Et dictis et factis… Ilario di Poitiers precursore di Dei Verbum 2?

L’approccio alla Divina Rivelazione che già nei primi paragrafi della Costituzione conciliare Dei Verbum si andava delineando poteva sembrare una novità. Effettivamente per quei tempi lo era, ma non certo per la millenaria Tradizione della Chiesa. Rileggendo stamani un passo della Spiegazione dei misteri, la memoria si è accesa e ha subito collegato – forse non del tutto propriamente – un’espressione di Ilario con il celebre numero 2 della Costituzione sulla divina Rivelazione: “Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto [Haec revelationis oeconomia fit gestis verbisque intrinsece inter se connexis, ita ut opera, in historia salutis a Deo patrata, doctrinam et res verbis significatas manifestent ac corroborent, verba autem opera proclament et mysterium in eis contentum elucident]”. Ci pare superfluo argomentare le rilevanti ricadute di tale approccio anche sulla teologia liturgica e sulla teologia liturgica dei sacramenti. Per ora, gustiamoci il testo di Ilario:

Ora, tutta l’opera contenuta nei libri sacri annuncia con parole, rivela mediante fatti, conferma per mezzo di figure tipiche [et dictis nuntiat et factis exprimit et confirmat exemplis], la venuta di nostro Signore Gesù Cristo, il quale, inviato dal Padre, è nato come uomo da una Vergine per opera dello Spirito. È lui, infatti, che per tutta la durata di questo mondo creato, attraverso prefigurazioni vere e chiare, genera, purifica, santifica, sceglie, separa o riscatta la Chiesa nei patriarchi: nel sonno di Adamo, nel diluvio di Noè, nella benedizione di Melchisedec, nella giustificazione di Abramo, nella nascita di Isacco, nella servitù di Giacobbe. Insomma, lungo tutto lo svolgersi del tempo, l’insieme delle profezie predisposte dal disegno misterioso (di Dio), ci è stato benevolmente donato per farci conoscere la sua futura incarnazione (1).

E siccome mi è sembrato opportuno mostrare, con questo piccolo scritto, come in ciascun personaggio, in ogni epoca, nei singoli avvenimenti, si riflette come in uno specchio l’immagine della sua venuta, della sua predicazione, della sua passione, della sua resurrezione e del nostro essere riuniti (nella Chiesa), non mi limiterò a richiamare brevemente qualcosa, ma prenderò in esame tutto, ogni cosa nel suo tempo, a partire da Adamo, con cui inizia la nostra conoscenza del genere umano, affinché si riconosca che fin dall’origine del mondo è annunciato, in un gran numero di prefigurazioni, ciò che ha avuto nel Signore il suo pieno compimento (2).

_____

(1) Riportiamo le due versioni testuali – latino e francese – proposte dall’edizione di Sources Chrétiennes (n. 19, ed. J.-P. Brisson):  Per omne denique tempus universa prophetia, sacramenti molitio, cognitioni adsumendae ab eo carnis indulta est [Pendant tuout le déroulement du temps, en un mot, l’ensemble des prophéties, mise en ouvre du plan secret de Dieu, nous a été donné par bienveillance pour la connaissance de son Incarnation à venir].

(2) Et puisque notre dessein a été de montrer, dans ce petit traité que dans chaque personnage, chaque époque, chaque fait, l’ensemble des prophéties, projette come dans un miroir l’image de son avènement, de sa prédication, de sa Passion, de sa Résurrection et de notre société dans l’Eglise…[…] pour qu’on reconnaisse que nous trouvons annoncé dès l’origine du monde en un grand nombre de préfigures ce qui a reçu dans le Seigneur son total achèvement [omnem in singulis quibusque et viris et temporibus et rebus adventus sui…..tamquam in imaginem in speculo praeferri….quod in Domino consummatum est, iam ab initio mundi in plurimis praefiguratum esse noscatur].

E’ risorto il Buon Pastore! E’ risorto il Buon Pastore! Un singolare duplice annuncio pasquale.

