Ai primi Vespri del Natale è già l’Epifania? Miracoli della liturgia!

La Liturgia amplifica la possibilità di accogliere la Sacra Scrittura come un tutto organico – qualità già insita nella Scrittura stessa -, e propone degli accostamenti mirabili e preziosi, che arricchiscono i testi di contenuti sempre sorprendenti: se compresi, possono farci entrare in una profondità davvero sbalorditiva.
Proponiamo un piccolo esempio, un ennesimo di una serie che probabilmente non finirebbe mai.

Per i primi Vespri del Natale, la Liturgia delle Ore propone come primo salmo il 112(113), Laudate, pueri Domini. Il Breviario Romano aveva al suo posto il salmo 109(110): probabilmente si è voluto evitare di ripetere lo stesso salmo, e si scelto un salmo, il 112, che ricorre varie volte nell’Ufficio delle solennità e delle feste (1), oltre che ai primi Vespri della domenica della prima settimana del salterio. Un salmo particolare quindi, ma ci torneremo fra poco.
Assai più interessante è l’antifona: essa è rimasta identica rispetto al Breviario Romano (i riformatori non erano dunque così scriteriati e iconoclasti come li si vuole immaginare):

Rex pacificus magnificatus est, cuius vultum desiderat universa terra
Il re della pace viene nella gloria: tutta la terra desidera il suo volto.

La fonte dell’antifona è la storia di Salomone, nell’Antico Testamento il re della pace per eccellenza. A livello testuale si può notare una particolare vicinanza ai versetti 23-25 del capitolo 10 del primo libro dei Re: “Magnificatus est ergo rex Salomon super omnes reges terrae divitiis et sapientia et universa terra desiderabat vultum Salomonis ut audirent sapientiam quam dederat Deus in corde eius et deferebant ei munera….” (Il re Salomone fu più grande, per ricchezza e sapienza, di tutti i re della terra. Tutta la terra cercava il volto di Salomone, per ascoltare la sapienza che Dio aveva messa nel suo cuore. Ognuno gli portava, ogni anno, il proprio tributo, oggetti d’argento e oggetti d’oro, vesti, aromi, cavalli e muli).
Nei versetti 1-13 dello stesso capitolo 10 si dettaglia in specie quanto nei versetti sopra citati viene affermato in modo generale (“universa terra desiderabat vultum Salomonis..”): un esempio preclaro di questo “desiderio” è la Regina di Saba, la cui figura è stata descritta in modo interessante in un agile libretto di J. Danielou: “Si mette in cammino attraverso il deserto, accompagnata dalla sua lunga carovana, portando l’oro e l’incenso, preludendo già, nella profondità delle prefigurazioni, a quell’altra partenza dei magi, in cui la tradizione vedrà dei re dell’Oriente, che, pure alla ricerca della Sapienza, verranno a portare in dono l’oro, l’incenso e la mirra a Colui che sarà più Salomone. Non solo ella ha cercato la sapienza, ma l’ha cercata con umiltà e sincerità. La Scrittura dice infatti di lei: ‘Si recò da Salomone e gli disse tutto ciò che aveva nel cuore’ (1 Re 10,2). Vi si rivela un’anima sincera. La vediamo, presso Salomone, abbandonare i troppo sapienti enigmi e rivelargli i segreti della propria anima. Dirà Ruperto di Deutz: ‘Essa aprì il suo cuore a Salomone, gli manifestò i segreti della sua coscienza nella confessione e nel pentimento dei peccati trascorsi’. Depone ogni ambizione, pretesa, ogni volontà di giustificazione. Ammette la sua indigenza. E’ questa umiltà che apre la sua anima alla Sapienza” (2).

