Il cieco nato e la domenica “Laetare”: suggestioni e associazioni

E’ risaputo che la IV domenica di quaresima ha una connotazione particolare. L’aspetto più esteriormente evidente è forse il colore dei paramenti liturgici – rosacei – e la possibilità di ornare l’altare con fiori, derogando all’austerità quaresimale. Anche se spesso non viene nemmeno proclamata, alla particolare antifona di ingresso che dà il nome alla domenica, si fanno parecchi riferimenti. Talvolta a sproposito.
Proviamo a domandarci di che cosa ci si dovrebbe “rallegrare”, ovvero quale sia il motivo della letizia a cui la Chiesa invita.
Una delle argomentazioni possibili è che siamo oramai giunti alla metà del cammino quaresimale, e la liturgia vorrebbe offrire una “pausa” nell’esercizio della penitenza e della conversione.
Alcuni studi, d’altro canto, evidenziano che piuttosto che essere la domenica di metà quaresima, paradossalmente questa domenica potrebbe coincidere con l’inizio del particolare tempo di tre settimane, di tre domeniche quindi, che, almeno a Roma, originariamente erano legate assai più direttamente all’ultima preparazione al battesimo da parte dei catecumeni, che ad uno sforzo ascetico e penitenziale in senso generico.
La riforma liturgica del Vaticano II ha stabilito che alcuni aspetti dell’antica prassi catecumenale fossero ripresi per tutti i fedeli, e ha proposto alcune significative variazioni nel lezionario. Per questa quarta domenica, il primo, e nel caso della quaresima il più significativo, schema di letture – il ciclo A – presenta la pericope giovannea del cieco nato. Viene riportata all’originale collocazione una lettura che aveva conosciuto un singolare spostamento. Secondo le ricostruzioni degli storici, infatti, quando gli scrutini dei catecumeni non vennero più celebrati la domenica, ma vennero spostati ai giorni feriali, furono spostate anche le relative letture. E le domeniche, viceversa, acquisirono le letture originariamente assegnate alle ferie ora occupate dagli scrutini. Questa “nuova” sistemazione si è conservata anche nel messale tridentino, che prevedeva la proclamazione di Gv 9,1-38 nel mercoledì della IV settimana. La relativa domenica, invece, si leggeva Gv 6,1-15, che inizialmente era assegnato alla feria. Può essere utile far notare che a partire da questa domenica si leggono, nei giorni feriali, brani dal vangelo di Giovanni: la IV domenica segna quindi l’inizio di un segmento particolare nel cammino quaresimale (alcuni vedono in questa particolarità del lezionario un segno dell’originale stadio di tre settimane cui accennavamo sopra).
Che la lettura della pericope del cieco nato accompagni un momento importante e decisivo del cammino catecumenale sembrano mostrarlo anche alcuni passaggi delle catechesi di due grandi mistagoghi, Ambrogio ed Agostino:
Di Ambrogio si possono citare due passaggi:
– «Dunque, quando hai dato il tuo nome (l’espressione indica l’atto di iscriversi nella lista dei catecumeni per quelli che, dopo alcuni anni di catecumenato, chiedevano di ricevere il battesimo nella Pasqua successiva; essi erano chiamati competentes), il Signore ha raccolto del fango e lo ha spalmato sui tuoi occhi..». E’ appunto il riconoscersi, finalmente, debole e fragile, bisognoso della grazia e della giustificazione, che spinge l’uomo al battesimo: «Perciò anche a te ha imposto il fango, cioè il sentimento della vergogna, la prudenza, la considerazione della tua fragilità, e ti ha detto: Va’ a Siloe. Che significa Siloe? Ciò si interpreta, dice il Vangelo, mandato. Cioè: va’ a quel fonte nel quale Cristo redime i peccati». [De sacramentis III, 11]
– «Avvicinati anche tu a Siloe, cioè a colui che è stato mandato dal Padre, come disse: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato”. Ti lavi Cristo, perché tu possa vedere. E giunto il tempo: vieni al battesimo; vieni in fretta, per poter dire come quel cieco, dopo aver riacquistata la vista: Prima ero cieco e ora ho incominciato a vedere; “La notte è avanzata, è vicino il giorno”». [Epistola 80,5]
Di Agostino:
– «…si può dire che quando gli spalmò gli occhi lo fece catecumeno…(quando inunxit, fortasse catechumenum fecit) […] Non è sufficiente che i loro occhi siano stati spalmati di fango; si affrettino a lavarsi, se vogliono vedere (sed non eis sufficit ad quod inuncti sut; festinent ad lavacrum, si lumen inquirunt)». [Commento al Vangelo di Giovanni 44,2]