Ci congediamo dal tema del buon pastore (cf. i precedenti post) con un testo che la liturgia ci ha presentato due volte, in questa domenica IV di Pasqua. Non possiamo ora che registrare il dato, anche se sarebbe assai interessante scoprirne i retroscena, o indagare più approfonditamente la formazione del testo. Infatti, che le parole dell’antifona di comunione riprendano il responsorio dell’Ufficio delle letture (o viceversa?) ci pare un fatto assai singolare: una singolarità che consiste appunto nella doppia recitazione di uno stesso testo: un singolare doppione! Ma che merita davvero di essere proclamato ancora: “E’ risorto il buon Pastore, che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia”.

Surrexit pastor bonus, qui animam suam posuit pro ovibus suis, et pro grege suo mori dignatus est, alleluia.

Der gute Hirte ist auferstanden, der sein Leben für seine Schafe ließ,

und der für seine Herde zu sterben würdig war.

The Good Shepherd has risen, who laid down his life for the sheep, and willingly died for his flock.

Il est ressuscité, Jésus, le vrai Pasteur, lui qui a donné sa vie pour son troupeau,

lui qui a choisi de mourir pour nous sauver.

Ha resucitado el Buen Pastor que dio la vida por sus ovejas y se dignó morir por su grey.

Ha resucitado el Buen Pastor, que deu a vida pelas suas ovelhas e Se entregou à morte pelo seu rebanho.

Alleluia.

rupnik buon pastore

_______

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/04/24/una-pecora-perduta-ora-baldanzosa-in-spalla-al-suo-pastore-ancora-una-preghiera-questa-volta-si-liturgica/

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/04/23/una-splendida-preghiera-al-buon-pastore/

Una pecora perduta ora baldanzosa in spalla al suo pastore: ancora una preghiera, questa volta sì liturgica.

La bella supplica santambrosiana che abbiamo riportato nel post precedente partiva da un versetto del lungo salmo 118: “Mi sono perso come pecora smarrita; cerca il tuo servo: non ho dimenticato i tuoi comandi [Erravi, sicut ovis, quae periit: quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus]” (v. 176). Questo versetto è l’ultimo dell’ultima sezione in cui è suddiviso il nostro salmo alfabetico: la sezione Tau è la ventiduesima e comprende i versetti 169-176. La Liturgia delle Ore assegna questa sezione all’Ora Media del sabato della IV settimana del salterio, come primo salmo, seguito poi da due sezioni del salmo 44. La liturgia delle Ore quindi considera questa sezione come unità salmica a sè stante: non stupisce il fatto che siano state create collette salmiche appropriate appositamente a tale sezione. Fra le tre orationes super psalmos, corrispondenti alle tre Serie di orazioni reperite dagli esperti (1), spicca quella della seconda Serie, conosciuta come Serie Italica o romana. Solamente in essa, infatti, compare anche un riferimento al buon pastore (2).

Palma totius beatitudinis, Deus, qui fideles tuos, ut in lege tua ambulent, testimonia scrutentur, mandata custodiant, salubris provisor informas; concede nobis iustificationes tuas toto cordo quaerere, eloquia intelligere, mirabilia praedicare; ut, qui hactenus quasi perditae oves erravimus, tuis piis humeris restitui paradiso gloriemur.

Assai efficace l’immagine evocata dalla preghiera: addirittura si chiede che le pecore che fino ad allora hanno errato quasi come pecore smarrite, possano ora invece vantarsi di essere ricondotte al Paradiso sulle benevole spalle del Pastore. Il testo del vangelo dice che ad essere tutto contento era il pastore (cf. Lc 15,5), mentre qui sono le pecore a godere della benevolenza di colui che non solo le ha cercate, ma le riconduce sulle proprie spalle. Su di esse si deve stare davvero comodi! E su di esse queste pecore che se l’erano vista brutta, ora possono avere uno sguardo fiero e onorato, possono trarre gloria dal fatto di essere oggetto di tanta cura e di tanto amore: insomma, non rientrano all’ovile a testa bassa, umiliate dai loro errori, ma rientrano in Paradiso, restituite alla loro piena dignità – tanto da potersi vantare! – dalla speciale attenzione e benevolenza del loro pastore. E’ proprio buono, e bello, questo Pastore!

