Gaudium et Spes: echi liturgici inattesi.

Ci perdoneranno i salesiani e i devoti di san Giovanni Bosco, se ci permettiamo un piccolo rilievo sulla seconda lettura dell’Ufficio del giorno di oggi, 31 gennaio, sabato della terza settimana del Tempo Ordinario. La lettura propria della memoria liturgica offre certamente considerazioni interessanti e attuali per ogni educatore, ma dal punto di vista liturgico è degno di nota il fatto che nella seconda lettura proposta per l’ufficio del giorno, un brano della Gaudium et Spes (n. 18.22 Il mistero della morte), sia incastonata una citazione tratta dalla liturgia bizantina.

Tale e così grande è il mistero dell’uomo che si manifesta agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione cristiana! Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che senza il suo Vangelo sarebbe insopportabile. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita, perché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abbà, Padre! (GS 22) [Christus resurrexit, morte sua mortem distruens, vitamque nobis largitus est].

La nota del testo ufficiale recita: Liturgia Paschalis Byzantina. In effetti, si tratta di un tropario che dalla Pasqua a Pentecoste i cristiani orientale ripetono migliaia di volte: “Cristo è risorto dai morti, con la morte ha distrutto la morte, e a quelli nelle tombe ha donato la vita!“. Evidentemente, al Concilio, un Padre o un perito conservava potente nel cuore un eco delle celebrazioni liturgiche.

cf. http://www.calendariobizantino.it/calendario-4.923176800.html; o anche: http://www.cantualeantonianum.com/2012/04/tropario-pasquale-cristo-ha-calpestato.html;

Anche nella tradizione romana e papale si riscontrano tracce di questo tropario. Da qualche anno è di nuovo rientrato nelle consuetudini particolari della liturgia pontificia: cf. http://www.vatican.va/news_services/liturgy/documents/ns_lit_doc_20010415_pasqua2001_it.html

“Parleranno le pietre…e anche le carte”. Mons. Jenny, il Vaticano II e la liturgia.

Ultimamente abbiamo dovuto ridurre notevolmente la frequenza di nuovi post, a causa di diversi impegni. Ma abbiamo avuto, allo stesso tempo, la possibilitò di acquisire abbondante materiale per prossime pubblicazioni. Fra l’altro, ci è stata data la grazia di viaggiare fino a Cambrai (Francia), sede episcopale di mons. Henri Jenny, che cominciò il suo ministero come ausiliare e poi come arcivescovo. Nella cattedrale di Cambrai abbiamo pregato sulla sua tomba, prima di accedere alle sua carte, conservate con ordine nell’Archivio diocesano.

I lettori del blog potranno ricordare vari articoli sull’opera e sull’importanza dell’allora giovane vescovo, durante la fase preparatoria del Concilio Vaticano II. Su questo tema, fra pochi giorni, dovrebbe uscire un nostro articolo sulla rivista Ecclesia Orans, con testi inediti.

Il materiale che si è potuto consultare è abbondante, e avremo modo di studiarlo con calma e di renderlo accessibile. Per ora possiamo testimoniare l’impegno e lo zelo di mons. Jenny, che si evince dalle note personali che accompagnano i testi ufficiali, dalle bozze dei suoi interventi, dalle riflessioni raccolte, e dalla molteplicità dei suoi contatti e della sua corrispondenza. Il fondo Jenny non è ancora del tutto classificato, ma pare comunque ben ordinato e preciso.

Significative sono le parole poste sulla lapide di mons. Jenny, situata in una cappella laterale, dove spicca la tomba del vescovo Fénelon.

SAMSUNG

….

AU SECOND CONCILE DU VATICAN

MEMBRES DES COMMISSIONS LITURGIQUES

PRECONCILIAIRE ET CONCILIAIRE

ET DU CONSEIL POUR L’APPLICATION

DE LA CONSTITUTION SUR LA LITURGIE

IL PRIT UNE PARTE ACTIVE A LA PROCLAMATION

DANS LES DOCUMENTS ET REFORMES CONCILIAIRES

DU MYSTERE PASCAL

QU IL AVAIT DES LE DEBUT DE SON MINISTERE

ANNONCE DANS SON ENSEIGNEMENT DES ECRITURES

CELEBRE DANS LA SAINTE LITURGIE

ET RENDU PRESENTE A TOUTE SA VIE

APRES AVOIR PREPARE AVEC AMOUR

L’AVENEMENT DU SEIGNEUR

IL ACHEVA SA PROPRE PAQUE..