Oltre al collegamento fra l’episodio evangelico e il rito dell’iscrizione del nome, abbiamo sottolineato anche le espressioni vieni in fretta/si affrettino a lavarsi, perché, curiosamente, la colletta, che è un collage di una formula del sacramentario gelasiano e un testo di Leone Magno, presenta anche un ultimo sintagma di nuova composizione: ad ventura sollemnia valeat festinare, sappia affrettarsi alle feste che si avvicinano. Si tratta, naturalmente, di suggestioni senza pretesa di serietà, tuttavia tutti questi elementi potrebbero aiutare a fornire altre risposte alla domanda circa il senso dell’antifona che dà il tono a questa domenica. In effetti, se consideriamo anche il Salmo che è collegato all’antifona Laetare, il salmo 122(121), scopriremmo altri possibili collegamenti:
Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l’amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione. [cf. Is 66,10-11]
Quale gioia quando mi dissero:
“Andremo alla casa del Signore!” [sal 122,1]

Allargando un poco la lettura troviamo questi versetti: “Perché così dice il Signore: ‘Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume la pace; come un torrente in piena la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore” (Is 66,12-14); “Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!” (Sal 122,2).

Si può immaginare qualcosa della gioia delle comunità cristiane per i catecumeni che finalmente potevano essere ammessi al battesimo? La chiesa, la nuova Gerusalemme, si rallegra per i suoi nuovi figli, che ormai decisi si avviano al fonte battesimale.

Oltre ad essere un’occasione di ulteriore letizia, per quelle comunità in cui sono presenti catecumeni che saranno battezzati nella Veglia pasquale, lungi dall’essere una “pausa” nel cammino quaresimale, questa domenica potrebbe essere allora una rinnovata scossa, un rinnovato invito perché tutti i fedeli si rinnovino iteriormente, affrettandosi perché si avvicina la luce della Pasqua: liberi da inganni e autosufficienze, siamo invitati a lasciarci scrutare dal Signore, perché ben al di là di scontate ed esteriori pratiche religiose, possiamo giungere sempre più realmente all’incontro adorante con il Signore Gesù: “Ed egli disse: ‘Credo, Signore!’. E si prostrò dinanzi a lui” (Gv 9,38). Di questa grazia, offertaci dal tempo quaresimale, ci si può davvero rallegrare!

Al cieco guarito Gesù rivela che è venuto nel mondo per operare un giudizio, per separare i ciechi guaribili da quelli che non si lasciano guarire, perché presumono di essere sani. E’ forte infatti nell’uomo la tentazione di costruirsi un sistema di sicurezza ideologico: anche la stessa religione può diventare elemento di questo sistema, come pure l’ateismo, o il laicismo, ma così facendo si resta accecati dal proprio egoismo. Cari fratelli, lasciamoci guarire da Gesù, che può e vuole donarci la luce di Dio! Confessiamo le nostre cecità, le nostre miopie, e soprattutto quello che la Bibbia chiama il “grande peccato” (cfr Sal 18,14): l’orgoglio.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2008/documents/hf_ben-xvi_ang_20080302_it.html