Ed è bella la Liturgia, che ci permette di godere di questi testi e di queste immagini evocative!

– cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/04/23/una-splendida-preghiera-al-buon-pastore/

– cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/14/questa-pecorella-non-e-in-realta-una-pecorella-e-questo-pastore-e-tuttaltro-che-un-pastore/

_______

(1) Per un’agile consultazione cf. l’opera curata da F. M. Arocena e J. A. Goñi, Psalterium liturgicum, I, Città del Vaticano 2005, 429-430.

(2) Senza potere ora, ovviamente,trarre conclusioni di nessun genere, registriamo il dato secondo cui questa Serie di orationes sarebbe riconducibile a Cassiodoro. Allora, non sarebbe del tutto estraneo a questa preghiera un influsso del testo santambrosiano? Cassiodoro conosceva il Commento al Salmo 118 di sant’Amborgio? Una questione da approfondire…

Una splendida preghiera al Buon Pastore

Non si tratta di una preghiera liturgica in senso tecnico, non è eucologia quella che segue: comunque è un capolavoro di rilettura e attualizzazione della Scrittura, ridetta a modo di supplica. Solo un grande come il vescovo Ambrogio poteva mettere insieme Mt 18, Lc 15 e Gv 10 in una preghiera così lirica ed efficace. Tutto parte dal salmo 118 (secondo la numerazione della Vulgata). Appunto nelle pagine finali del suo Commento al Salmo 118, dal versetto 176 l’orizzonte si allarga fino al Nuovo Testamento, e poi indietro fino ad Adamo e poi su su fino alla gioia del Cielo.

Una buona lettura, in vista della IV Domenica di Pasqua:

Vieni, dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora spossata. Vieni, pastore, cerca, come cercava le pecore Giuseppe. E’ andata errando la tua pecora, finché Tu indugiavi, finché Tu ti intrattenevi sui monti. Lascia stare le tue novantanove pecore e vieni a cercare quell’una che è andata errando. Vieni senza i cani, vieni senza rudi salariati, vieni senza il mercenario che non sa passare attraverso la porta. Vieni senza aiutante, senza intermediari, ché è già da tanto tempo che sto aspettando la tua venuta. So che stai per venire, se è vero che non ho scordato i tuoi comandamenti. Vieni, ma senza bastone; con amore invece e con atteggiamento di clemenza.
Non esitare ad abbandonare sui monti le tue novantanove pecore, perché, fin che stanno sui monti, non subiscono gli attacchi dei lupi rapaci. […] Vieni piuttosto da me, che sono oppresso dall’attacco dei lupi feroci. Vieni da me che, scacciato dal paradiso, subisco da un pezzo i morsi del veleno nella piaga provocata dal serpente; da me che sono andato errando lontano da quel tuo gregge sui monti. Perché anch’io ero stato collocato da Te lassù, ma il lupo della notte mi ha distolto dai tuoi ovili. Cerca me, perché io ricerco Te. Cercami, trovami, sollevami, portami. Tu puoi trovare quello che ricerchi. Tu accetti di prendere su di te quello che hai trovato; di porre sulle tue spalle quello che hai accolto. Non ti dà noia un peso d’amore, non ti è di peso un trasporto che sa di giustizia. Vieni dunque, o Signore, se è vero che, anche se posso aver errato, non ho però scordato i tuoi comandamenti. Vieni, o Signore, perché Tu sei l’unico che possa far tornare indietro una pecora vagabonda, senza far rattristare quelli che hai lasciato. Perché anche loro si rallegreranno del ritorno del peccatore. Vieni ad operare la salvezza sulla terra, la gioia in Cielo.
Vieni, dunque, e cerca la tua pecora; ma non farla cercare dai servitori o dai mercenari; cercala tu di persona! Accogli me con quella carne che è caduta in Adamo. […] Portami sulle spalle della croce, che è salvezza degli erranti, nella quale sola trova riposo chi è stanco, nella quale sola trova vita l’uomo che muore. (XXII,28-30)