….

SAMSUNG

La lapide commemorativa di mons. Jenny è quella a sinistra del pannello fotografico in ricordo di Fénelon, parzialmente coperta dallo stesso.

SAMSUNG

Ecco i link ai precedenti post su mons. Jenny:

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/11/12-novembre-1960-quellultimo-intervento-che-cambio-tutto/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/14/pontificia-commissio-praeparatoria-de-liturgia-subcommissio-i/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/11/04/auctoritates-conciliari/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/01/24/non-cuiuscumque-reformationis-cupidi-nec-novationis-malo-pruritu-accensi/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/24/commissio-conciliaris-de-liturgia-le-adunanze-con-un-convitato-di-pietra/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/16/dopo-p-bevilacqua-mons-jenny-appunti-dei-protagonisti/

Melchisedech, tuo sommo sacerdote. In margine al lezionario di oggi.

La memoria liturgica di Sant’Agnese e la menzione di Melchisedech nella prima lettura potrebbero essere occasioni per scegliere il Canone I come preghiera eucaristica nella celebrazione della messa di oggi (Feria V, II sett. T. Ordinario, I; sant’Agnese, Vergine e martire): oltre alla menzione di Agnese nella commemorazione dei santi (partem aliquam et societatem donare digneris cum tuis sanctis Apostolis et martyribus: cum….Agnete..), risulta interessante come il Canone riprenda il personaggio biblico affascinante e misterioso di cui parla la pericope tratta dalla Lettera agli Ebrei: la liturgia, raccogliendo dati e tradizioni, riesce a fare mirabile sintesi di Bibbia e teologia, di intuizioni e interpretazioni patristiche (1), sorprendenti nella loro ricchezza.

Senza poter offrire un’argomentazione completa ed organica, presentiamo alcuni brani tratti da autori noti e autorevoli.

J. Ratzinger ha più volte ribadito l’importanza di dare alla dimensione cosmica della liturgia il suo spazio e la sua rilevanza, e coglie nella menzione di Melchisedech un segnale di questa sfumatura, da non dimenticare:

Il sacrificio di Cristo non è ormai alle nostre spalle come un evento del passato. Esso tocca tutti i tempi ed è presente a noi. L’Eucaristia non è semplicemente un attingere dal passato, ma è presenza del Mistero pasquale di Cristo – mistero che supera ed unisce tutti i tempi. Se il Canone Romano cita Abele, Abramo, Melchisedeck e li definisce come partecipanti all’Eucaristia, lo fa nella convinzione che anche in essi, i grandi sacrificanti, Cristo passava attraverso i tempi, o forse meglio: che essi nella loro ricerca andavano incontro a Cristo. La teologia dei Padri che troviamo nel Canone non nega la vanità e l’insufficienza dei sacrifici pre-cristiani; il Canone, del resto, con le figure di Abele e Melchisedek coinvolge nel mistero di Cristo anche i “santi pagani”. E’ proprio questo che avviene: si rende evidente il lato insufficiente e vago di ciò che precede, ma anche il fatto che Cristo attira tutto a sé; che anche nel mondo pagano esiste una preparazione al Vangelo; che anche le vie distorte conducono a Cristo, per quanto abbiano bisogno di purificazioni.

Essi andavano incontro al Cristo venturo, erano anticipazioni di Cristo o, come dicono i Padri, “typoi” di Cristo. Anche chi venne prima poté entrare in quella contemporaneità con Lui che imploriamo per noi.

J. Ratzinger, Teologia della Liturgia, Opera Omnia XI, Città del Vaticano 2010, 747.67.

Una riflessione più particolareggiata sulla figura di Melchisedech la si trova in un bellissimo libretto di J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988², di cui riportiamo alcuni passaggi:

Tra le grandi figure non ebraiche dell’Antico Testamento, Melchisedech è una delle più eminenti. La Genesi non gli consacra che un breve paragrafo, carico però di significato (14,18-20), il salmo 109 ci mostra in lui il modello del sacerdote eterno, la Lettera agli Ebrei gli consacra numerosi passi. I Giudei cercheranno di diminuirlo a profitto di Abramo. Ma i cristiani esaltano in lui l’immagine del sacerdozio del Cristo e le primizie della Chiesa delle nazioni. […] Melchisedek è il gran sacerdote della religione cosmica. Egli raccoglie in sé tutto il valore religioso dei sacrifici offerti dalle origini del mondo sino ad Abramo e attesta il gradimento di Dio. […] La grandezza di Melchisedek non è solo essere la più perfetta espressione del suo ordine proprio, ma di essere la figura di colui che sarà il gran sacerdote eterno e che offrirà il perfetto sacrificio. [….] Il salmista [cf. il Sal 109] annunciava che alla fine dei tempi sarebbe apparso l’ultimo grande sacerdote, colui che sarebbe stato il gran sacerdote in eterno, perché avrebbe esaurito la realtà del sacerdozio e perché non sarebbe stata possibile l’esistenza di altri dopo di lui. E’ questo testo che la Lettera agli Ebrei applicherà a Gesù, attestando come si realizzi in Lui (Eb 4,6) …. i titoli stessi di Melchisedek si caricano di un misterioso simbolismo, la giustizia e la pace si riuniscono in lui, la giustizia e la pace di cui il Sal 84,11 dice che si sono abbracciate. […] I sacrifici che venivano offerti fino ad allora [fino a Cristo] esprimevano lo sforzo dell’uomo di riconoscere la sovranità di Dio. Ma il loro sforzo non aveva successo a causa dell’eccessiva sproporzione tra la fragilità dell’uomo e la santità di Dio. Sacrifici pagani di Melchisedek, sacrifici ebraici di Aronne, tutti si urtavano contro la soglia invalicabile. Essi non penetravano nel santuario, e la loro stessa ripetizione ne attestava il fallimento. Per questo, nella pienezza dei tempi, il Figlio dell’Uomo, unito alla natura dell’uomo da un legame indistruttibile, si è fatto obbediente fino alla morte e fino alla morte di croce, manifestando con la sua obbedienza l’infinita amabilità della volontà divina e rendendo così a Dio un gloria perfetta. Ora la gloria di Dio è il fine stesso della creazione. Così, nell’azione sacerdotale di Gesù Cristo, Dio è stato perfettamente glorificato in modo che nessuna gloria nuova gli possa più essere data. Tutti gli altri sacrifici sono così aboliti e noi non potremo ormai offrire al Padre che l’unico sacrificio di Gesù Cristo, di cui ogni eucaristia è il sacramento attraverso l’unico sacerdozio di Gesù Cristo, di cui ogni sacerdozio è la partecipazione. Abolendo però così tutti i sacrifici antichi, Gesù Cristo non li distrugge, ma li compie. Attraverso Lui tutti i sacrifici di tutte le nazioni, ogni sforzo dell’uomo per glorificare Dio è rivolto al Padre e giunge sino a Lui. E la menzione del sacrificio di Melchisedek, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam, nella preghiera eucaristica I attesta che non solo i sacrifici del Tempio di Israele, ma anche quelli del mondo pagano sono così ripresi e assunti nel sacrificio del Sommo Sacerdote eterno.

J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988², 107-113, passim.

Infine, un testo del Sacramentario Veronense: si tratta di un prefazio di un formulario di Messa per il Natale:

Vere dignum: tuae laudis hostiam iugiter immolantes, cuius figuram Abel iustus instituit, agnus quoque legalis ostendit, celebravit Abraham, Melchisedehaec sacerdos exhibuit, sed verus agnus et aeternus pontifex hodie natus Christus implevit [E’ Abele, il giusto, che inaugurato la figura di questo sacrificio; l’agnello pasquale della legge l’ha rappresentata; Abramo l’ha celebrata; il sacerdote Melchisedek l’ha mostrata; ma è il vero agnello, l’eterno sommo sacerdote, nato oggi, che l’ha realizzata compiutamente] (Ve 1250)

Mosaico di sant'Apollinare in Classe (Ravenna), VI sec.: i tre personaggi Abele, Melchisedech, Abramo, sono raffigurati intorno all'altare come concelebranti.

Mosaico di sant’Apollinare in Classe (Ravenna), VI sec.: i tre personaggi Abele, Melchisedech, Abramo, sono raffigurati intorno all’altare come concelebranti.

