XXII Domenica del T.Ordinario (B): “Giacomo bis” ovvero la rivicinta dell’apostolo Giacomo e della sua breve lettera

Chissà se i curatori della traduzione italiana delle Collette del Messale Romano si saranno accorti della circostanza, assai rara per il tempo Ordinario, prodotta dalle loro scelte linguistiche: fra eucologia e testi biblici vi è una corrispondenza non solo tematica o allusiva ma, pare proprio così, una vera citazione esplicita. Anche se, ovviamente, si tratta solo di alcune parole, considerando la brevità della sua Lettera il trovare due citazioni dello stesso passo di Giacomo in un sola domenica pare proprio degno di menzione.

Il primo e più importante testo è la seconda lettura, che secondo il calendario dell’Anno B, propone una sezione del primo capitolo, che inizia con il versetto 17: «Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce…».

Ma tale espressione risuona già qualche minuto prima: «O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te…», recita la lezione italiana della Colletta. Si potrebbero sollevare diverse questioni sulla traduzione dell’intera colletta, ma per ora soprassediamo per sottolineare questo dato: pare che in questo specialissimo caso la resa dei traduttori, nonostante non paia una traduzione rigorosamente fedele, si risolve in una coincidenza a nostro avviso felice.

L’originale latino recita così: «Deus virtutum, cuius est totum quod est optimum…», da alcuni reso più letteralmente: «Dio degli eserciti, al quale appartiene tutto ciò che è perfettamente buono». La traduzione ufficiale preferisce usare un’espressione biblica, prendendola in prestito dalla Lettera di Giacomo. Se tale eco ci pare intenzionale e voluta, altrettanto non possiamo dire della curiosa ripetizione della stesse parole nei testi della stessa messa. Giacomo avrà giocato, tramite la liturgia, un piccolo scherzo? Allora, davvero, dietro i tecnicismi, le tabelle e gli altri strumenti umani con cui è stato composto il messale, è possibile immaginare un’organismo vivo, che trascende l’opera dei pur necessari liturgisti. Ogni tanto questo è più evidente.

Altri legami potrebbero essere trovati fra la colletta di questa domenica e i testi biblici dell’anno B. Per ora fermiamoci qui, onorando san Giacomo e la sua ripetuta presenza.

Per i più curiosi offriamo la possibilità di un confronto con alcune altre lingue.

Inglese: «(C) God of might, giver of every good gift..; (L) All good giving and every percet gift is from above…».

Francese: «(C) Dieu puissant de qui vient tout don parfait…; (L) …les présents les meilleurs, les dons parfaits, proviennent tous d’en haut…».

Spagnolo: «(C) Dios todopoderoso, de quien procede todo bien..; (L) Todo beneficio y todo don perfecto viene de arriba…».

Portoghese: «(C) Deus do universo, de quem procede todo o dom perfeito..; (L) Toda a boa dádiva e todo o dom perfeito vêm do alto…».

Il ginepraio si sta diradando? In margine a recenti pubblicazioni sul sacramento della penitenza.

A distanza ravvicinata, in questi ultimi tempi sono stai pubblicati studi interessanti sulla storia liturgica del sacramento della penitenza: che si stia per colmare quella lacuna ormai ingiustificabile sulla dimensione celebrativa del quarto sacramento? In effetti, se abbondano studi con taglio giuridico, dogmatico e morale, che ci rendono edotti su dettagli anche minimi dell’amministrazione della riconciliazione sacramentale, se cercassimo monografie e approfondimenti sulla vera e propria liturgia penitenziale, rimarremmo sorpresi dalla scarsità di bibliografia. Il grande J. Jungmann, a proposito della complessità delle questioni intorno alla storia liturgica della penitenza, parlava espressamente di «ginepraio» (1)! Ma, dicevamo, questo fenomeno pare in controtendenza. Oltre ad alcuni contributi apparsi negli atti di Convegni organizzati dalla Penitenzieria Apostolica (2), anche la prestigiosa collana «Subsidia» delle «Ephemerides Liturgicae» pubblica, in numeri piuttosto ravvicinati, due saggi sulla liturgia della penitenza (3): il primo, di qualche anno fa, sulla penitenza pubblica nel Sacramentario Gelasiano ed il secondo, recentemente, sulla penitenza – questa volta privata – nel Pontificale Romano-Germanico. Non possiamo che apprezzare questi tentativi di ricostruzione e di interpretazioni di ritualità poco studiate, intorno alle quali rimane ancora incertezza. Ricordiamo, fra l’altro, la discussione della tesi del Florentino, durante la quale il censore, il prof. C. Folsom, si disse ammirato del notevole sforzo di ricostruzione del contesto simbolico e rituale che può, tuttavia, essere accettato scientificamente solo affermando che nel Sacramentario stesso non ve ne è menzione esplicita.