La pecora, che Egli chiama errante, è la centesima: la perfetta interezza di questo numero è di per se stessa istruttiva e significativa. E non senza ragione quella pecora viene preferita a tutte le altre, perché vale di più l’essersi sottratti al vizio che l’averne quasi ignorata l’esistenza. Per chi è stato alla scuola del vizio, liberare l’animo dai ceppi dei desideri ed essere riusciti a correggerlo, è segno non solo di perfetta virtù, ma anche di benevolenza celeste. E difatti, correggersi per il futuro è possibile all’uomo che si impegni, ma rimettere il passato è possibile solo alla potenza di Dio. Tant’è vero che quella pecora, una volta trovata, viene issata sulle spalle del pastore. Tu puoi vedere qui in forma certa il misterioso modo con cui viene rianimata la pecorella stanca, dal momento che la condizione umana così stanca non può essere rianimata alla vita se non grazie al sacro segno della Passione del Signore e del sangue di Cristo, di cui il principio sta sulle sue spalle. Su quella croce infatti Egli ha sorretto le nostre debolezze, per cancellare i peccati di tutti. (XXII,3)

Ambrogio di Milano, Commento al Salmo 118. Edizione: Sant’Ambrogio, Tutte le opere di sant’Ambrogio, 10, Opere esegetiche VIII/II, Commento al Salmo 118/2, ed. L. F. Pizzolato, Milano Roma 1987.

Un piccolo tributo ad un grande professore

Probabilmente il corso più duro e difficile dei cicli di Licenza e Dottorato al Pontificio Istituto Liturgico di Roma, un corso dal titolo forse innocente, Libri liturgici. Dalla prima lezione, però, si capiva che si sarebbe faticato tanto, e che non si scherzava! E così, fra antichi sacramentari, antifonali polverosi, i più diversi messali, e tanti altri volumi che quasi solamente gli allievi del corso usavano, le pagine degli elaborati settimanali crescevano e crescevano. Ma per chi superava il corso, ormai l’oceano sconfinato delle fonti liturgiche poteva essere affrontato anche in traversata solitaria! Un grande professore, a cui essere davvero grati:  padre Cassian Folsom, osb.

Eccolo qui, in un inusuale video dove parla anche di sè, per la verità pochissimo come al solito; ben più delle sue parole, parlano i frutti delle sue intuizioni e il numero e la qualità dei suoi allievi. Buona visione: http://www.youtube.com/watch?v=nTQTFW1Gdbs

Commutazioni pasquali

Sebbene dica che si tratta di un mistero ineffabile – quindi, letteralmente indicibile tanto bello è -, Leone Magno riesce ad esprimere in poche righe concetti che danno le vertigini – si scende, si sale, l’ignomina diventa dignitosa… -, e pure in modo esemplare e affascinante. Gustiamoci la gioia della Pasqua con qualche sua espressione:

Dobbiamo gioire grandemente di questa trasformazione, per cui passiamo dalla ignobile condizione terrena alla dignità celeste, per ineffabile misericordia di colui che, per elevarci a sé discese fino a noi…

We must greatly rejoice over this change, whereby we are translated from earthly degradation to heavenly dignity through His unspeakable mercy, Who descended into our estate that He might promote us to His…

Multum nobis de hac commutatione gaudendum est, qua de ignobilitate terrena ad coelestem transferimur dignitatem per illius ineffabilem misericordiam qui ut nos in sua proveheret, in nostra descendit…

Leone Magno, Discorso sulla resurrezione I, 2; (Sermo LXXI, PL 54)

Tipologia in pillole (2), per evitare un indesiderato “effetto cipolla”

Il saggio di Louis Bouyer, pubblicato in italiano con il titolo Gnosis. La conoscenza di Dio nella Scrittura, permette di apprezzare la validità metodologica della lettura unitaria della Sacra Scrittura, nella quale i grandi Padri, grazie alla tipologia, erano maestri. Non vogliamo adesso illustrare le tematiche affrontate nello studio (cf. Indice Bouyer), quanto riportare un’illuminante e sintetica espressione, che si collega a quanto pubblicato nel precedente post.