L’itinerario quaresimale che stiamo vivendo è un tempo particolare di grazia, durante il quale possiamo sperimentare il dono della benevolenza del Signore nei nostri confronti. La liturgia di questa domenica, denominata “Laetare”, invita a rallegrarci, a gioire, così come proclama l’antifona d’ingresso della celebrazione eucaristica: “Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione” (cfr Is 66,10-11). Qual è la ragione profonda di questa gioia? Ce lo dice il Vangelo odierno, nel quale Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita. La domanda che il Signore Gesù rivolge a colui che era stato cieco costituisce il culmine del racconto: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” (Gv 9,35). Quell’uomo riconosce il segno operato da Gesù e passa dalla luce degli occhi alla luce della fede: “Credo, Signore!” (Gv 9,38). È da evidenziare come una persona semplice e sincera, in modo graduale, compie un cammino di fede: in un primo momento incontra Gesù come un “uomo” tra gli altri, poi lo considera un “profeta”, infine i suoi occhi si aprono e lo proclama “Signore”. In opposizione alla fede del cieco guarito vi è l’indurimento del cuore dei farisei che non vogliono accettare il miracolo, perché si rifiutano di accogliere Gesù come il Messia. La folla, invece, si sofferma a discutere sull’accaduto e resta distante e indifferente. Gli stessi genitori del cieco sono vinti dalla paura del giudizio degli altri.
E noi, quale atteggiamento assumiamo di fronte a Gesù? Anche noi a causa del peccato di Adamo siamo nati “ciechi”, ma nel fonte battesimale siamo stati illuminati dalla grazia di Cristo. Il peccato aveva ferito l’umanità destinandola all’oscurità della morte, ma in Cristo risplende la novità della vita e la meta alla quale siamo chiamati. In Lui, rinvigoriti dallo Spirito Santo, riceviamo la forza per vincere il male e operare il bene. Infatti la vita cristiana è una continua conformazione a Cristo, immagine dell’uomo nuovo, per giungere alla piena comunione con Dio. Il Signore Gesù è “la luce del mondo” (Gv 8,12), perché in Lui “risplende la conoscenza della gloria di Dio” (2 Cor 4,6) che continua a rivelare nella complessa trama della storia quale sia il senso dell’esistenza umana. Nel rito del Battesimo, la consegna della candela, accesa al grande cero pasquale simbolo di Cristo Risorto, è un segno che aiuta a cogliere ciò che avviene nel Sacramento. Quando la nostra vita si lascia illuminare dal mistero di Cristo, sperimenta la gioia di essere liberata da tutto ciò che ne minaccia la piena realizzazione. In questi giorni che ci preparano alla Pasqua ravviviamo in noi il dono ricevuto nel Battesimo, quella fiamma che a volte rischia di essere soffocata. Alimentiamola con la preghiera e la carità verso il prossimo.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2011/documents/hf_ben-xvi_ang_20110403_it.html

Paolo VI, novello Amleto? In margine ad una ri-lettura della riforma liturgica.

Abbiamo appena iniziato una nuova “sezione” di questo minuscolo blog e subito ne verifichiamo l’importanza e la necessità.
Ci è capitato fra le mani uno studio di P. Fernández Rodríguez, La sagrada liturgia en la escuela de Benedicto XVI, Città del Vaticano 2014.
Dobbiamo per la verità innanzitutto confessare che non abbiamo studiato in profondità quanto l’autore scrive, né possiamo essere sicuri che l’impressione ricavata dalla lettura veloce di alcune pagine non debba essere poi smentita dalla lettura di tutto il volume, comunque degno di attenzione, anche per la prefazione del Cardinale Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Antonio Cañizares Llovera. Tuttavia rimaniamo un po’ perplessi di fronte ad alcune affermazioni, che paiono veicolare alcune “vulgate” che dovrebbero invece essere una volta per tutte demitizzate.
Da quanto si può capire dalla lettura di alcune pagine (1), sembrerebbe che l’opera della riforma liturgica sia stata ideata, improntata e attuata dal solo Bugnini, che – ricordiamo – era il Segretario di una commissione che aveva un Cardinale Presidente, neanche di poco peso, e oltre 50 membri, di cui alcuni Cardinali, altri Vescovi, oltre che numerosi periti ed esperti. Di queste varie istanze non si parla. Si lascia immaginare, invece, una “fretta” e una precipitosità nell’attuazione della riforma (2) . Un lettore non addentro alle questioni potrebbe essere indotto ad una errata comprensione.
Fa specie, inoltre, un apprezzamento un poco irrispettoso nei confronti di Papa Paolo VI: “fue evidente el temperamento hamletiano de Pablo VI […] Pablo VI era llamativamente un hombre caracterizado por lo laico y por la sensibilidad del hombre moderno, come reconoció su biógrafo Jean Guitton, que a veces encontró dificultad para ir en contra de la corriente” (p. 64).