Ci sia permessa un’annotazione altrettanto personale a proposito dell’ultimo volume – comunque ricchissimo di informazioni e dati -: stupisce vedersi citati e considerati quasi come un’autorità, per una questione che era stata trattata solo di passaggio, mentre il centro e la forza del nostro studio era diretta a tutt’altro argomento. Infatti,  cercando di focalizzarci sull’ultima riforma della penitenza, abbiamo dovuto tratteggiare – davvero troppo brevemente – la storia della penitenza nel corso dei secoli, fra i quali quelli in cui si passò dall’assoluzione al termine di un processo penitenziale più o meno lungo all’assoluzione concessa immediatamente dopo la confessione delle colpe. Anche se l’autore ci cita senza alcuna critica e in modo categoricamente assertivo – «M. Felini situa questo cambiamento all’interno dell’epoca della penitenza tariffata e lo descrive così:….» (4), dobbiamo confessare umilmente che su quest’aspetto non ci sentiamo affatto autorità e che probabilmente lo stesso giovane autore dello studio sul Pontificale Romano-Germanico ne sa molto più di noi.

(1) Cf. J. A. Jungmann, «L’ottava di Pentecoste e la penitenza ecclesiastica nella Liturgia Romana», in Id., Eredità liturgica e attualità pastorale, Roma 1962, 385.

(2) M. Sodi – J. Ickx (edd.), La Penitenzieria Apostolica e il Sacramento della Penitenza. Percorsi storici – giuridici – teologici e prospettive pastorali, Città del Vaticano 2009; M. Sodi – R. Salvarani (edd.), La penitenza tra I e II millennio. Per una comprensione delle orgini della penitenzieria apostolica, Città del Vaticano 2012; R. Rusconi – A. Saraco – M. Sodi (edd.), La penitenza tra Gregorio VII e Bonifacio VIII. Teologia – Pastorale – Istituzioni, Città del Vaticano 2014.

(3) M. Florentino, La penitenza pubblica nel gelasiano antico. Uno studio a partire dai suoi segni visibili (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 154), ;  Roma 2010; K. Palikša, La penitenza privata nel Pontifical Romano-Germanico. Origini e diffusione (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 172), Roma 2015.

(4) Palikša, La penitenza privata…, 65: «Il secolo X fu contrassegnato dalla transizione in due tappe (confessione e riconciliazione) a una sola tappa (l’assoluzione segue immediatamente la confessione), per questo anche nella teologia la confessione con tutte le sue caratteristiche doveva assumere un significato centrale. M. Felini situa questo cambiamento all’interno dell’epoca della penitenza tariffata e lo descrive così: “Quella che inizialmente era un’eccezione, dovuta comunque a motivazioni di ordine pratico, diventa prassi frequente, determinando un cambio nella comprensione dogmatica e pastorale: la riflessione teologica e spirituale arriva, poi, a considerare come avente valore di conversione ed espiazione non più la pratica penitenziale, quanto l’umiliazione e la vergogna – l’erubescentia – che sono associate alla confessione dettagliata delle colpe”: cit. M. Felini, La parola della riconciliazione. L’ascolto della Parola di Dio nel rituale della Penitenza di Paolo VI (Studia Anselmiana 157 Analecta liturgica 31), Roma 2013, 39.