Non si può credere che, nella memoria profonda della Tradizione, quest’antifona non faccia riferimento anche a quest’aspetto importante del ciclo di Salomone, suggerendo, in modo velato, un’anticipo dell’altro mistero legato alla manifestazione del Signore che è la visita dei Magi.
Nei primi Vespri del Natale già c’è un accenno all’Epifania!!
E a proposito del salmo 112, in questo contesto assume forse il senso di una risposta ad una domanda dell’antico e primo Salomone: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! … Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: ‘Lì porrò il mio nome’! ” (1 Re 8,27-29).
Dall’Incarnazione del Signore, quando apparve il vero Salomone, lo sappiamo in modo certo e definitivo: sì, Dio, pur essendo più alta dei cieli la sua gloria, si è chinato a guardare sulla terra, e ha rialzato l’umanità indigente dalla polvere (cf. Sal 112,6-7).

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(1) Cf.  Psalterium liturgicum. Psalterium crescit cum psallente Ecclesia, I, ed. F.M. Arocena – J.A. Goni, Città del Vaticano 2005, 359-362.

(2) J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 124. “In un passo misterioso dei Vangeli (Mt 12,42 e Lc 11,24), Cristo ci mostra, durante le grandi assisi del Giudizio, la regina di Saba glorificata ‘perché venne dalle estremità della terra per udire la saggezza di Salomone’, mentre i figli di Abramo saranno condannati per aver respinto colui ‘che è più di Salomone’. Questa affermazione ci autorizza a vedere  nella regina di Saba, accanto ad Enoc e a Melchisedech, una santa della religione cosmica. Essa era estranea infatti alla rivelazione di Israele e la sua religione era quella degli Arabi dello Yemen, dove si situa il regno di Saba, il paese dell’oro e degli aromi. La testimonianza di Cristo ci attesta comunque la sua santità e la sua gloria. E’ quanto ha sempre ritenuto la Tradizione, che ha visto in lei l’esempio stesso dell’anima pagana alla ricerca della saggezza”: ibid., 121.

Analisi del 2014 (dal team di wordpress)

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2014 per questo blog.

Ecco un estratto:

La sala concerti del teatro dell’opera di Sydney contiene 2.700 spettatori. Questo blog è stato visitato circa 8.300 volte in 2014. Se fosse un concerto al teatro dell’opera di Sydney, servirebbero circa 3 spettacoli con tutto esaurito per permettere a così tante persone di vederlo.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

“Pretese” natalizie

L’Inno dei Vespri del tempo del Natale, riportato nella forma originale, dopo la ri-forma di Papa Urbano VIII (1632), ci riserva qualche interessante sorpresa.

La terza strofa ritorna a recitare così:
Salutis auctor, recole
quod nostri quondam corporis,
ex illibata Virgine
nascendo, formam sumpseris.

La “traduzione” ufficiale italiana appare ridotta e, pure, riduttiva: Tu che Maria Vergine prendi forma mortale, ricordati di noi. Più letteralmente: Autore della salvezza, ricorda che un tempo, nascendo da purissima Vergine, assumesti un corpo simile al nostro.

La versione in uso nel Breviario Romano, dal 1632 fino alla Liturgia delle Ore invece era questa:

Memento, rerum Conditor
nostri quod olim corporis
sacrata ab alvo Virginis
nascendo, formam sumpseris.

La variante urbanista potrebbe essere stata ispirata dal celebre Inno Conditor alme siderum, per creare una continuità fra l’innodia di Avvento e quella del Natale. Ma passando dal piano della redenzione e della salvezza a quello della creazione, pare attenuarsi la forza dell’invocazione della preghiera. Anche il verbo, infatti, viene modificato ed è scelto un più generico e diffuso “Memento”.

Il verbo originale pare più incisivo: “recole”, da recolo,-is, recolui, recultum, -ere. Non solo “memoria” o ricordo, quindi, ma qualcosa di più (fra l’altro recolere è legato a colere, da cui cultum): si tratta di un ricordo fattivo, di una rivisitazione efficace, di un onorare di nuovo. Il soggetto di tale azione non è però l’uomo, ma il Signore Gesù: Ricordati di quanto hai fatto, onora di nuovo l’adempimento delle tue promesse di salvezza! Guarda che una volta sei stato così buono da assumere la nostra forma corporea e la nostra debolezza: non sarai più buono con noi? Non sarai dunque più fedele(1) alla tua condiscendenza?