Lo ripetiamo ancora: non siamo in grado di formulare un giudizio critico onesto e serio sul contenuto dell’intero libro di Fernández Rodríguez, ma ci chiediamo se giovi davvero insinuare debolezze e incongruenze nell’operato di Paolo VI; è fruttuoso insinuare una discontinuità fra Paolo VI e Benedetto XVI (cf. il titolo: la liturgia alla scuola di Benedetto XVI)?
Per correggere, o comunque migliorare, le acquisizioni e la ricezione della riforma liturgica conviene una simile operazione? Nessuno che sia seriamente addentro alle problematiche liturgiche post-conciliari pensa che non siano da rivedere o da ritoccare alcune concrete modalità celebrative, o che i rinnovati libri liturgici siano perfetti o assolutamente indiscutibili. Siamo del parere che questo debba essere fatto a partire di un serio e scientifico lavoro di investigazione sui documenti, sui testi e sui testimoni, senza cedere a pre-giudizi o, addirittura, a giudizi, questi sì, affrettati.

Ci sovviene di pensare che, paradossalmente, fu un bene per Bugnini – e per la Sacrosanctum Concilium – la mancata conferma (3) come Segretario della Commissione Conciliare De Liturgia: se al religioso vincenziano, già Segretario della Commissione Preparatoria e poi del Consilium, viene attribuita l’intera responsabilità della riforma – e presso molti con connotazioni negative e ingenerose -, immaginiamo cosa sarebbe potuto accadere se ci fosse stata una continuità di direzione in tutte le fasi della Costituzione liturgica (preparazione, discussione, attuazione)!

Terminiamo questa piccola considerazione con un riferimento ad un momento particolare del ministero petrino di G.B. Montini: anche se si tratta di un ambito assai diverso dalla questione della riforma liturgica, ci pare interessante attingere ad una riflessione di A. Sicari intorno alla questione dell’Enciclica di Paolo VI Humanae Vitae: in quell’occasione il Papa fu tutt’altro che hamletico e incapace di andare contro corrente! Senza entrare qui nei contenuti dell’enciclica, riportiamo alcune illuminanti frasi di commento generale della vicenda:

La reazione di quasi tutta l’opinione pubblica – compresi parte del clero e alcuni esponenti dell’episcopato – si sollevò contro la decisione del pontefice. Molti altri tentarono almeno di ridurne la portata e di sminuirne l’obbligatorietà. In complesso possiamo dire che il magistero pontificio toccò nell’epoca moderna il punto più basso della sua credibilità mondana e lo stesso Paolo VI venne aggredito da una indegna campagna diffamatoria. Era proprio l’anno 1968, già attraversato a livello mondiale da turbini di ribellione. In complesso quella dell’Humanae vitae fu una delle pagine più tristi della storia della Chiesa – per le disobbedienze di alcuni cristiani – anche se oggi appare sempre più, agli occhi di molti, come una delle pagine più gloriose e profetiche. Prima di dare le motivazioni di quest’ultimo giudizio vale la pena riportare le accorate riflessioni con cui lo stesso Paolo VI spiegò a tutta la Chiesa i motivi della sua inattesa decisione. Lo fece con passione durante una udienza pubblica, nonostante egli fosse noto per il suo carattere schivo, non facile alle confidenze. Dopo due giorni dalla pubblicazione dell’Enciclica confidò: “Vi diremo semplicemente qualche parola, non sul documento in questione, quanto su alcuni nostri sentimenti, che hanno riempito il nostro animo nel periodo non breve della sua preparazione. Il primo sentimento è stato quello di una gravissima responsabilità. Esso ci ha introdotto e sostenuto nel vivo della questione, durante quattro anni dovuti allo studio e all’elaborazione di questa enciclica. Vi diremo che tale sentimento ci ha fatto non poco soffrire spiritualmente. Mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo anche molto pregato. Quante volte abbiamo avuto quasi l’impressione di essere soverchiati da questo cumulo di documentazione e quante volte, umanamente parlando, abbiamo avvertito l’inadeguatezza della nostra povera persona al formidabile obbligo apostolico di doversi pronunciare al riguardo. Quante volte abbiamo trepidato
davanti al dilemma di una facile condiscendenza alle opinioni correnti, ovvero di una sentenza mal sopportata dall’odierna società, che fosse troppo grave per la vita coniugale. Ci siamo valsi di molte consultazioni particolari, di persone di alto livello scientifico, morale e pastorale e, invocando il dono dello Spirito, abbiamo messo la nostra coscienza nella piena e libera disponibilità alla voce della verità, cercando di interpretare la norma divina”.
Ricordare questa accorata “confessione” di un papa ha per noi cristiani un notevole valore pedagogico: ci costringe a metterci con serietà e sobrietà, con volontà di comprendere e di amare, di fronte alla verità che ci viene proposta, anche se difficile.
Di tutta la polemica che allora si scatenò – e fu davvero dura e amara – ci sembra meriti di essere ancora ricordato (anche perché meno noto). Mentre alcuni noti teologi cattolici inorridivano davanti alla decisione del papa e si scusavano soprattutto nei riguardi dei loro colleghi non cattolici, il più prestigioso e grande dei teologi protestanti allora vivente, K. Barth – per tanti versi lontano dalle posizioni cattoliche – scrisse a Paolo VI, esprimendo il suo giudizio favorevole sulla decisione del pontefice, aggiungendo: “Vi assicuro il più grande rispetto per ciò che potrebbe essere chiamato l’eroico isolamento in cui, Santità, ora vi trovate”. E fu talmente vero che il Papa s’era messo solo di fronte a Dio, nella sua decisione, che Paolo VI non volle rendere pubblica la lettera che pure sarebbe stata per lui una soddisfazione non indifferente, davanti a un certo mondo di teologi scandalizzati e sprezzanti. Insistiamo su questi particolari storici – anche se questo non é uno studio, ma solo un breve testo di aiuto agli sposi – perché pensiamo non sia possibile oggi a dei fedeli cristiani accogliere con gioia l’insegnamento della loro Chiesa se prima non si liberano di quel disprezzo verso la dottrina cattolica al riguardo, che hanno accumulato – coscientemente o no – in forza di mille “sentito dire”, e di luoghi comuni ancora ripetuti fino alla noia, nei mezzi di comunicazione di massa.