Problemi di cuore: dettagli e distonie intorno al salmo 107

In un approfondimento (1) interessante anche se forse incompleto, Jordi Gibert affrontava il tema delle antifone non salmiche dell’Ordinario della Liturgia delle Ore, cioè di quel gruppo di antifone che , a differenza della grande maggioranza di esse, non sono tratte dallo stesso salmo che accompagnano, ma da altri libri della Sacra Scrittura o sono composizioni ecclesiastiche. Nell’elenco  delle 44 antifone individuate dallo studio del Gibert (stiamo parlando del tempo ordinario) a ragione non compare l’antifona al salmo 107, collocato alle Lodi del mercoledì della IV settimana. Infatti, come dovrebbe sempre essere, a meno di ulteriori specificazioni, uno studio liturgico che voglia essere scientifico va condotto sulle edizioni tipiche: nel nostro caso la versione latina della Liturgia delle Ore riporta come antifona la seguente espressione: «Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum», che corrisponde in effetti al primo versetto del salmo: «Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum, cantabo et psallam...».

Tuttavia, nella recitazione in italiano, sorge un piccolo corto circuito. Vediamo (2). La traduzione dell’antifona ha letto il latino «paratum» con «pronto» (3), mentre i traduttori del salmo hanno preferito l’aggettivo «saldo». Di per sè, quindi, sembra non cambiare molto il senso, se non per piccole sfumature. Perché allora rompere l’unità di antifona e salmo?  Vale di più il tentativo di rendere il testo scritturistico più fedelmente possibile oppure mantenere nella liturgia una tradizione antifonale, con connessa codificazione musicale, anch’essa attestata? Non converebbe che i liturgisti fossero attenti a simili questioni e che, viceversa, i biblisti considerassero pure tali ricadute, nelle loro scelte di traduzione (4).

Alla fine rimane la domanda: il cuore dell’orante dovrà essere pronto o saldo?

Sarà interessante vedere come verrano risolte tali problematiche, quando anche nella Liturgia delle Ore si introdurrà la nuova traduzione della Bibbia approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana. Senza adesso verificare nei testi, possiamo immaginare che in altre occorrenze si verificherà una distonia fra antifona e salmo, forse pur maggiore della differenza, qui evidenziata, fra cuore pronto e cuore saldo.

Non tutte le versioni, nelle principali lingue europee, presentano la stessa problematica della versione italiana. In inglese, ad esempio, antifona e salmo coincidono: «(A) My heart is ready, o God, my heart is ready; (S) My heart is ready, o God…». Il francese sostituisce del tutto l’antifona: «Éveillez-vous, harpe, cithare: que j’éveille l’aurore; (S) Mon coeur est prêt, mon Dieu…». Lo spagnolo adegua l’antifona al salmo: «(A) Mi corazón está firme, Dios mío, mi corazón está firme; (S) Dios mío, mi corazón está firme..».

P.S. Giovanni Paolo II, nelle sue catechesi sui salmi della Liturgia delle Ore, a proposito del salmo 107, disse alcune cose degne di nota sull’uso liturgico dei salmi: cf. qui: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2003/documents/hf_jp-ii_aud_20030528.html : «anche la liturgia cristiana spesso fonde insieme brani biblici differenti così da trasformarli in un nuovo testo, destinato a illuminare situazioni inedite. Permane tuttavia il legame con la base originaria. In pratica il Salmo 107 – (ma non è il solo; si veda, tanto per evocare un’altra testimonianza, il Salmo 143) – mostra come già Israele nell’Antico Testamento riutilizzava e attualizzava la Parola di Dio rivelata».

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(1) J. Gibert, «Le antifone non salmiche dell’Ordinario della Liturgia Horarum romana. Tracce per ulteriori approfondimenti», in Psallendum. Miscellanea di studi in onore del prof. Jordi Pinell i Pons, osb (Studia Anselmiana 105, Analecta liturgica 15), ed. I. Scicolone, Roma 1992, 111-138.

(2) Non dubitiamo esistano studi che abbiano sottolineato tale problematica, ma confessiamo la nostra impossibilità a verificarlo, a causa della chiusura estiva delle nostre biblioteche di riferimento. Pertanto, introduciamo solo brevemente ad un problema probabilmente evidenziato da altri: come considerare la diversità fra il testo dell’antifona e il testo del salmo?