Pare una preghiera “sfrontata”, quasi una pretesa irrispettosa, ma di certo nulla in confronto a quanto afferma Guglielmo, abate di Saint-Thierry:

Noi rivendichiamo per noi un’affinità profonda con te, visto che il Figlio tuo grazie allo Spirito di adozione non disdegna di assumere lo stesso nostro nome. Per lo Spirito della tua adozione siamo ormai certi che tutto ciò che è del Padre è anche nostro.

Guglielmo di Saint-Thierry, De contemplando Deo, IV, 11, 5-8.

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(1) Cf. la lettura dell’Ufficio del Mercoledì della seconda settimana di Avvento, tratta dal Commento sui Salmi di sant’Agostino: “Fedele è Dio che si fece nostro debitore non perché abbia ricevuto qualcosa da noi, ma perché ci ha promesso cose davvero grandissime. Pareva poco la promessa: Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l’ordine dei pagamenti. […] Sembrava però incredibile agli uomini ciò che Dio prometteva: che essi dalla loro condizione di mortalità, di corruzione, di miseria, di debolezza, da polvere e cenere che erano, sarebbero diventati uguali agli angeli di Dio. E perché gli uomini credessero, oltre al patto scritto, Dio volle anche un mediatore della sua fedeltà. E volle che non fosse un principe qualunque o un qualunque angelo o arcangelo, ma il suo unico Figlio, per mostrare, per mezzo di lui, per quale strada ci avrebbe condotti a quel fine che aveva promesso. Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via perché tu camminassi guidato da lui sul suo stesso cammino” (Sal 109,1-3: CCL 40,1601-1603).

La sera del mondo

Nelle sue meditazioni sull’anno liturgico, l’abate Guéranger accenna, di passaggio, ad uno stico del famoso Inno Conditor alme siderum (1), introducendo le Antifone “O” delle feire maggiori dell’Avvento: “Tutti i giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia e nella quale gli si dà ogni giorno qualcuno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura. […] Il momento scelto per far ascoltare questo sublime appello alla carità del Figlio di Dio è l’ora dei Vespri, perché è alla sera del mondo, vergente mundi vespere, che è venuto il Messia”. [http://www.unavoce-ve.it/pg-antifone.htm].
Vergente mundi vespere, mentre scendeva la sera del mondo: in questo versetto la liturgia riunisce, come in un diamante, sfumature poliedriche e diverse. L’indicazione oraria della preghiera è solamente un aspetto di una ricchezza di significati, che passando dall’astronomia – siamo nei giorni in cui, nell’emisfero boreale, più durature sono le ore delle tenebre – e dalla cosmologia, tocca la morale e l’essere più profondo. Si traduce in poesia e in invocazione di preghiera un’idea diffusa nei padri latini, quella della “vecchiezza” del mondo, indebolito e stanco. In questo concetto non mancano gli influssi derivati dallo stoicismo, come bene ha dimostrato J. Danielou (2), ma l’esaurimento delle energie e delle risorse e il decadimento delle virtù segnala la radicale debolezza dell’uomo, bisognoso di salvezza. A questa debolezza invincibile corrisponde un’altrettanto indefettibile offerta di salvezza. Ecco perché le considerazioni sulla malvagità dei tempi non sono solamente sterili lamenti, ma si possono sviluppare in una fiduciosa preghiera. Alcune letture patristiche dell’Ufficio del tempo di Avvento ci hanno aiutato in questo senso: riconoscere la nostra debolezza è un ottima preparazione all’incontro con il Dio divenuto debole bambino, per sanarci ed offrirci il rimedio. Così, la storia della salvezza ha progressivamente mostrato non solo il volto di Dio, ma anche la nostra necessità di essere salvati: per questo Dio ha atteso a mandarci suo Figlio. Che in queste feste accogliamo di nuovo, come nuova luce nella sera del mondo.