_________

(1) “Siamo in piena tipologia. Il sacrficio di Abramo è un sacrificio profetico di quello di Cristo. Così pure Abele che è l’immagine del sacrificio di Cristo, giusto tra tutti, ucciso per la sua giustizia. Melchisedek è usato dalla Lettera agli Ebrei per illustrare la inadeguatezza degli antichi sacrifici e la perfezione del nuovo. Con la citazione del sacrificio di Melchisedek si mostra che gli antichi sacrifici – anche se accetti a Dio – traggono il loro valore dal fatto che sono prefigurativi e profetici del sacrficio di Cristo”: E. Mazza, Le odierne Preghiere Eucaristiche, 1, Struttura, Teologia, Fonti, Bologna 1991², 169.

“Una stessa origine” (2): infatti “L’uno e l’altro è nato in essa”..

Chissà: se non avessimo da poco pubblicato il post precedente [https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/01/13/una-stessa-origine-notazioni-e-assonanze-in-margine-al-lezionario/] l’attenzione si sarebbe soffermata sull’estratto di una tesi giacente fra le nuove acquisizioni della Biblioteca del Pontificio Istituto Liturgico? Probabilmente no. Ma avendo ancora in testa l’espressione biblica ‘provengono da una stessa origine’, non poteva sfuggire un libretto intitolato “L’uno e l’altro è nato in essa”….

Sfogliando le pagine dell’estratto, abbiamo notato alcuni spunti interessanti, fra i quali un commento ai formulari delle Messa “Maria Vergine fonte di vita e di luce”, cui si faceva cenno nel precedente post. In vista di un eventuale ulteriore approfondimento, ci limitiamo a citare alcuni passaggi significativi per il tema che si stava sviluppando.

Come gli eventi salvifici dell’infanzia di Cristo guardano all’evento della Pasqua come al loro compimento, così la maternità divina di Maria guarda alla maternità spirituale della Pasqua – Croce (cf. Gv 19,25), (cf. At 1,14) – come alla sua pienezza. […] Il presente studio vuole approfondire la figura della Madre di Dio analizzando i testi delle letture bibliche e dell’ecologia dei formulari per il tempo pasquale della Collectio Missarum de Beata Maria Virgine. Abbiamo scelto di citare nel titolo della nostra ricerca il versetto 5b del salmo 86, che costituisce il salmo responsoriale di due dei quattro formulari presi in esame, perché l’espressione “l’uno e l’altro è nato in essa” può indicare la comune esperienza di fecondità universale della Chiesa e della Vergine Madre, che , per entrambe, sgorga dal mistero pasquale.

[….]

Il battesimo è presentato come rinascita dal grembo vergine della Chiesa di cui è figura il fonte battesimale. La rinascita dei figli della Chiesa è una creazione nuova (cf. Gv 3,3-8), i figli partoriti dalla Chiesa, infatti, sono definiti “novos”. Tale termine richiama il sepolcro nuovo (Gv 19,41 e Mt 27,60) dal quale risorgerà Gesù il giorno di Pasqua, giorno al quale i sacramenti dell’iniziazione cristiana sono particolarmente legati così come il presente formulario. La tradizione della Chiesa ha visto nel grembo vergine di Maria l’anticipazione tipologica sia del fonte battesimale sia del sepolcro dove fu deposto Gesù.

M. E. Zecchini, “L’uno e l’altro è nato in essa” (Sal 86,5b). Le celebrazioni per il Tempo pasquale nella Collectio Missarum de beata Maria Virgine, Estratto dalla tesi per il conseguimento del Dottorato in Sacra Teologia con specializzazione liturgico-pastorale presso l’Istituto di liturgia pastorale dell’Abbazia di Santa Giustina, Padova 2013, 13-14.75-76

“Una stessa origine”: notazioni e assonanze in margine al Lezionario.

“Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine” (Eb 2,11): così uno dei versetti della prima lettura assegnata dal Lezionario alla celebrazione eucaristica odierna (Feria III, II settimana del tempo Ordinario I). La traduzione della Conferenza Episcopale italiana, sia nella versione attuale, sia in quella precedente, ha scelto di rendere con “origine” quello che nel greco è semplicemente ex enos pantes, [ex uno omnes, tutti da uno], con il pronome numerale al maschile. Pare quindi che i traduttori abbiano scelto un’interpretazione (1): la nota della Bibbia di Gerusalemme riferisce infatti: “si potrebbe anche tradurre secondo il contesto ‘colui che santifica e i santificati formano un tutt’uno’. I vv. seguenti insistono su questa comunione nella carne e nel sangue, che il Figlio di Dio ha voluto assumere, e introducono così il tema essenziale della lettera, quello di Cristo sommo sacerdote”.

