato conservato.

(2) La versione ritoccata nel 1632 dalla riforma di Urbano VIII recitava: Dans tempus acceptabile,/ da lacrimarum rivulis/ lavare cordis victimam,/ quam laeta adurat caritas. Nell’ultimo stico era più facilmente riconoscibile il riferimento a 1 Cor 13. Qui si può trovare una versione inglese: http://www.preces-latinae.org/thesaurus/Hymni/IamChriste.html. Qui, invece, la melodia: http://liberhymnarius.org/index.php/Iam,_Christe,_sol. Nella sezione dei commenti (sotto) si può trovare una versione spagnola.

(3) Assai interessante questo attributo della pietas! Avevamo già approfondito la “velocità” della misericordia (cf.  https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/11/23/un-ladrone-impunito-una-fede-breve-e-veloce-misericordia-questo-e-il-regno-di-dio/), ma dovremo in altro momento approfondire questa “longitudem pietatis“!