– Questa è la tua Parola per noi, Signore, questo il tuo Verbo onnipotente, che mentre un profondo silenzio, cioè un’aberrazione profonda, avvolgeva tutte le cose, dal trono regale si lanciò, inflessibile oppugnatore degli errori, dolce fautore dell’amore. [dal Trattato “La contemplazione di Dio” di Guglielmo, abate di Saint-Thierry, Lunedì terza settimana]

– ..neppure poteva approvare quel tempo d’iniquità, ma preparava l’era attuale di giustizia, perché riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza. Quando poi giunse al colmo la nostra ingiustizia e fu ormai chiaro che le sovrastava, come mercede, solo la punizione e la morte…. [dalla “Lettera a Diogneto”, 18 dicembre]

– Per questo Dio stesso ci ha dato come “segno” della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza. Per questo Paolo, indicando la radicale debolezza dell’uomo, dice: “So che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene” (Rm 7,18), poiché il bene della salvezza non viene da noi, ma da Dio. [dal Trattato “Contro le eresie” di Sant’Ireneo, 19 dicembre].

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(1) https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/12/linno-conditor-alme-siderum-uno-strano-caso-di-riforma-della-riforma/.
(2) J. Danielou, “Cipriano e l’invecchiamento del mondo”, in Id., Le origini del cristianesimo latino. Storia delle dottrine cristiane prima di Nicea, Bologna 2010 (ristampa), 241-248.

Si chiede troppo? Ma è quasi Natale: lo si può almeno esprimere, il desiderio di un regalo!

Nell’ultimo numero di Phase, la rivista di liturgia curata dal Centro di pastorale liturgica di Barcellona, il biblista M. Aceituno Donoso propone uno studio sui salmi imperatori: M. Aceituno Donoso, “Los salmos imprecatorios: revalorizacion de una ‘quaestio disputata’”, Phase 322 (2014) 399-416. Dopo alcune considerazioni di carattere più generale, esponeva alcune proposte. L’ultima di esse auspicava la pubblicazione del paradossalmente famoso (si sa che fosse pronto, che esista da qualche parte, ma si è poi quasi smaterializzato) quinto volume della Liturgia delle Ore.

E’ un tema dolente, la mancata pubblicazione di questo libro liturgico. Il lezionario biblico e patristico biennale, le collette salmiche, altri testi già pronti, almeno per la grande parte, apparentemente dimenticati e parzialmente utilizzati. Ora viene avanzata la proposta del nuovo inserimento dei salmi “imprecatori”, che con l’ulteriore strumento delle collette salmiche sarebbe meglio intesi ed utilizzati….

Molti tentativi sono stati fatti, molte perorazioni avanzate. Senza soddisfacenti risultati.

Può essere l’ennesima voce che viene frustrata, anche con buone e ponderate ragioni che forse ai liturgisti non vengono date di capire. Ma siamo vicini al Natale, e c’è un nuovo Prefetto, nella Congregazione per il Culto Divino. E sono sorpreso, davvero, di quanti lettori abbia questo blog, da tutte le parti del mondo, da paesi più disparati. La rete offre nuove possibilità: non so come fare, ma forse qualcuno potrebbe aiutarci: perché non raccogliere petizioni on line, per poi chiedere alla Congregazione di riconsiderare la possibilità della pubblicazione del V volume della Liturgia delle Ore.

Restiamo in attesa di suggerimenti.