Ora non possiamo entrare in questioni esegetiche, che non ci competono. É assai più interessante, dalla prospettiva di un liturgista, notare alcune assonanze, che ci fanno ritornare al realismo dell’Incarnazione che abbiamo appena celebrato nel Natale del Signore. Rendendo assai concreta quella “stessa origine”.
Ci riferiamo ad alcune espressioni della predicazione natalizia di San Leone Magno, cristallizzate nei suoi Sermoni (2).

La fonte di vita che Egli ha ricevuto nel seno della Vergine, l’ha riposta nel fonte del Battesimo, ha donato all’acqua ciò che ha donato alla madre: ‘la potenza dell’Altissimo e l’azione fecondatrice’ dello Spirito Santo, per cui Maria partorì il Salvatore, è la stessa che infonde nell’acqua battesimale il potere di rigenerare il credente. [Originem quam sumpsit in utero Virginis posuit in fonte baptismatis, dedit aquae quod dedit matri: virtus enim Altissimi et obumbratio Spiritus Sancti, quae fecit ut Maria pareret Salvatore, eadem facit ut regeneret unda credentium] (Sermone 5, 5.2)

E questa sua origine spirituale noi possiamo acquistarla mediante la rigenerazione, e per ogni uomo che rinasce l’acqua del Battesimo è come il grembo della Vergine: feconda il fonte battesimale il medesimo Santo Spirito che ha fecondato anche la Vergine [Cuius spiritualem originem in regeneratione consequimur, et omni homini renascenti aqua baptismatis instar est uteri virginalis, eodem sancto Spiritu replente fontem qui replevit et virginem] (Sermone 4, 3.3)

Un concetto analogo lo si trova anche in sant’Ambrogio: “Se dunque lo Spirito Santo scendendo sopra una vergine operò il concepimento e compì la funzione generativa, non si deve certo dubitare che lo Spirito, scendendo sul fonte o su quelli che ottengono il battesimo, operi la realtà della rigenerazione” [Si ergo superveniens Spiritus Sanctus in virginem conceptionem operatus est et generationis munus implevit, non est utique dubitandum, quod superveniens in fontem Spiritus, vel super eos, qui baptismum consequuntur, veritatem regenerationis operatur] (Sui misteri, 9,59).

La Collectio Missarum de Beata Maria Virgine presenta un’interessante formulario, che raccoglie questa intuizione patristica. L’introduzione alla Messa “Maria Vergine fonte di luce e di vita” (16. Tempo di Pasqua) recita:

I sacramenti dell’iniziazione cristiana, che molto opportunamente vengono celebrati durante la Veglia Pasquale, configurano i catecumeni a Cristo: nelle acque del Battesimo li rendono figli di Dio, con l’unzione crismale e l’imposizione delle mani effondono su di loro l’abbondanza dello Spirito Santo e con la comunione al pane della vita e al calice della salvezza li fanno concorporei di Cristo. I santi Padri insegnano con una certa insistenza che i misteri di Cristo, celebrati dalla vergine madre Chiesa nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, ebbero compimento nella vergine madre Maria (cfr Prefazio): lo Spinto che santifica il grembo della Chiesa – cioè il fonte battesimale – perché generi i figli di Dio, santificò il grembo di Maria perché desse alla luce il Primogenito di molti fratelli (cfr Eb 2,11-15). Lo stesso Spirito che il giorno di Pentecoste scese sulla Vergine Maria, viene effuso sui neofiti nella celebrazione del sacramento della Cresima; la carne e il sangue che Cristo offrì sull’altare della croce per la vita del mondo e che la Chiesa ogni giorno offre nel sacrificio eucaristico, sono la carne ed il sangue che la beata Vergine Maria generò per la nostra salvezza. In questa messa si ricorda il compito materno tanto della Chiesa quanto della Vergine Maria verso i fedeli. La maternità di Maria precede quella della Chiesa, di cui e figura ed esempio (cfr LG 63).

Di quel formulario riportiamo un segmento del prefazio: “Per un dono mirabile del tuo amore tu hai voluto che nei segni sacramentali si rinnovassero misticamente gli eventi della storia della salvezza vissuti dalla Vergine Madre. Così la Chiesa, vergine feconda, partorisce nelle acque del Battesimo i figli che ha concepito dalla fede e dallo Spirito”.