A. SICARI, Breve catechesi sul Matrimonio, Milano 1990, 64-65.


(1) Cf. P. Fernández Rodríguez, La sagrada liturgia en la escuela de Benedicto XVI, Città del Vaticano 2014, 45-68.

(2) Nei nostri piccoli e modesti contributi, fra l’altro, abbiamo mostrato un piccolo esempio di come una questione se vogliamo piuttosto marginale come il problema dei salmi imprecatori e storici sia stata più e più volte discusso, nelle varie istanze e livelli del Consilium, senza che vi sia stata alcuna accelerazione forzata o indebita. Cf., fra altri, il post https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/14/ii-settimana-di-avvento-sabato-ufficio-delle-letture-un-approdo-non-scontato-per-un-salmo/

(3) Nel precedente post ci eravamo posti la domanda se fosse stata una buona scelta, per il migliore svolgimento dei lavori conciliari, l’aver cambiato la Segreteria della Commissione: cf. https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/24/commissio-conciliaris-de-liturgia-le-adunanze-con-un-convitato-di-pietra/

Commissio Conciliaris De Liturgia: le adunanze con un “convitato di pietra”

Nell’accingersi ad approfondire l’opera di riforma liturgica del Vaticano II sono imprescindibili alcuni strumenti, fra i quali spiccano due studi[1], che, rifacendosi in grande parte alla documentazione ad essa relativa, offrono al contempo un’ampia visione generale e preziosi dettagli. Per alcuni aspetti, questi due contributi potrebbero essere complementari: temporalmente coprono periodi diversi e offrono una prospettiva talvolta personale. Per questo, la ricerca diretta sulle carte non cessa mai di arrecare sorprese e particolari interessanti e significativi.

Quello che vogliamo presentare qui può essere un dettaglio forse marginale, ma comunque fornisce una tessera in più nella ricerca, e permette di valutare meglio il valore di alcune ricostruzioni: l’oggettività e la completezza, per quanto possibile, sono quanto mai necessarie oggi, a causa di alcune voci polemiche e di dubbi che continuano ad essere divulgati, senza essere appoggiati su di una pur minima documentazione.

E’ cosa risaputa che la mancata conferma del Segretario della Commissione Preparatoria De Liturgia come Segretario anche della Commissione Conciliare De Liturgia suscitò grande sorpresa. Negli studi citati si possono notare anche gli aspetti più personali della vicenda, che coinvolse A. Bugnini, il Segretario dell’Antipreparatoria, e F. Antonelli, il nuovo Segretario nella fase conciliare. Maggiori dettagli sulla vicenda si possono trovare nelle Memorie autobiografiche di mons. Bugnini, pubblicate recentemente da p. Pasqualetti[2].