Allego alcune righe dell’articolo citato:

4. Cabe hacer propuestas?

4.3. De orden liturgico-organizativo

Proponemos culminar la reforma del Breviario Romano en la Liturgia Horarum con la publicacion del volumen V de la misma. En esta se puede proponer la reinclusion de los salmos imprecatorios a modo de facilitar tipograficamente los fragmentos juzgados come imprecatorios y extirpados del cursus psalterii.
Se puede concebir el hecho de aplicar el mismo criterio que con los pasamos históricos, es decir, que se reserven para los tiempos fuertes, en los volumenes I-II de la actual Liturgia Horarum, a saber, en los viernes y sabados de las semanas III-IV en el Oficio de lectura.
Incluso se podría incluir en dicha hora canonica ad libitum, sobre todo en los días en que se repiten salmos, debido a lo no exacta equivalencia del mes natural y cuatro semanas. (416)

40 anni fa o 51 anni fa: fu comunque un grande giorno

Per ricordare il 4 dicembre 1963, il giorno dell’approvazione solenne della Sacrosanctum Concilium, prendiamo in prestito un testo del Cardinale Ratzinger, scritto per la prestigiosa rivista tedesca Liturgisches Jahrbuch. La versione italiana è stata pubblicata nel volume XI della sua Opera Omnia.

Si tratta di un testo di qualche anno fa, scritto per commemorare i 40 anni della Costituzione, ma che pure conserva la sua attualità e la sua autorevolezza. Ne riprendiamo le prime righe, per poi passare alle pagine in cui Ratzinger presenta a suo modo una delle categorie fondamentali della riforma, la comprensibilità dei riti.

1. Accadde 40 anni fa.

Fu un grande giorno per il Concilio Vaticano II e per la Chiesa in generale, quando, il 4 dicembre 1963, fu approvata quasi all’unanimità la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Il Concilio aveva preso delle decisioni di grande portata che, in seguito, avrebbero cambiato il volto della Chiesa in modo decisivo. I Padri erano consapevoli che avevano messo a frutto una lunga storia precedente, avendo convogliato le varie tendenze, conoscenze ed esperienze maturate nel movimento liturgico in una visione complessiva destinata ad aprire un nuovo capitolo nella storia della liturgia. Il testo stesso esprime così il nesso con la storia che lo precedeva: “L’interesse per l’incremento e il rinnovamento della liturgia è giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio (transitus) dello Spirito Santo nella sua Chiesa” (SC 43).

[…]

3. Le categorie fondamentali della riforma: comprensibilità – partecipazione – semplicità

[…]

E allora, che fare? Si potrebbero inserire sempre più spiegazioni, e così far diventare la liturgia un fiume di parole, trasformandola in una lezione scolastica; e con quale successo? Inoltre così potrebbero essere anche banalizzatele sue grandi espressioni – cosa che, purtroppo, succede abbastanza spesso -, i passaggi difficili della Scrittura potrebbero essere accantonati, e le parole della liturgia potrebbero essere ridotte a ciò che si ritiene comprensibile da tutti. Ma in questo modo, nella liturgia, alla fine, non accade più nulla, si dissolve. Non c’è da stupirsi, poi, di fronte al calo della frequenza in chiesa. E che finalmente si ricorra a “ingredienti” di altre religioni per ridare, in qualche modo, a tutto il brivido del mistero. Da qui risulta che la comprensibilità è qualcosa di complesso e di esigente. Non a caso la Chiesa antica conosceva il catecumenato, nel quale le persone alla ricerca di Dio venivano introdotte pian piano nella vita e nel pensiero della Chiesa, facendo sì che la loro sensibilità, la loro mente e i loro cuori lentamente si aprissero. L’accessibilità della liturgia non va confusa con la comprensibilità immediata di ciò che è banale. E non la si può produrre semplicemente fornendo traduzioni migliori e gesti più comprensibili. La si acquista soltanto per un cammino interiore – essa richiede “eruditio“, apertura d’animo, nella quale le supreme dimensioni della ragione si schiudono, dando inizio a un processo nel quale si acquista la facoltà di vedere e di ascoltare.Temo che i Padri conciliari abbiano realmente sottovalutato questa complessità della “comprensibilità”, presupponendo ancora una coscienza comune che non c’è più.La liturgia stessa non deve essere trasformata in lezione di religione, e non la si può salvare con la banalizzazione.Ci vuole una formazione liturgica, o piuttosto una formazione spirituale generale, e il grande compito delle commissioni liturgiche e delle conferenze episcopali dovrebbe essere proprio quello di trovare le strade e le forme di essa. Gran parte dei cristiani di oggi si trova de facto nello stato catecumenale, e questo, nella pratica, dobbiamo prenderlo finalmente sul serio.