E’ proprio della essenza stessa del divenire della rivelazione il progredire, non già scartando e rigettando i suoi primi temi, ma approfondendoli, o anche elevandoli fino ad una trasposizione finalmente completa.

L. Bouyer, Gnosis. La Conoscenza di Dio nella Scrittura, Città del Vaticano 1991, 115.

A proposito di “scartare”, con una libertà ardita, l’autore non risparmia una stoccata efficace verso il mondo protestante, da cui del resto lui stesso proveniva: “..in nome di una religione che aveva incominciato con il non voler altro all’infuori della sola Bibbia, ma tutta intera, si eliminava adesso dalla Bibbia stessa come sprovvisto di autorità tutto quello che era troppo in contraddizione con essa. La disgrazia è che, quando si arriva a questi miserabili sotterfugi nel fare discriminazione tra il ‘vangelo puro’ e i suoi supposti tradimenti, ci si trova come quando si sfoglia una cipolla: non vi è possibilità di fermarsi se non quando rimane più nulla di concreto” (ibid., 11)

Pillole di tipologia: sintesi essenziali da un articolo tutto da leggere

Nel 50° anniversario della sua Pasqua, sono stati pubblicati vari contributi a ricordo di mons. Mariano Magrassi, eccezionale divulgatore delle ricchezze che Sacrosanctum Concilium ha riportato nel centro della liturgia della Chiesa, soprattutto per quel che riguarda i rapporti fra Bibbia e Liturgia (cf., ad es., http://www.liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-mariano-magrassi-e-il-rinnovamento-liturgico-in-italia-124519695.html). Non dovrebbe essere sconosciuto ai lettori (cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/10/21/non-enim-fecit-et-abiit-uninteressante-interpretazione-della-vitalita-della-parola-di-dio/), e ancora dal maestro vogliamo offrire alcuni brani di un articolo tutto da leggere, apparso su Rivista Liturgica: si tratta di questioni assai interessanti e che si sposano con l’intento del nostro blog, teso ad una visione unitaria di Bibbia, Liturgia e Storia.

I Padri e la Liturgia in mirabile accordo indicano in modo inequivocabile che la tipologia è il fondamento su cui poggia la lettura cristiana della Bibbia

Insieme al Nuovo Testamento, Tradizione e Liturgia costituiscono la sola norma autentica per l’affermazione del senso tipologico.

Dio solo ha potuto conoscere ed ha potuto rivelare questo senso spirituale». In altri termini: Dio solo ha potuto inscrivere nei fatti dell’economia quel rapporto intrinseco di preparazione e di prefigurazione rispetto alle fasi successive dell’economia, che l’esegesi tipologica vuole cogliere ed esprimere.

La tipologia non appare coi Padri della Chiesa, e neppure col Nuovo Testamento. Essa è scritta nella struttura stessa dell’economia, perché ne coglie ed esprime una legge fondamentale: e cioè quel suo carattere organico che la orienta progressivamente verso un termine ultimo, e che fa di ogni tappa anteriore una preparazione e una prefigurazione degli eventi definitivi.

Come leggeva l’A.T. il popolo d’Israele? Nelle Scritture, soprattutto durante l’esilio, il popolo d’Israele volgendosi al passato leggeva e meditava la sua storia: storia diretta da Dio, intessuta dai suoi continui interventi, aperta sull’avvenire; non una serie di eventi passati, attestati da documenti inerti, ma un grande Mistero sempre presente, nel quale Israele è attualmente implicato, e che è attestato dalla Parola vivente: Hodie. La Liturgia cristiana lo ha ereditato dalla sinagoga. L’Alliance c’est aujourd’hui. Questa storia che Israele legge nei libri sacri è dunque caratterizzata da due note dominanti: è continua, ed è attuale: ogni evento è come un movimento iniziato nel tempo, che poi si svolge e si amplifica attraverso tutta l’economia, trascinando nel suo dinamismo i fatti e le generazioni successive.

I Non si tratta di una semplice illustrazione attraverso simboli di indubbia efficacia: in altri termini, non si tratta di temi letterari. Si tratta di una prospettiva dogmatica fondamentale per cui il Mistero del Cristo è visto come il prolungamento e insieme il superamento dei grandi eventi della storia d’Israele.