Senza fermarci adesso in questo ambito più personale, vorremmo proporre un altro tipo di riflessione: fu saggia la decisione di sostituire – non così avvenne per le altre Commissioni – il Segretario della Preparatoria? Non si rischiava di alterare un metodo e un gruppo di lavoro che aveva dato buoni frutti, visto il generale e apprezzamento dello schema preparatorio?

In effetti, nelle prime Adunanze della Commissione Conciliare fu necessario discutere di questioni di procedura e di natura giuridica, e i lavori concreti di revisione dello schema, secondo quanto i Padri conciliari nel frattempo osservavano, procedevano con molta lentezza. Alla settima Adunanza una lettera, firmata da alcuni Padri della Commissione, propose un metodo più celere per far procedere il lavoro, e mons. Malula, arcivescovo di Kinshasa, chiese la parola, rivolgendosi al Presidente per “esprimere tutta la sua insoddisfazione per il modo di procedere, lento e inconcludente, della Commissione. Lo supplica di cambiar metodo, evitando così altra perdita di tempo”[3]!

Nell’Adunanza precedente un altro Vescovo aveva manifestato la sua perplessità per la complicazione sopraggiunta. L’aver privato lo schema della declarationes esplicative del voto rendeva spesso incomprensibili e troppo generici gli articoli del testo. Per questo si chiedeva che ai Vescovi fosse fornito il testo delle declarationes. E, per i lavori della Commissione, fu proposto di avvalersi dell’esperienza e del parere di Bugnini, che di fatto era presente come perito alle riunioni della Commissione, nonostante dovette subire, contestualmente alla cessazione dell’incarico come Segretario, anche l’umiliazione della sospensione della sua cattedra all’Università Lateranense (fu fatto un tentativo di estromissione anche dalla cattedra all’Urbaniana, ma il card. Agagianian si oppose al provvedimento). Al Vescovo di Biella, mons. Carlo Rossi, in nome di un buon senso pratico, nella sua semplicità parve del tutto ovvio chiedere che fosse coinvolto maggiormente il Segretario della Commissione Preparatoria. Il Cardinale Presidente della Commissione Conciliare rispose in modo piuttosto generico, forse imbarazzato.

Curiosamente questo dettaglio non viene riferito nella ricostruzione dei verbali delle Adunanze offerta da Giampietro nello studio citato. Che l’Antonelli non l’abbia annotato?

Nell’Archivio Segreto Vaticano, nella busta 1385 del fondo del Vaticano II, relativa ai lavori della Commissione Conciliare De Liturgia, sono raccolti in un fascicolo i Verbali delle Adunanze: dai fogli dattiloscritti della Prima Sessione abbiamo attinto quanto segue:

 «6° Adunanza (7 novembre 1962)[…]

[f. 12]

2. – Subito dopo la preghiera, S.E. Mons. Rossi chiede la parola, che gli viene concessa. Egli ricorda brevemente il lavoro accurato svolto dalla Commissione Preparatoria, e lamenta che nell’Aula Conciliare siano state rivolte certe osservazioni allo Schema. Queste obiezioni – rileva – non ci sarebbero state, se si fossero conservate nel testo dello Schema distribuito ai Padri le “Declarationes” che la Commissione Preparatoria aveva aggiunto ad alcuni articoli, allo scopo di renderne più chiaro il significato e le conseguenze. Propone inoltre che prima di ogni deliberazione sia ascoltato P. Bugnini, che fu Segretario della Commissione Preparatoria, circa il significato esatto delle questioni prospettate dallo Schema.

Il Presidente risponde dicendo di non dare eccessivo peso alle osservazioni fatte dai Padri, i quali, nell’Aula Con-[f. 13]ciliare, godono della massima libertà. A suo tempo poi sarà ascoltato anche P. Bugnini. [….]

Quanto alle “Declarationes”, sebbene alcuni Padri, in Aula, abbiano chiesto la loro ristampa e distribuzione a tutti i Padri, il Presidente, Card. Larraona, fa osservare che esse non fanno parte dello Schema approvato dal Papa: tutt’al più possono avere valore di delucidazione, ma non valorre giuridico. Tuttavia egli non si oppone a che vengano ristampate e distribuite ai Padri perché facilitino la comprensione dello Schema. […]

[f. 14]

[…] 6. – L’adunanza si chiude alle ore 19, dopo un nuovo intervento di S.E. Mons. Jenny perché siano ristampate e distribuite le “declarationes” aggiunte allo Schema dalla Commissione Preparatoria»

ASV, Conc. Vat. II, busta 1385, Commissio Conciliaris De Sacra Liturgia, Acta Sessionum.