J. Ratzinger, “I 40 anni della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Retrospettiva e prospettiva”, in Id., Opera Omnia, XI, Città del Vaticano 2010, 769.782-783.

Dalla memoria viva della Liturgia, elementi che ritornano: ancora esempi.

Pensavamo di aver detto abbastanza sul tema “destra” nella liturgia, cf. i precedenti post:

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/19/alla-destra-o-alla-sinistra-del-re-matteo-2531-46-e-alcuni-dettagli-liturgici/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/21/rigore-o-misericordia-due-grandi-pastori-suggeriscono/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/26/per-meta-o-per-un-terzo-il-dies-irae-e-la-gratuita-della-salvezza/ ;

Eppure, la traduzione italiana dell’inno per l’Ufficio delle Letture del tempo di Avvento fino al 16 dicembre ci fa ravvedere.
Ecco di nuovo che spunta un altro riferimento: “Quando verrai come giudice, fra gli splendori del cielo, accoglici alla tua destra nell’assemblea dei beati”. La strofa originale latina recita invece: “Iudexque cum post aderis rimari facta pectoris, reddens vicem proo abditis iustisque regnum pro bonis” (1) ed una traduzione più fedele potrebbe essere questa: “Quando verrai come giudice per investigare sull’operato dell’uomo, renderai il contraccambio per le azioni nascoste e ai giusti il regno per le azioni buone”.

E’ davvero curioso notare che dove nell’originale vi era il riferimento alla “destra” matteana, esso non è stato poi reso nell’italiano, mentre dove era assente nel testo latino, il traduttore italiano ha ritenuto utile riproporre quel riferimento (cf. gli articoli citati sopra).
Pare come se la Liturgia avesse una memoria viva, capace di far riaffiorare, in modalità nuove e inaspettate, dati ed elementi che appartengono alla grande tradizione, nonostante istanze di riforma od esigenze di traduzione e di stile talvolta ne abbiano suggerito l’omissione o la rivisitazione.

Ciò è vero anche nel caso della sequenza Dies Irae, dalla quale eravamo partiti per questa serie di post sulla “destra”.

In effetti, il gruppo di periti che predispose la riforma del rito delle esequie, considerò che alcuni testi, sebbene venerabili per uso e tradizione, non avrebbero aiutato ad imprimere ai riti funebri, ora più connessi con la messa esequiale, un maggiore senso pasquale. Più che la voce del defunto di fronte al giudizio di Dio, nel nuovo rituale si è preferito far risuonare la voce della Chiesa che raccomanda il defunto alle mani di Dio, della comunità dei santi e degli angeli: è evidente questo cambio di orientamento del momento liturgico, dall’absolutio alla valedictio.
Il Segretario del Consilium, nelle sue memorie, offre una valutazione del lavoro di riforma dei funerali, enfatizzando il carattere della liturgia funebre inteso come celebrazione del mistero pasquale di Cristo nei suoi fedeli: “Ciò è stato una delle principali preoccupazioni della revisione attuata, traendo dal tesoro della tradizione eucologica i testi che meglio esprimono questa dimensione ed eliminando quelli che risentivano di una certa spiritualità negativa di sapore medioevale. Per questo sono stati tolti dei brani, conosciuti e anche amati, come il Libera me Domine, il Dies Irae e altre preghiere troppo insistenti sul giudizio, il timore, la disperazione, preferendo quelli che invitano alla speranza cristiana ed esprimono in modo più efficace la fede nella risurrezione” (2).
La considerazione negativa del Dies Irae che sembra trasparire da queste righe è però poi contraddetta dal fatto che la sequenza, con l’accorgimento della divisione in tre sezioni, sia stata riproposta come Inno per la liturgia delle Ore, in un particolare momento dell’anno liturgico che sottolinea il secondo avvento, glorioso e definitivo, del Signore Gesù e il conseguente giudizio finale. In tale contesto, il Dies Irae pare assai adatto e utile.
Sembra da rivedere, quindi, il parere che vi sia stato un giudizio sul contenuto stesso della sequenza: la riforma liturgica, piuttosto, ne ha riconsiderato l’uso, inserendola in un altro contesto.