(3) Partendo dal latino paratum, la traduzione italiana pare ineccepibile: da un semplice vocabolario, l’aggettivo paratus,a,um viene reso in italiano con: preparato, apparecchiato,  pronto, deciso, deliberato, ben preparato, ben fornito, pronto a combattere, preparato convenientemente. Il verbo da cui proviene, paro, sottolinea ancora meglio l’idea di preparazione, allestimento, avere l’intenzione, disporsi.

(4) Un biblista italiano, che fra l’altro ha collaborato alla nuova versione della Bibbia Cei, nota tale differenza, senza però dare ad essa alcun peso: «”Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. A te voglio cantare. Ti celebrerà tra i popoli, Signore. Il tuo amore è grande al di sopra dei cieli, la tua verità fino alle nubi…”. Altre traduzioni invece di “saldo” hanno “pronto” oppure “tranquillo”, ma – a quanto pare – non ne patisce il significato profondo dell’espressione biblica. Qui infatti si vuole affermare che, per cantare l’amore grande di Dio, il cuore del credente è sempre disponibile, sempre vigilante, sempre sensibile. Questo infattati non altro che la risposta del salvato al Salvatore, la reazione dell’amato all’Amante. Lo traduce bene anche la liturgia delle Ore, formulando per il nostro salmo questa antifona: “Il mio cuore è pronto per te, per te mio Dio”»: C. Ghidelli, Cuore a cuore. Riflessioni bibliche, Milano 2000, 52.

Ex (Medio)Oriente Lux? Ferragosto ed Assunta: le sorprese della liturgia, con un pensiero a tanti cristiani perseguitati e indifesi.

La storia liturgica della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria racchiude un paradosso: la ricchezza di testimonianze, indizi, suggestioni è talmente ridondante che diventa poi difficile formarsi un’idea certa e del tutto coerente. Le pagine dei manuali classici sovrabbondano di citazioni intriganti, ma difficili da tenere insieme in un sistema del tutto armonico e coerente. Buone sintesi sono disponibili anche sul web [cf., ad es., http://www.academia.edu/9711378/La_solennità_dellAssunta._Appunti_di_storia_liturgica%5D.

Invece di ripetere cose già dette molto bene da altri, proviamo a sottolineare solamente alcuni aspetti, per mostrare quanto sia sorprendente accostarsi alla liturgia, gustandone le sorprese, come se fossimo – e lo siamo – di fronte ad un «organismo» vivo, che regala perle e attraverso le imperscrutabili vicende storiche ci mostra i segni della sua perenne freschezza.

Il primo dato che vorremmo sottolineare è una curiosa coincidenza: il 15 agosto, alle 12.00, su invito della Conferenza Episcopale, le campane delle chiese di Francia suoneranno a distesa, invitando alla preghiera e al ricordo dei fratelli cristiani perseguitati in Medio Oriente (1). Tutto questo cosa ha a che fare con la festa dell’Assunta? La storia ci ricorda che a Roma, e in generale in Occidente, la festa dell’Assunzione fu inserita nel calendario, e adornata poi da solennità tale che ben presto  diventò festa importante e popolare, proprio ad opera di un figlio di immigrati siriani, che probabilmente fuggirono dalle persecuzioni musulmane fino ad impiantarsi in Sicilia. Da un certo Tiberio di Antiochia e dalla moglie, a Palermo, nel 650 circa, nacque quello che diventerà papa Sergio I (687-701): la sua importanza per la liturgia è notevole, e appunto fra i suoi contributi vi è quello a riguardo della festa dell’Assunta.

In senso molto lato possiamo quindi dire che la festa liturgica che accompagna il ferragosto si deve ad una coppia di cristiani siriani emigrati.

