La chiave di Davide funziona! Riletture natalizie dell’Ufficiatura di santo Stefano.

Risulta piuttosto evidente, nei testi della liturgia di santo Stefano protomartire, una particolare insistenza su alcune immagini. Li riportiamo, evidenziando quanto ci interessa sottolineare, per poter fare poi alcuni collegamenti.

  • Ufficio delle Letture

Responsorio dopo la lettura biblica: «Stefano, servo di Dio, lapidato dai Giudei, vide i cieli aperti, e vi entrò: beato l’uomo a cui il cielo si schiude».

  • Lodi

Antifona al II salmo: «Stefano vide i cieli aperti, e vi entrò: beato quest’uomo, a cui il cielo si schiude»; Antifona al III salmo: «Vedo i cieli aperti, e Gesù alla destra della potenza di Dio»; Antifona al Benedictus: «Le porte del cielo si aprono a Stefano; per primo è coronato con la gloria dei martiri».

  • Messa

Antifona d’ingresso: «Si aprirono le porte del cielo per santo Stefano; egli è il primo nella schiera dei martiri e ha ricevuto in cielo la corona di gloria».

Come era naturale aspettarsi, testo ispiratore principale è la narrazione degli Atti degli Apostoli: «Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”» (At 7,55-56). Ma la liturgia trasporta questa visione in un modo particolare: il cielo è aperto, perché le porte delle cielo si sono schiuse, e ora Stefano può oltrepassarle ed entrare nella gloria.

L’immagine della porta richiama un’altra immagine, quella della chiave che apre (o chiude). Ora, anche quest’ultimo simbolismo, mutuato dalla Sacra Scrittura, è stato ben presente nella liturgia pre-natalizia.

Antifona al Magnificat del 20 dicembre: «O Chiave di Davide, scettro della casa d’Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi e nessuno può aprire: vieni, libera l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte». Mettendo insieme e in parafrasi le antifone maggiori dei vespri delle ferie della novena di Natale, è stato composto un inno popolare, il Veni, Veni Emmanuel, di cui riportiamo la strofa relativa alla chiave di Davide: «Vieni, Chiave di Davide, spalanca la patria celeste, rendi sicura la via dei cieli e chiudi l’accesso all’inferno».

L’invocazione e la preghiera dell’Avvento ha trovato dunque compimento: la chiave di Davide dimostra tutta la sua efficacia, e la liturgia di Santo Stefano lo afferma con sicurezza!

 

Signore, hai messo luce negli abissi,

redento i corpi e liberato i cuori.

Il diavolo dal luogo suo è scacciato,

il tuo corpo è chiave ad ogni porta.

(Giovanni il solitario)

Adamo dovrà smetterla di scusarsi. In margine alla Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Più volte abbiamo riportato in questi brevi post alcuni brani tratti dalla produzione esuberante di autori orientali, più facili al lirismo e a una rilettura della Scrittura libera e arricchita di vivezza e immaginazione. Romano il Melode ne è un esempio preclaro. Ma anche in Occidente talvolta si raggiungono vette di preziosissima qualità.

San Bernardo e le sue Lodi alla Vergine Madre, ad esempio, ci offrono brani di gustosa dolcezza, oltre a profondità di dottrina e di spiritualità. Se, in passato, con i Padri dell’oriente tante volte è stata data la parola ad Adamo, o si è descritto – con le immagini di grandi scrittori ecclesiastici – le sue emozioni e il suo stato (1),  ora, a commento della prima lettura della Solennità dell’Immacolata (Gen 3,9-15.20) riportiamo un brano del grande doctor mellifluus. Di esso vorremmo qui sottolineare solamente un aspetto: Adamo non ha più scuse, nel senso che il maldestro e goffo tentativo di scaricare la responsabilità della sua colpa su Eva e, in ultima istanza, su Dio stesso, ormai non ha più senso ed è del tutto menzognero. Dio gli ha concesso graziosamente l’aiuto, la vicinanza e l’intercessione della Vergine Maria: con questa nuova donna a fianco, Adamo potrà  smettere di accampare futili pretesti per non assumersi la propria responsabilità. Ma proprio perché può finalmente riconoscere la verità della sua debolezza e la verità della misericordia di Dio, può – invece di chiudersi con una scusa iniqua – aprirsi al rendimento di grazie. Un altro tema assai interessante, da riprendere, sarebbe il parallelismo antitetico Eva – Maria, anch’esso ben frequentato dalla tradizione patristica, il cui eco si ritrova nell’Inno dei Vespri della Solennità (Sumens illud ‘Ave’ / Gabrielis ore, / funda nos in pace, / mutans (2) Evae nomen – L’Ave del messo celeste / reca l’annunzio di Dio, / muta la sorte di Eva, / dona al mondo la pace); lo spazio non ce lo consente adesso, per cui lasciamo volentieri la parola a san Bernardo:

Rallegrati, o padre Adamo, e più ancora tu, o madre Eva, esulta. Voi da cui tutti sono nati e per cui tutti sono morti, anzi (ed è più triste) voi che ci avete dato la morte prima ancora di darci la vita, consolatevi entrambi per questa figlia, e quale figlia! E più si consoli colei da cui prima si è originato il male e il cui disonore è passato a tutte le donne. E’ infatti giunto il tempo in cui ogni disonore viene abolito e l’uomo non ha più nulla da rimproverare alla donna, quell’uomo che mentre cercava imprudentemente di scusare se stesso, non esitò ad accusarla crudelmente, dicendo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Perciò, Eva, corri da Maria, tu, madre, corri dalla figlia; e la figlia risponda per la madre, ella della madre cancelli il disonore, paghi al padre il debito della madre, perché, ecco, se l’uomo è caduto a causa della donna, non viene ora rialzato se non a causa della donna?
Che cosa dicevi, Adamo? «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Queste parole sono piene di malizia, e con esse tu aumenti la tua colpa piuttosto che cancellarla. Tuttavia la Sapienza vince la malizia, quando trova un pretesto sufficiente al perdono nel tesoro della sua misericordia, che non viene mai meno; quel pretesto che, interrogandoti, Dio allora cercò di ottenere da te, senza riuscirci. Ora in realtà, per una donna ti viene data in cambio un’altra donna, in luogo della sciocca la prudente, in luogo della superba l’umile, che invece del frutto della morte ti offra il cibo gustoso della vita, e invece del cibo velenoso, con tutta la sua amarezza, ti prepari la dolcezza del frutto eterno. Muta dunque le parole della tua iniqua scusa in voce di rendimento di grazie, dicendo: «O Signore, la donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato, ed è diventato dolce più del miele alla mia bocca, perché con esso mi hai dato la vita» (2).

Bernardo, Lodi alla Vergine Madre (ed. C. Leonardi), Roma 1990, 35-36.


(1) Cf. alcuni post passati: qui e qui.

(2) «Muta ergo iniquae excusationis verbum in vocem gratiarum actionis, et dic: Domine, mulier, quam dedisti mihi, dedit mihi de ligno vitae, et comedi; et dulce factum est super mel ori meo, quia in ipso vivificasti me»: quel «muta» può essere messo in relazione alla stessa espressione dell’Inno, «mutans Evae nomen»: dal momento che il nome, la sorte di Eva (alcuni padri giocano anche sul binomio fra il nome della progenitrice e il saluto dell’angelo: Eva – Ave) è stata mutata, può mutare anche la risposta di Adamo; non più dunque scuse messe insieme in modo ridicolo, ma ringraziamento e lode.

Il corno di Gioele, buono per tutte le stagioni

Fra gli storici e gli specialisti si discute sul tempo di Avvento e sul suo discusso – appunto – carattere penitenziale. Che tipo di significato dare a questo tempo di preparazione? Nell’attuale occidente latino è scomparso il digiuno, presente in alcune chiese durante la formazione e lo sviluppo storico dell’Avvento, come pure anche oggi nelle settimane precedenti il Natale anche in alcuni riti dell’oriente. Mentre lasciamo chi è più competente di noi alle discussioni, osserviamo la liturgia. E non ci fermiamo ad alcune somiglianze più macroscopiche e, forse, esteriori, come il colore dei paramenti o l’omissione del Gloria nella Messa domenicale. Nei formulari dell’Ufficio delle Letture di questo lunedì della prima settimana di Avvento abbiamo scovato un altro piccolissimo indizio, che indica appunto una certa analogia, anche se da esso non si può far derivare un significato preciso e chiarissimo. Ma è interessante comunque, perché la liturgia conserva nei suoi testi, nel suo linguaggio e nelle sue consuetudini, un eco, un ricordo, una sapienza, un gusto da cui non si può prescindere anche nelle disquisizioni erudite se non si vuole correre il rischio dell’archeologico, dotto quanto sterile. Vediamo, dunque.

Chi non ricorderà l’impressionante prima lettura della messa del primo giorno di Quaresima, in capite ieiunii, come lo chiamano gli antichi libri liturgici. La liturgia della Parola del Mercoledì delle Ceneri è aperta dall’accorato grido che risuona nel secondo capitolo del libro del profeta Gioele: «Così dice il Signore: ‘Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. […] Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne…».