E’ pur vero che se nella celebrazione delle esequie non si è attenti a conservare il senso pasquale, nella sua globale interezza – quindi anche come Mistero con il quale ogni vita umana, e in particolare quella del defunto, dovrà essere confrontata e giudicata – si rischia di scadere in un generico rito di commemorazione delle qualità e delle virtù del caro estinto.
Ecco perché “apologie” del Dies Irae non sono affatto fuori luogo o semplici nostalgie, proprio nel momento in cui la predicazione del Papa sulla misericordia rischia di essere banalmente travisata o volutamente ridotta ad indifferenziato e semplice buonismo. Anche nelle esequie, quindi, non dovrebbe mancare un accenno al giudizio di Dio

«La predicacion y la catequesis son pocos proclives a insistir sobre este tema, por temor a dar una impresión de “miedo de Dios” en la vita cristiana. Sin duda, “el Padre es misericordioso”, pero hay que estar atento para non formar paulatinamente una imagen de Dios mas light que misericordiosa, un Dios que simplemente da “el pase” al hombre, sin decir nada sobre su vida, porque difícilmente se concibe que exista “la ira/reprobación” de Dios. […] Las exequias non resuenan más el misterio pascual, sino que pierden su dimensión de plegaria por el difunto, para convertirse en un simple “adiós”, que es más un adiós intracomunitario, “personalizado a la carta”, que el echo eclesial de poner el difunto en manos de la misericordia de Dios. […] Esto no es una llamada a la prática medieval, pero sí quiere ser un interrogante sobre nuestra predicación, y sobre la oportunidad de reconsiderar el lenguaje y las referencias de la liturgia exequial, para que en ella aparezcan con suficiente presencia todos los elementos del misterio pascual en relación con la muerte del cristiano» (3).

Se è da considerare il rischio che le esequie cristiane talvolta possano non esprimere l’integrità della fede, si deve pure riconoscere che ciò non debba essere del tutto imputato alla nuova liturgia dei funerali, ai suoi riti e ai suoi testi: nello slittamento stigmatizzato da p. Tena paiono molto più determinanti pratiche extra-liturgiche. Ci riferiamo, ad esempio, all’uso di lasciare la parola ad amici o parenti, per testimonianze o discorsi di addio nei quali, di certo, scompare ogni riferimento al giudizio di Dio, perché il sentimentalismo o una sorta di morale orizzontale, civica e buonista hanno già del tutto giustificato il defunto. Purtroppo diventa difficile correggere questi abusi quando casi particolari ed eccezionali, sia per la persona in questione sia per la presidenza liturgica di quel funerale, vengono poi resi manifesti al grande pubblico dall’enfasi dei mezzi di comunicazione.

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(1) Cf. Inno Verbum supernum prodiens.

(2) A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 30), Roma 1997, 747.

(3) P. Tena, «Apología del “Dies Irae”», Phase 53 (2013) 678-679.