(Le sottolineature sono nostre)


[1] A. Bugnini, La riforma Liturgica (1948-1975), Roma 19972; N. Giampietro, Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Roma 1998.

 [2] A. Bugnini, “Liturgiae cultor et amator, servì la Chiesa. Memorie autobiografiche, ed. G. Pasqualetti, Roma 2012.

[3] Giampietro, Il card. Ferdinando Antonelli, 113.

Una nuova categoria nel blog

Proviamo, ad exeperimentum, una nuova categoria nel blog: in essa posteremo articoli che verteranno più direttamente su vicende e persone relative alla riforma liturgica del Vaticano II. Una nuova sfida: verificare la continuità fra il Concilio (Concilium) e l’opera dell’Istituzione che, per la liturgia, ne curò poi  l’attuazione pratica, il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia (Consilium). Concilium & Consilium, quindi.

Speriamo di offrire un contributo utile e positivo, per la conoscenza di un periodo tanto importante per la vita della Chiesa di oggi.

Lo diciamo da subito: annotazioni, correzioni o suggerimenti saranno graditi; altresì chiediamo venia in anticipo se la vis polemica potrà talora indurci ad sottolineare errori o difetti altrui.

Una mirabile rilettura gallo-ambrosiana.

Attingiamo da indiscutibili autorità conferme e spunti per il tema di fondo del nostro blog: la “continuità” fra Bibbia e Liturgia.

Lasciamo quindi per un attimo l’altro grande taglio delle nostre piccole incursioni, la continuità della riforma liturgica del Vaticano II con l’autentica tradizione. Ma tutto si tiene, perché la mirabile sintesi che riportiamo qui è opera di uno dei grandi maestri che di quella riforma furono protagonisti di primissimo piano. Senz’altro dire dunque, la parola al liturgista francese A. G. Martimort: presentando il metodo catechetico di sant’Ambrogio, un paragrafo ne evidenzia le basi bibliche. Un testo tutto da leggere, dal genio santambrosiano alla lucida sintesi di un “piccolo”, ma grandissimo, “gallo” (se non ricordo male, da qualcuno ho sentito una volta che in tal modo veniva scherzosamente chiamato Martimort, giocando sulla non altissima statura di questo liturgista di Tolosa)

 

I sacramenti trovano la loro significazione nella storia biblica.

Alcuni dei riti dell’iniziazione cristiana, sia sacramentali sia non sacramentali [..] ripetono i gesti stessi di Cristo. Così l’effeta […]. Lo stesso per la lavanda dei piedi dopo il battesimo, rito proprio della Chiesa milanese e di altre Chiese vicine, la cui significazione vien data dalla lettura del brano evangelico Gv 13. E sopra tutto l’Eucaristia, nella quale parole e gesti sono proprio quelli di Cristo. Inoltre alcune azioni di Cristo sono particolarmente commentate da sant’Ambrogio per spiegare il Battesimo e i suoi effetti: il battesimo di Gesù nel Giordano, la guarigione del paralitico di Bethsaida, la guarigione del cieco nato. E rileggendo oggi il commentario del Vescovo di Milano, ci possiamo chiedere se gli evangelisti non ci hanno voluto descrivere quegli eventi appositamente per illustrare la dottrina del sacramento del Battesimo.

Con i fatti e le immagini del Nuovo Testamento, si presentano numerose le immagini dell’Antico Testamento: lo Spirito di Dio che sopra le acque all’origine della creazione; la fecondità creatrice delle acque – le acque brulichino di esseri vivi, e nacquero esseri guizzanti; le acque del diluvio, la salvezza di Noè per il legno dell’arca e la colomba annunziatrice della pace; il re Melchisedech sacerdote dell’Altissimo che offrì pane e vino; il passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso; la colonna di nube “simbolo dello Spirito Santo”; le acque amare di Mara addolcite dal legno gettato da Mosè; la manna piovuta dal cielo; l’acqua che scaturisce dalla roccia toccata con la verga di Mosè; Naaman il lebbroso che per l’ordine di Eliseo si immerge nel Giordano e fu guarito; il ferro della scure caduto nell’acqua, che ritornò a galla quando Eliseo invocò il nome del Signore.

