La memoria liturgica di Sant’Agnese e la menzione di Melchisedech nella prima lettura potrebbero essere occasioni per scegliere il Canone I come preghiera eucaristica nella celebrazione della messa di oggi (Feria V, II sett. T. Ordinario, I; sant’Agnese, Vergine e martire): oltre alla menzione di Agnese nella commemorazione dei santi (partem aliquam et societatem donare digneris cum tuis sanctis Apostolis et martyribus: cum….Agnete..), risulta interessante come il Canone riprenda il personaggio biblico affascinante e misterioso di cui parla la pericope tratta dalla Lettera agli Ebrei: la liturgia, raccogliendo dati e tradizioni, riesce a fare mirabile sintesi di Bibbia e teologia, di intuizioni e interpretazioni patristiche (1), sorprendenti nella loro ricchezza.
Senza poter offrire un’argomentazione completa ed organica, presentiamo alcuni brani tratti da autori noti e autorevoli.
J. Ratzinger ha più volte ribadito l’importanza di dare alla dimensione cosmica della liturgia il suo spazio e la sua rilevanza, e coglie nella menzione di Melchisedech un segnale di questa sfumatura, da non dimenticare:
Il sacrificio di Cristo non è ormai alle nostre spalle come un evento del passato. Esso tocca tutti i tempi ed è presente a noi. L’Eucaristia non è semplicemente un attingere dal passato, ma è presenza del Mistero pasquale di Cristo – mistero che supera ed unisce tutti i tempi. Se il Canone Romano cita Abele, Abramo, Melchisedeck e li definisce come partecipanti all’Eucaristia, lo fa nella convinzione che anche in essi, i grandi sacrificanti, Cristo passava attraverso i tempi, o forse meglio: che essi nella loro ricerca andavano incontro a Cristo. La teologia dei Padri che troviamo nel Canone non nega la vanità e l’insufficienza dei sacrifici pre-cristiani; il Canone, del resto, con le figure di Abele e Melchisedek coinvolge nel mistero di Cristo anche i “santi pagani”. E’ proprio questo che avviene: si rende evidente il lato insufficiente e vago di ciò che precede, ma anche il fatto che Cristo attira tutto a sé; che anche nel mondo pagano esiste una preparazione al Vangelo; che anche le vie distorte conducono a Cristo, per quanto abbiano bisogno di purificazioni.
Essi andavano incontro al Cristo venturo, erano anticipazioni di Cristo o, come dicono i Padri, “typoi” di Cristo. Anche chi venne prima poté entrare in quella contemporaneità con Lui che imploriamo per noi.
J. Ratzinger, Teologia della Liturgia, Opera Omnia XI, Città del Vaticano 2010, 747.67.
Una riflessione più particolareggiata sulla figura di Melchisedech la si trova in un bellissimo libretto di J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988², di cui riportiamo alcuni passaggi:
Tra le grandi figure non ebraiche dell’Antico Testamento, Melchisedech è una delle più eminenti. La Genesi non gli consacra che un breve paragrafo, carico però di significato (14,18-20), il salmo 109 ci mostra in lui il modello del sacerdote eterno, la Lettera agli Ebrei gli consacra numerosi passi. I Giudei cercheranno di diminuirlo a profitto di Abramo. Ma i cristiani esaltano in lui l’immagine del sacerdozio del Cristo e le primizie della Chiesa delle nazioni. […] Melchisedek è il gran sacerdote della religione cosmica. Egli raccoglie in sé tutto il valore religioso dei sacrifici offerti dalle origini del mondo sino ad Abramo e attesta il gradimento di Dio. […] La grandezza di Melchisedek non è solo essere la più perfetta espressione del suo ordine proprio, ma di essere la figura di colui che sarà il gran sacerdote eterno e che offrirà il perfetto sacrificio. [….] Il salmista [cf. il Sal 109] annunciava che alla fine dei tempi sarebbe apparso l’ultimo grande sacerdote, colui che sarebbe stato il gran sacerdote