_______

(1) cf. lo spagnolo: Sanctificador y sanctificados, todos proceden de uno mismo; l’inglese: He who consecrates and those who are being consecrated all have one origin; il francese: Car celui qui sanctifie, et ceux qui sont sanctifies, doivent tous avoir même origine; il latino: Qui enim sanctificat et qui sanctificantur, ex uno omnes.
(2) Leone Magno, I Sermoni del ciclo natalizio (Biblioteca Patristica 31), ed. E. Montanari – M. Naldini – M. Pratesi, Fiesole (Fi) 1998.

Sempre lui, sempre attuale: sempre J. Ratzinger

Un altro libro che raccoglie testi di J. Ratzinger!? All’aprire un pacchetto regalo ricevuto in queste feste, e di fronte alla copertina – ormai svelata – del volume J. Ratzinger – Benedetto XVI, Il potere dei segni (ed. L. Sapienza), non ho potuto non pensare: “ancora?? Ci sarà qualcosa di interessante e che non abbia letto, di J. Ratzinger?”.

La produzione del teologo baverese poi divenuto Papa è comunque sterminata e inarrivabile, ma la cosa che sorprende sempre – al di là di testi finora inediti o resi nuovamente accessibili – è la profondità, la ricchezza, e insieme la chiarezza semplice, del suo argomentare.

E così, anche da questo volume, abbiamo raccolto una perla, leggendo appena, qua e là, qualche pagina.

Siamo nel 1979, precisamente il 1 luglio, e il cardinale di Monaco sta presiedendo l’ordinazione sacerdotale di 10 diaconi. Sta pronunciando l’omelia, trattando di un tema che lui riassume con l’espressione “la non discrezionalità dell’Eucaristia”. Arriva a toccare un punto che qui interessa moltissimo: lasciamo la parola a questo gigante, ammirati da una sapienza che già allora illuminava la Chiesa. Noi non siamo di quelli che “solo per un momento hanno voluto rallegrarsi alla sua luce” (cf. Gv 5,35), abbagliati da presunte novità e rivoluzioni annunciate alle quali segue solo confusione. Per questo, grati, ci gustiamo di nuovo un testo del secolo scorso che non ha perso nulla della sua fresca attualità.

..il servizio eucaristico non può esistere senza l’annuncio costante della Parola di Dio, senza la preparazione dello spazio interiore in cui tale realtà ci interpelli. Negli ultimi anni la Chiesa si è molto adoperata per rendere l’Eucaristia comprensibile e trasparente per tutti, e questo è un bene. Allo stesso tempo, però, abbiamo dovuto renderci conto che esiste comunque un limite. Per quanto si faccia in tale direzione, l’Eucaristia non potrà mai essere ascoltata e assimilata come il quotidiano Bild o come il notiziario della Radio. Esige sempre un di più, una comprensione sempre più profonda e più ampia, e sarebbe troppo tardi voler creare questo solo nella celebrazione stessa dell’Eucaristia. In quel caso saremmo poi costretti a parlare sempre di più, tanto che alla fine cone le parole oscureremmo il grande impatto dell’azione sacra, la distruggeremmo con le parole e tuttavia, in ultima analisi, avremmo detto sempre troppo poco. L’Eucaristia deve essere preceduta dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preparazione dei sensi e del cuore a tal fine, poiché devono esservi una ascolto e una comprensione che coinvolgano anche il cuore, l’uomo nella sua interezza, il quale capisce più di quello che potrebbe percepire la mera ragione.

Entra in tale contesto anche la necessità che le persone vengano guidate sulla via della conversione, che imparino a riconoscere la colpa e ricevere il perdono. Fa parte della miseria del nostro tempo il bisogno crescente di contestare l’esistenza della colpa. L’uomo, infatti, non può sopportare la colpa, se da qualche parte non si intravede il perdono. Per questo la nega. Ma allora vive in contrasto con la verità. E chi vive contro la verità crolla interiormente. L’uomo può sopportare la sua verità – la verità della colpa – soltanto se gli viene incontro una verità nuova, più grande: la verità di Dio che si chiama perdono. E’ questo l’altre grande aspetto del ministero sacerdotale: possiamo pronunciare le parole del perdono e in tal modo rendere possibile all’uomo la verità e suscitare la vita.

J. Ratzinger – Benedetto XVI, Il potere dei segni (ed. L. Sapienza), Città del Vaticano 2011, 183-184.