Un testo come il seguente segna un’epoca nella storia del pensiero cristiano: “Dall’origine Dio ha formato l’uomo per amore; ha scelto i Patriarchi per salvarlo; ha insegnato a un popolo indocile a servire Dio; ha suscitato sulla terra dei Profeti per abituare l’uomo a portare lo Spirito, a entrare in comunione con Dio…e in mille modi educava la razzza umana per renderla adatta alla salvezza….Attraverso i Patriarchi e i profeti, Cristo annunziava e prefigurava l’avvenire, esercitava il suo popolo alle economie divine, abituava al sua eredità ad obbedire a Dio, significava in anticipo ciò che sarebbe accaduto”.

I Sacramenti e tutta la via della Chiesa vengono così inseriti in una prospettiva amplissima: sono episodi di una lunga storia, di un immenso dramma che prende le mosse dalla creazione del mondo e avrà il suo epilogo solo alla fine dei tempi.

Il procedimento tipologico assolve a molteplici funzioni all’interno dell’economia divina. Esse si possono ricondurre a tre principali: 1) Coglie il rapporto di continuità che lega i due Testamenti. 2) Definisce in modo più generale la struttura interna dell’economia, e la legge essenziale del suo movimento. 3) Afferma e precisa l’attualità liturgica delle fasi passate dell’economia e dei libri ispirati che le contengono. […] il rapporto di continuità tra i due Testamenti. È il problema capitale della religione cristiana che la tipologia affronta direttamente. Essa si applica infatti a cogliere le corrispondenze tra eventi, istituzioni, personaggi dell’Antica Economia e quelli della Nuova Economia che è stata inaugurata dal Cristo e si consumerà nella Parusia. Occorre notare anzitutto il realismo di questa prospettiva; essa non si pone al livello letterario dei testi, ma al livello oggettivo dei fatti: coglie un rapporto reale di analogia tra le cose. Ed è in ciò che la tipologia si distingue dall’allegoria, la quale è al contrario un fenomeno puramente letterario: essa non è scritta nelle cose, ma unicamente nell’intenzione di chi la stabilisce. Questi crea artificialmente un rapporto tra due cose, o, più spesso, tra una cosa e un’idea. La realtà o meno del fatto di cui ci si serve per fare l’allegoria non ha alcuna importanza. Spesso il fatto è inventato: e, se anche il fatto è reale, è inventato il rapporto tra il fatto e l’idea. L’allegoria evacua la storia. La tipologia invece si fonda su di essa e coglie un rapporto reale, scritto negli stessi eventi. Ognuno di essi è vera storia irrepetibile: è a suo modo un ephapax; ma si iscrive in una economia storica di cui il Cristo rappresenta la peripezia decisiva. Tutto si situa dunque in rapporto a questo vertice, e da questo rapporto riceve il suo senso ultimo. D’altra parte il Cristo è una realtà complessa che abbraccia, per dir così, parecchie fasi. La tipologia si diversifica dunque secondo i diversi aspetti del Cristo a cui si riferisce. Ci sarà una tipologia cristica che si riferisce al Cristo nella sua esistenza storica. Una tipologia ecclesiale che si riferisce alla vita del Cristo nella Chiesa. Una tipologia mistica che si riferisce alla vita di Cristo nelle singole anime. E una tipologia escatologica, che si riferisce al Cristo nella sua Parusia gloriosa. Sono i classici sensi scritturistici che, designati con una terminologia un po’ fluttuante, hanno comandato tutta l’esegesi patristica e medievale. Molteplicità di sensi? In certo modo sì, perché gli aspetti considerati sono diversi. Ma in un altro senso no, perché la realtà in questione è sempre la stessa. Sono quattro diverse dimensioni dell’unico senso scritturistico. E poiché la Liturgia abbraccia tutte le fasi del mistero di Cristo, un testo biblico inserito nella Liturgia acquista, per il fatto stesso, tutte queste dimensioni. Ci si allontana in tal modo dal senso letterale dei testi? Affermarlo significherebbe supporre che il senso tipologico si opponga a quello letterale, mentre ne è solo il prolungamento. Charlier lo ha mostrato con una profonda analisi del senso scritturistico. La Bibbia ha un solo senso: quello oggettivo che Dio ha voluto darle e a cui collaborano, ciascuno sul proprio piano, Dio e l’agiografo ispirato. Ne risulta un unico senso teandrico, perché è pensiero divino incarnato in un processo umano. Eppure c’è una dualità profonda: non dualità di sensi, ma dualità di prospettive successive in armonica progressione, all’interno dell’unico senso.