Ebbene, nel responsorio alla seconda lettura dell’Ufficio di oggi, abbiamo un testo composito  magistralmente e liberamente – con quella libertà di cui gode la liturgia nel riformulare i testi della Sacra Scrittura -. La parte iniziale del responsorio è proprio ispirata ai versetti di Gioele:

Responsorio   Cfr. Gl 2, 15; Is 62, 11; Ger 4, 5
R. Suonate la tromba nella città di Dio, convocate un’adunanza solenne, radunate il popolo, e dite: * Ecco, viene Dio, il nostro Salvatore.
V. Annunziatelo, fatelo sapere, gridate a piena voce:
R. Ecco, viene Dio, il nostro Salvatore.

Il testo della Liturgia delle Ore riporta ancora la precedente traduzione: di tromba o di corno trattasi, ma non cambia il senso della citazione di Gioele, nel primo giorno delle ferie di Avvento! Un corno, dunque, che la liturgia cristiana «usa» in più stagioni!

La vostra salvezza è più vicina ora….

No, non si tratta di un titolo dal sapore millenarista, quello che abbiamo posto a queste brevi considerazioni.  Si sarà riconosciuta la citazione del versetti 11 del capitolo 13 della Lettera ai Romani, che costituisco il responsorio breve alle Lodi della prima domenica di Avvento.

Con questa espressione vorremmo semplicemente far notare come quest’anno, nell’anno liturgico 2017/2018, l’Avvento sia il più breve fra le diverse possibilità che derivano dal fatto che il Natale del Signore si celebri nella data fissa del 25 dicembre, qualsiasi sia il giorno della settimana in cui capiti.

Quest’anno, appunto, il 25 dicembre cade di lunedì, per cui appena celebrata la IV domenica di Avvento, il 24 dicembre, la sera della stessa domenica sarà già vigilia di Natale. Solo 22 giorni di Avvento, un Avvento breve, il più breve possibile: «il tempo si è fatto breve», potremmo dire con San Paolo. Una curiosità in più: l’anno scorso, nel precedente anno liturgico, ci trovavamo nel caso opposto, ossia l’avvento 2016/2017 è stato il più lungo possibile; cadendo il 25 dicembre di domenica, fra la IV domenica di Avvento e la Solennità del Natale sono passati altri 6 giorni. La celebrazione della venuta del Salvatore, davvero «è più vicina ora»!

Può sembrare un paradosso, eppure il periodo liturgico che fa riferimento ad una data fissa, conosce variazioni di durata, mentre la quaresima, il cui inizio è stabilito in base ad una data mobile, la Pasqua, mantiene invariato il numero dei suoi giorni.

Dietro a queste semplici considerazioni ci sono questioni molto più complesse, che ora possiamo solo accennare. La prima, legata proprio alla data del 25 dicembre. Quante volte abbiamo dovuto ascoltare, in varie forme, la vulgata superficiale e mai documentata, secondo la quale la Chiesa (quale? quella di Roma, quella di Alessandria, quella di Antiochia…?) avrebbe cristianizzato una festa pagana. Una furbesca operazione di pastorale liturgica, ai limiti dell’inganno malizioso. Eppure c’è chi anche oggi loderebbe questo tipo di approccio! Peccato che già Thomas Talley, uno dei più grandi specialisti sull’anno liturgico, abbia dimostrato che se emulazione ci fu, accadde al contrario: di fronte al fervore della celebrazione del Natale cristiano, ci fu un tentativo di riportare in auge le antiche e ormai quasi dimenticate festività pagane (1). Studi ancora più recenti offrono ulteriori conferme e aprono interessantissime prospettive, che confermano che la Tradizione non si sbagliò (2) né ebbe bisogno di ricorrere a sotterfugi e doppiezze.

Un’altra questione da approfondire, che allo stesso modo possiamo solo accennare, sarebbe quella di studiare se per caso nelle fasi di studio e di elaborazione del nuovo calendario liturgico si sia contemplata l’ipotesi di una diversa struttura del segmento Avvento-Natale. A tal proposito tornerebbe utile lo studio di Goñi Beasoain (3), che ha pubblicato gli schemi del relativo gruppo di studio: ad esso, e agli Atti del Concilio – per una ricerca ancora più completa – possiamo solo rimandare.

Per adesso, santo e «breve» Avvento 2017!


(1) T. J. Talley, Le origini dell’anno liturgico, Brescia 1991.

(2) Cf. qui e, per una lettura più articolata, qui.

(3) J. A. Goñi Beásoain de Paulorena, La reforma del año litúrgico y del calendario romano tras el Concilio Vaticano II (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” “Subsidia”157), Roma 2011.