Ma il legame fra la festa dell’Assunta e il Medio Oriente affonda radici ancora più profonde, che partono misteriosamente da un luogo ubicato fra Gerusalemme e Betlemme. Grazie a recenti scavi archeologici, le minuziose citazioni che parevano solo esercizio di erudizione, tornano ad avere sorprendente attualità ed interesse. Anche noi ora lasciamo la parola a due citazioni, la prima delle quali è costituita dalle prime righe di un testo che si può leggere sul web, tutto da leggere [ http://www.latheotokos.it/modules.php?name=News&file=print&sid=632 ] :

Le scienze storiche progrediscono grazie all’archeologia e allo studio delle fonti letterarie. Problemi che erano stati confinati negli archivi possono essere ripresi quando scoperte archeologiche portano alla luce elementi nuovi o quando lo studio delle fonti produce risultati originali. Questo principio generale vale per la storia della fede nell’Assunzione di Maria. I recenti scavi archeologici della chiesa detta del Kathisma invitano i cercatori a riprendere in mano il dossier della storia della Dormizione di Maria.

Sorvolando su tantissime altre cose, ci piace sottolineare i legami che il prof. Manns introduce fra la liturgia della Dormitio Mariae e la festa delle Capanne. Inevitabile associare i dati riproposti da Manns alle ultime pagine di uno dei capolavori di Danielou, Bibbia e liturgia:

Il Nuovo Testamento non annulla, ma a porta a compimento il Vecchio. Non esiste dimostrazione più chiara della validità di questa affermazione che quella delle feste liturgiche: le grandi solennità del giudaismo, Pasqua e Pentecoste, sono state recepite dal Cristianesimo ed arricchite soltanto da un nuovo contenuto. C’è tuttavia un’eccezione a questa regola: la terza grande festa del giudaismo, quella dei Tabernacoli, la «Scenopegia» (innalzamento di una tenda) dei 70, che aveva luogo dal 15 al 22 settembre. Ne sussiste solo una traccia: un passo del Levitico (23,29-43), il sabato delle quattro tempora di settembre. Tuttavia, se la festa giudaica dei Tabernacoli non è giunta fino alla liturgia cristiana, essa è apparsa ai Padri della Chiesa come una figura delle realtà cristiane.

[….]

…la festa dei Tabernacoli non è interamente legata con alcun mistero della vita di Cristo. E’ forse per il fatto che, più di ogni altra festa, essa è legata a quello che tra i Suoi misteri non è ancora compiuto: quello dell’ultima Parusia..

Alla luce di antiche testimonianze e di nuove scoperte, si potrebbero dare nuove risposte alla questione sollevata da Danielou? L’influsso della tradizione giudeo-cristiana non si limiterebbe allora solamente alla data del 15 agosto, probabilmente legata alla fondazione della Chiesa in Kathisma, ma anche ad una serie di altri riferimenti, forse più velati, ma pur sempre presenti anche nell’odierna liturgia, e connessi in qualche modo con la simbologia e la ritualità della festa delle Capanne. Si veda, ad esempio, il tema del «riposo» nel salmo responsoriale della messa della vigilia (3).

Sorgi, Signore, tu e l’arca della tua potenza.

Ecco, abbiamo saputo che era in Èfrata,
l’abbiamo trovata nei campi di Iàar.
Entriamo nella sua dimora,
prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi.

I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia
ed esultino i tuoi fedeli.
Per amore di Davide, tuo servo,
non respingere il volto del tuo consacrato.

Sì, il Signore ha scelto Sion,
l’ha voluta per sua residenza:
«Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre:
qui risiederò, perché l’ho voluto».

Pare strano che proprio il responsorio sia mutilo delle parole che avrebbero costituito un legame ancora con più esplicito con l’antica liturgia gerosolimitana, in cui, secondo il lezionario armeno, la liturgia del 15 agosto era accompagnata appunto dal salmo 131 (132) Alzati verso il luogo del tuo riposo (cf. Sal 131,8: Sorgi, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua potenza).

Evidentemente, non si può qui continuare ad approfondire questa pista. Non ce ne sarebbe lo spazio, né saremmo in grado, in questo periodo anche per noi di riposo. Nostra intenzione era solamente quella di mostrare, ancora un volta, quanto la conoscenza della liturgia non sia sterile erudizione tecnica, ma possa aiutare a comprendere meglio anche la storia attuale: cristiani di diverse tradizioni hanno arricchito la liturgia latina, che ha poi plasmato la cultura e la vita dell’occidente. Come pare indifendibile il sogno di una liturgia romana pura, così – in modo analogo ma purtroppo assai più drammatico – si configura come un peccato contro la storia, oltre ad essere un peccato contro la carità, quello di un’Occidente del tutto indifferente alla persecuzione di tanti cristiani del Medio Oriente.