La storia sacra è un solo grande mistero vivente, sempre aperto verso il compimento finale, che si avrà quando l’ultimo eletto entrerà nella gloria. La sua trama sono le opere di Dio: magnalia Dei. Dio continua le sue opere anche nella Chiesa, che è una fase della storia della salvezza. Siamo dunque in piena storia santa. E le grandi azioni divine del tempo presente sono gli atti liturgici, sono i Sacramenti. In essi è sempre e ancora il grande dramma della salvezza che continua, perché prolungano le «mirabilia Dei» dell’A. e del N.T. E poiché Dio ha delle costanti nel suo modo di agire, hanno con esse una analogia di fondo, secondo la grande legge dell’economia che la tipologia coglie e definisce. C’è dunque corrispondenza e continuità tra la storia biblica e il mondo sacramentale.

M. Magrassi, “Tipologia biblica e patristica e Liturgia della Parola”, Rivista Liturgica 53(1966) 165-193: un estratto dell’articolo è scaricabile qui: M. Magrassi, Tipologia…

Finalmente Adamo si lascerà trovare?

Abbiamo più volte presentato la Quaresima come un viaggio, il viaggio che Adamo dovrà fare per tornare dal suo esilio verso il Paradiso:

cf. – http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/02/26/sulla-soglia-della-quaresima-con-adamo-in-viaggio-si-ritorna-in-paradiso/ ; – http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/03/i-miei-progenitori-seguii-nella-loro-rivolta-eccoci-di-nuovo-con-adamo/

La liturgia del Triduo pasquale ci rivela che questo viaggio di ritorno è possibile solamente perché è preceduto dal viaggio del Nuovo Adamo, che scende agli inferi alla ricerca del progenitore e lo trae con sè nel regno dei cieli. Dal nascondimento e dall’estraneità Adamo può ora passare alla comunione con Dio, come afferma uno dei testi più mirabili della letteratura patristica: “Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura…Io non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono” (1)

Accoglierà Adamo questo invito, o nella sua superbia preferirà rimanere nascosto, eludendo ancora una volta quell’antica e sempre nuova domanda: “Dove sei?”(2) ? A giudicare dall’inconografia, il primo Adamo ha saputo approfittare di questa grazia, slanciandosi verso Cristo trionfante, accogliendo le mani di Lui, protese per strapparlo fuori dagli inferi.

icona-discesa-agli-inferi

L’antico padre ha quindi imparato che la domanda ascoltata nel primo Eden non celava una condanna già decisa, non era retorica accusatoria: l’interrogare di Dio non è mai sterile né fine a se stesso, tantomeno un rinfacciare la colpa; quella domanda non era curiosità maliziosa, non serviva a Dio, ma all’uomo, come dice Ruperto di Deutz: “E a ciò tendeva la benignità di Colui che lo cercava: che chi era cercato trovasse se stesso, e si rendesse conto di che cosa aveva perduto [Hoc enim benignitas quaerentis intendebat, ut is qui quaerebatur seipsum inveniret et sciret, quid perdidisset, quid commeruisset] (3). Nella liturgia della Veglia pasquale è risuonata una domanda analoga: “Perché, Israele? Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera?” (Bar 3,10; VI lettura).

Ora, secondo l’anonimo omileta, nel profondo degli inferi è risuonata la stessa parola, ma con un diverso effetto: Adamo non si nasconde più: “Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: ‘Sia con tutti il mio Signore’. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: ‘E con il tuo spirito’. E, presolo per mano, lo scosse dicendo: ‘ Svegliati, tu che dormi…[…] A te comando: Svegliati tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui!”.