in eterno, perché avrebbe esaurito la realtà del sacerdozio e perché non sarebbe stata possibile l’esistenza di altri dopo di lui. E’ questo testo che la Lettera agli Ebrei applicherà a Gesù, attestando come si realizzi in Lui (Eb 4,6) …. i titoli stessi di Melchisedek si caricano di un misterioso simbolismo, la giustizia e la pace si riuniscono in lui, la giustizia e la pace di cui il Sal 84,11 dice che si sono abbracciate. […] I sacrifici che venivano offerti fino ad allora [fino a Cristo] esprimevano lo sforzo dell’uomo di riconoscere la sovranità di Dio. Ma il loro sforzo non aveva successo a causa dell’eccessiva sproporzione tra la fragilità dell’uomo e la santità di Dio. Sacrifici pagani di Melchisedek, sacrifici ebraici di Aronne, tutti si urtavano contro la soglia invalicabile. Essi non penetravano nel santuario, e la loro stessa ripetizione ne attestava il fallimento. Per questo, nella pienezza dei tempi, il Figlio dell’Uomo, unito alla natura dell’uomo da un legame indistruttibile, si è fatto obbediente fino alla morte e fino alla morte di croce, manifestando con la sua obbedienza l’infinita amabilità della volontà divina e rendendo così a Dio un gloria perfetta. Ora la gloria di Dio è il fine stesso della creazione. Così, nell’azione sacerdotale di Gesù Cristo, Dio è stato perfettamente glorificato in modo che nessuna gloria nuova gli possa più essere data. Tutti gli altri sacrifici sono così aboliti e noi non potremo ormai offrire al Padre che l’unico sacrificio di Gesù Cristo, di cui ogni eucaristia è il sacramento attraverso l’unico sacerdozio di Gesù Cristo, di cui ogni sacerdozio è la partecipazione. Abolendo però così tutti i sacrifici antichi, Gesù Cristo non li distrugge, ma li compie. Attraverso Lui tutti i sacrifici di tutte le nazioni, ogni sforzo dell’uomo per glorificare Dio è rivolto al Padre e giunge sino a Lui. E la menzione del sacrificio di Melchisedek, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam, nella preghiera eucaristica I attesta che non solo i sacrifici del Tempio di Israele, ma anche quelli del mondo pagano sono così ripresi e assunti nel sacrificio del Sommo Sacerdote eterno.
J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988², 107-113, passim.
Infine, un testo del Sacramentario Veronense: si tratta di un prefazio di un formulario di Messa per il Natale:
Vere dignum: tuae laudis hostiam iugiter immolantes, cuius figuram Abel iustus instituit, agnus quoque legalis ostendit, celebravit Abraham, Melchisedehaec sacerdos exhibuit, sed verus agnus et aeternus pontifex hodie natus Christus implevit [E’ Abele, il giusto, che inaugurato la figura di questo sacrificio; l’agnello pasquale della legge l’ha rappresentata; Abramo l’ha celebrata; il sacerdote Melchisedek l’ha mostrata; ma è il vero agnello, l’eterno sommo sacerdote, nato oggi, che l’ha realizzata compiutamente] (Ve 1250)

Mosaico di sant’Apollinare in Classe (Ravenna), VI sec.: i tre personaggi Abele, Melchisedech, Abramo, sono raffigurati intorno all’altare come concelebranti.
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(1) “Siamo in piena tipologia. Il sacrficio di Abramo è un sacrificio profetico di quello di Cristo. Così pure Abele che è l’immagine del sacrificio di Cristo, giusto tra tutti, ucciso per la sua giustizia. Melchisedek è usato dalla Lettera agli Ebrei per illustrare la inadeguatezza degli antichi sacrifici e la perfezione del nuovo. Con la citazione del sacrificio di Melchisedek si mostra che gli antichi sacrifici – anche se accetti a Dio – traggono il loro valore dal fatto che sono prefigurativi e profetici del sacrficio di Cristo”: E. Mazza, Le odierne Preghiere Eucaristiche, 1, Struttura, Teologia, Fonti, Bologna 1991², 169.