Panoramica dall'alto degli scavi archeologici sulla chiesa del Kathisma

Panoramica dall’alto dei resti della  chiesa del Kathisma

Lavori di scavo e pulitura di parte del mosaico della Chiesa del Kathisma (si intravede la grande palma con frutti abbondanti posta come immagine in evidenza dell''articolo)

Lavori di scavo e pulitura di parte del mosaico della Chiesa del Kathisma (si intravede la grande palma con frutti abbondanti posta come immagine in evidenza dell”articolo)

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(1) Cf. http://www.tempi.it/francia-ferragosto-campane-chiese-suoneranno-cristiani-perseguitati-e-in-italia#.Vc4aU0LD5AY. Altre tonalità si sono udite dalla Conferenza Episcopale italiana, o meglio dal suo Segretario, in questi giorni impegnato in una polemica inaudita con alcune posizioni politiche a riguardo al fenomeno dell’immigrazione e all’accoglienza senza alcun criterio.

(2) J. Danielou, Bibbia e liturgia, Roma 1998, 239.305.

(3) Si veda il già citato articolo di F. Manns, di cui sopra l’indirizzo http: «La festa delle capanne esprime il riposo del settimo millennio. La vita è un passaggio verso la vita eterna. Chi pratica le virtù potrà celebrare la festa e risorgere durante il settimo millennio. Se la patristica prenicena fornisce paralleli all’interpretazione dei simboli presenti nel Transitus Mariae, questo significa che l’apocrifo della Dormizione può essere datato al secondo o terzo secolo. Se questo simbolismo è accettato, il senso dell’apocrifo sarebbe questo: Maria celebra la sua ultima festa delle capanne sul Monte degli Ulivi. Il simbolismo giudaico di tale festa illustrava bene il senso della sua morte e la sua fede nella risurrezione. In altre parole significa che la fede nell’Assunzione di Maria risale ai giudeo-cristiani di Gerusalemme».

3 et 4bc. 23-23.25 et 54

Questa sequenza alfanumerica non è un codice misterioso o qualche tipo di strano algoritmo ma la serie dei versetti del salmo 77 che verranno proclamati nella liturgia della Parola di questa domenica, XVIII del tempo Ordinario anno B. Non migliore fortuna il nostro salmo la ha nelle altre occasioni in cui viene utilizzato come salmo responsoriale: sempre vivisezionato, con versetti presi qua e là nel testo (1). Non farebbe male, almeno nella meditazione personale, leggere il salmo 77 per intero, e nel contesto della prima lettura e del Vangelo di questa domenica ci accorgeremmo che sebbene lunga e dal genere letterario inconsueto (è classificato come salmo storico) tale composizione salmica è di aiuto e sostegno alla preghiera e alla meditazione in modo davvero interessante. A dire tutta la verità, non solo nel lezionario il salmo 77 conosce una limitazione, ma pure nella liturgia delle Ore la sua occorrenza è del tutto particolare e rischiò addirittura l’estromissione. Su questo avevamo già scritto alcuni post (2).  Ci si scuserà la riproposizione di interventi passati, ma approfittiamo di questo per avvisare che la pubblicazione di prossimi nuovi articoli sarà meno frequente: si avvicina anche per noi il riposto estivo e, a meno di ispirazioni eccezionali, ridurremo per qualche tempo il nostro impegno sul blog. Approfittiamo per incoraggiare i lettori che ci seguono a proporre eventuali loro riflessioni e contributi.

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(1) Cf. l’utile sussidio approntato da F. M. Arocena, Psalterium liturgicum, Vol. II Psalmi in Missalis Romani Lectionario, Città del Vaticano 2005, 58.

(2) Cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/08/ancora-sul-salmo-7778/ ; http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/10/salmo-7778-liturgia-fidelitatis/ ; cf. anche http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/14/ii-settimana-di-avvento-sabato-ufficio-delle-letture-un-approdo-non-scontato-per-un-salmo/

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