Adamo ha trovato se stesso, come il Figliol prodigo (4); può abbandonare il nascondimento e l’esilio. L’antica paura è dissolta, l’amore vince il timore!

La liturgia della cinquantina pasquale ci aiuterà affinché il vecchio Adamo che è in noi si convinca finalmente ad abbandonare la superba e infantile protesta di innocenza e il ridicolo tentativo di giustificarsi incolpando altri ma si lasci denunciare dalla verità, riconoscendo nell’amorevole rimprovero divino il segno del suo amore di Padre e non piuttosto l’accusa che inchioda, tipica invece del Nemico.

____

(1) Sabato Santo, Ufficio delle Letture, Seconda lettura: Da un’antica ‘Omelia sul Sabato santo’. L’aver collocato questo testo nella liturgia del sabato santo è un indubitabile e ineguagliabile arricchimento della Liturgia delle Ore riformata dopo il Vaticano II. Con tutto il rispetto per sant’Agostino, di cui nel Breviario Romano in questo giorno veniva letta una pagina del Commento al Salmo 63, non è proprio paragonabile la ricchezza e l’appropriatezza liturgica dell’Antica Omelia.

(2) cf. Gen 3,9; Cf. anche Sant’Agostino, La Genesi alla lettera, XI, 34-35: «Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: “Dove sei”. Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora (Increpantis vox est, non ignorantis) . […] Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. […] E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell’albero e io ne ho mangiato”. Quale superbia! Disse forse: “Ho peccato”? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l’umiltà della confessione. Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d’insegnamento. Esse mirano a farci riflettere su quale [grave] malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare. La donna – rispose – che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell’albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio! Allora Dio, il Signore, disse alla donna: “Perché hai fatto ciò?”. La donna rispose: “Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato”. Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l’altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia. Da essi tuttavia nacque – ma non l’imitò – uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: “Abbi pietà di me, Signore; guarisci l’anima mia, poiché ho peccato contro di te”. Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori. Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l’afflizione che non devono presumere di se stessi», cf. http://www.augustinus.it/italiano/genesi_lettera/index2.htm.

(3) Ruperto di Deutz, In Genesim III, 14; Edizione: Ruperti Tuitiensis De Sancta Trinitate et operibus eius, ed. H. Haacke, Turnholti 1971, CCL Continuatio Mediaevalis XXI, 250.

(4) E’ da notare che la versione italiana dell’inno Haec est dies verus Dei (Ufficio delle letture del tempo di Pasqua) traduce, interpretando, in tal modo l’originale latino Fidem refundit perditis/ caecosque visu illuminat; / quem non gravi solvit metu / latronis absolutio: Torna alla casa il prodigo / splende la luce al cieco; / il buon ladrone graziato / dissolve l’antica paura. Cf. anche http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/02/09/adamo-dove-sei-la-prima-chiamata-di-misericordia/.

La fretta della Pasqua: verso casa, verso lo sposo!

..O sposo, io mi affretto da te.

La decomposizione è fuggita, il fiume di lacrime delle infermità è seccato, la morte è morta ed ogni stoltezza sgretolata.

Il lutto che ha consumato i cuori è morto, e risplende di nuovo per gli uomini la grazia benevola di Dio.

O sposo io mi affretto da te.

Il Paradiso degli uomini non è più come un tempo vedovo, no, risuona di nuovo la Parola di Dio delle origini:

prendivi dimora, o uomo, che una volta sei stato scacciato dalla astuzia del serpente, la morte non minaccia più la tua felicità.

O sposo, io mi affretto da te.

O Dio beato, tu abiti nel puro trono del cielo dell’eternità, e con la forza originaria tu dai unità all’esistenza:

O Padre, ti preghiamo,

concedi che noi pure, insieme col tuo Figlio, andiamo verso casa attraverso la porta della vita.

Metodio di Filippi, Convito delle dieci vergini, Inno, 20-24.

Buona Pasqua a tutti i lettori!

A presto.