Proprio per la Messa del Beato Paolo VI
Mese: settembre 2015
Un’opera senza risonanza? Forse. Comunque da farsi
In un recentissimo volume dell’Opera Omnia di Inos Biffi raccoglie una varietà di saggi, apparsi in differenti tempi e luoghi, su liturgia, sacramenti e feste, come suggerisce il titolo (1). Il capitolo settimo tratta di La riforma liturgica e i suoi frutti. Non neghiamo che abbiamo letto queste pagine con attenzione e interesse, prime fra le circa 600 dell’intero volume. Molte delle osservazioni dell’autore meriterebbero di essere sottolineate: ora preferiamo riportare per esteso una citazione autorevole, estrapolandola dal contesto (2), credendo tuttavia che non sia operazione del tutto arbitraria. Infatti, le osservazioni che il cardinale Colombo, Arcivescovo di Milano, tratteggiò presentando il nuovo messale ambrosiano, valgono anche per la riforma liturgica del rito latino e, più mai, ci paiono incoraggianti per l’opera che intendiamo, nel nostro piccolo, portare avanti con questo blog. Quindi, con la mediazione di Inos Biffi, lasciamo la parola al Cardinal Colombo.
Il nuovo messale postula di essere capito, penetrato nella sua ricchezza, tradotto nella vita spirituale del nostro popolo. La pubblicazione di un testo definitivo – per quanto definitivo possa essere detto ciò che è posto nel flusso del tempo – è un richiamo a tutti i cultori di liturgia a passare dalle elaborazioni delle ipotesi e dai vagheggiamenti delle sperimentazioni al lavoro – più faticoso ma anche più fruttuoso – di guidare alle scoperte dei tesori che la Chiesa custodisce nei suoi libri e offre instancabilmente alla pietà dei credenti. E’ un’opera senza risonanza e apparentemente monotona, perché è sempre più agevole e clamoroso cambiare un rito che un cuore. Quando l’interesse liturgico è affidato alla novità del rito più che al rinnovamento del cuore, è in agguato l’insidia della superficialità e della teatralità. Solo il ritorno a uno spirito umile e veritiero di penetrazione nell’intimo valore dei gesti e delle parole permetterà al movimento liturgico di superare il senso si sazietà e di mantenere le sue promesse. […] Attendiamo una rinascita dell’autentico spirito liturgico, alieno tanto dalle nostalgie arcaicizzanti di chi non riesce ancora a vibrare nel soffio di giovinezza con cui lo Spirito Santo in questo anni ha vivificato la Chiesa, quanto dallo sperimentalismo incontentabile di cui, inseguendo attraverso i continui cambiamenti e le effimere novità il miraggio di una celebrazione senza passività, finisce con l’essere inconcludente e con l’ingenerare nei fedeli un senso di smarrimento e di ripulsione. Lo spirito liturgico è calmo, paziente, contemplativo; è proteso più a vivere con animo nuovo i riti di sempre che ad anticipare i riti del futuro. Non si attacca sullo scoglio alle proprie concezioni, ma si immerge nel mistero ecclesiale con l’umile coscienza di chi sa che la liturgia della Chiesa trascende sempre ogni personale illuminazione e ogni erudizione. Lo spirito liturgico non ama insegnare alla Chiesa, ma preferisce mettersi alla scuola della Chiesa, desideroso di imparare ogni giorno dalla sua tradizione e dal suo vivo e attuale magistero.
G. Colombo, «Il rinnovamento della liturgia ambrosiana», in Il nuovo messale Ambrosiano. Atti della “3 giorni” 28-29-30 settembre 1976, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi religiosi, Milano 1976, 9-10.12.
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(1) I. Biffi, Liturgia, Sacramenti, Feste (Opera Omnia, Spirito e Liturgia), Milano 2015.
(2) La citazione dell’intervento del Cardinale si estende, inframmezzata da commenti e riprese, per varie pagine, integrandosi con le riflessioni dell’autore, cf. Biffi, Liturgia, Sacramenti…, 74-81
Uno Sposo che è un Signore.
La ministerialità della Chiesa nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione è stata compresa e descritta secondo diverse interpretazioni e figure. Possiamo citare fra l’altro l’immagine della compagine ecclesiale come un corpo, ferito e lacerato dai peccati dei suoi membri, che per essere pienamente riconciliati devono fare i conti anche con i danni inferti alla comunità, ed in questo senso si spiega l’espulsione e l’allontanamento dalla piena comunione e tutta una serie di esercizi penitenziali, fino alla nuova accoglienza, vagliato e provato il pentimento. Altra figura che contempla un’esercizio attivo della Chiesa è la comprensione della penitenza come un giudizio, in cui il ministero ecclesiale ha un ruolo ben preciso di indagine, valutazione e comminazione della penitenza e, poi, di assoluzione.
Una lettura, che non esclude le altre, è quella che ci viene dalla lettura patristica dell’Ufficio delle Letture di quest’oggi, venerdì della ventitreesima settimana del tempo Ordinario. In essa, la cooperazione del ministero ecclesiale nella riconciliazione è vista come dote nuziale che Cristo Capo fa alla sua Sposa, da Lui associata a sé e resa partecipe realmente ed efficacemente al dono della riconciliazione, come uno sposo signorile e galante che non fa nulla senza la sua amata, foss’anche quest’ultima umile di origine e di mezzi: avendola scelta e amandola, la considera – come dice un’odierna formula di benedizione nuziale – pari nella dignità. Un grande cardinale qualche anno fa, diede un simpatico attributo a questo Sposo, che seppur celeste, per temperamento e geloso amore per la sua Chiesa Sposa, potrebbe essere assimilato ad uno sposo meridionale (1).
La metafora sponsale, insieme alle altre visioni, non potrebbe dunque riuscire a dare un nuovo respiro alla teologia del ministero della penitenza?
Lasciamo ora la parola all’autore medioevale:
Due sono le cose che sono riservate a Dio solo: l’onore della confessione e il potere della remissione. A lui noi dobbiamo fare la nostra confessione; da lui dobbiamo aspettarci la remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati e perciò a lui ci si deve confessare. Ma l’Onnipotente, avendo preso in sposa una debole e l’eccelso una di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina e colei che gli stava sotto i piedi la pose al suo fianco. Uscì infatti dal suo costato, donde la fidanzò a sé.
E come tutte le cose del Padre sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo sposo ha dato tutte le cose sue alla sposa, e lo sposo ha condiviso tutto quello che era della sposa, che pure rese una cosa sola con se stesso e con il Padre. Voglio, dice il Figlio al Padre, pregando per la sposa, che come io e tu siamo una cosa sola, così anch’essi siano una cosa sola con noi (cfr. Gv 17, 21).
Lo sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e uno con la sposa; quello che ha trovato di estraneo nella sposa l’ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno. Quanto appartiene per natura alla sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l’ha regalato alla sposa. Egli annullò ciò che era del diavolo, assunse ciò che era dell’uomo, donò ciò che era di Dio. Per questo quanto è della sposa è anche dello sposo.
Ed ecco allora che colui che non commise peccato e sulla cui bocca non fu trovato inganno, può dire: «Pietà di me, o Signore: vengo meno» (Sal 6, 3), perché colui che ha la debolezza di lei, ne abbia anche il pianto e tutto sia comune allo sposo e alla sposa. Da qui l’onore della confessione e il potere della remissione, per cui si deve dire: «Va’ a mostrarti al sacerdote» (Mt 8, 4).
Perciò nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo e Cristo non vuol rimettere nulla senza la Chiesa. Nulla può rimettere la Chiesa se non a chi è pentito, cioè a colui che Cristo ha toccato con la sua grazia; Cristo nulla vuol ritenere per perdonato a chi disprezza la Chiesa. «Quello che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi. Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Mt 19, 6; Ef 5, 32). Non voler dunque smembrare il capo dal corpo. Il Cristo non sarebbe più tutto intero. Cristo infatti non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale ed integro è capo e corpo ad un tempo; per questo dice: «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13). Questi è il solo uomo che rimette i peccati.[Dai Discorsi del Beato Isacco, abate del Monastero della Stella (Disc. 11: PL 194,1728-1729)]
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(1) Il Cardinale Biffi così in una battuta al termine di una sua Conferenza al Meeting per l’amicizia dei popoli di Rimini: «Mi viene in mente di dire una cosa, ma è un po’ grossa, non so se devo dirla, mah! Vorrei darvi un consiglio da amico: cerchiamo di non parlare male della Chiesa, perché la Chiesa è la Sposa di Cristo, al giorno del Giudizio noi dovremo affrontare lo Sposo il quale è un meridionale, eh!»: cf. http://www.tracce.it/?id=266&id2=190&id_n=5220