Nell’ascoltare tutta questa sequela di episodi biblici, saremmo tentati di pensare che si tratti dell’espressione del genio personale di Ambrogio, di un metodo originale riflettente la sua propria educazione letteraria, l’eredità di una scuola teologica particolare. Invece dobbiamo constatare che era il metodo universale della catechesi dei sacramenti, anzi che sant’Ambrogio l’ha ricevuto dalla tradizione: tranne qualche rara eccezione, tutti i “paradigmi” biblici adoperati da lui si leggevano già nel De baptismo di Tertulliano; li troviamo dipinti sui muri delle catacombe romane e alcuni anche nel battistero di Dura-Europos. Non solo, ma probabilmente esisteva già alla fine del IV secolo, sostanzialmente nel testo conservato sino a noi, la prex consacratoria dell’acqua della liturgia romana che presenta lo stesso affresco di storia biblica. Inoltre la maggior parte dei “tipi” sono già proposti dal Nuovo Testamento stesso, nelle Epistole di san Paolo, la Lettera agli Ebrei, le Epistole di Pietro, il Vangelo di san Giovanni.

Tutto questo ci insegna che dalla prima catechesi apostolica fin ad Ambrogio, vi è sempre stata la convinzione che i riti sacramentali, i segni istituiti da Gesù trovano la loro significazione nella Bibbia. Non sono segni convenzionali, arbitrariamente scelti; non basta neanche dire che sono segni naturali, profondamente inseriti nella psicologia umana. E’ vero che sono fino a un certo punto naturali, perché il Signore “sapeva che cosa vi è nell’uomo”; ma lo studio dei segni e dei simboli al livello delle scienze umane non potrebbe attingere al significato sacramentale: i sacramenti inseriscono l’uomo in una storia, la storia delle gesta di Dio nel suo popolo. Dio agisce sempre con le stesse meraviglie della sua misericordia, e perciò l’Antico Testamento è la pedagogia necessaria per capire l’opera di Cristo. Sant’Ambrogio dice nella sua espressione paradossale: “antiquiora sunt sacramenta Ecclesiae quam synagogae et praestantiora quam manna est”. [De mysteriis 44; cf. 49]

Orbene i neofiti ai quali si rivolge la catechesi santambrosiana non provengono dal giudaismo, ma dal paganesimo, quindi non sapevano niente affatto della Bibbia e della storia sacra prima di frequentare la Chiesa. Peggio ancora, ce ne sono, come Agostino, che provengono dalla setta manichea e che, pur avendo conosciuto qualche cosa dell’Antico Testamento, l’hanno rigettato sistematicamente. Come dunque è possibile che davanti a questi neofiti Ambrogio alluda a tanti episodi biblici, anzi faccia un commento dei testi più difficili dei salmi o del Cantico dei Cantici? E’ perché prima del battesimo hanno ricevuto un’intensa istruzione sulla storia della salvezza, con lunghe letture dei testi e il relativo commento; hanno partecipato a tutte le funzioni sacre della quaresima e, anche prima di essere competentes, hanno partecipato forse per più anni alla prima parte dell’assemblea domenicale, ascoltando le letture, il canto dei salmi, l’omelia del Vescovo. Lo stesso avviene ad esempio, nella Chiesa di Gerusalemme, lo attesta la pellegrina Egeria; e sembra che la maggior parte delle Chiese abbiano conservato, nel loro lezionario, i brani biblici quaresimali che corrispondono alla preparazione biblica dei catecumeni.

Non lasciamo perdere l’esempio di Ambrogio: certo il rigore esegetico sarà più esigente del suo, ma lo stesso principio d’intelligenza dei sacramenti cristiani dovrebbe illuminare la nostra catechesi: l’oggi della salvezza suppone la storia, storia di Cristo e storia del popolo eletto: le figure spiegano la realtà che esse precedevano e annunziavano, come insegna il Concilio Vaticano II. Bibbia e liturgia sono strettamente legate.

A.G. Martimort, «Attualità della catechesi sacramentale di sant’Ambrogio», in Mens concordet voci. Pour Mgr A.G. Martimort à l’occasion de ses 40 années d’enseignement et des 20 ans de la Constitution Sacrosanctum Concilium, Desclée, Paris 1983, 165-167.

Astèrio di Amasea, reloaded

Quasi per farci perdonare il post precedente, ne riproponiamo uno di qualche mese fa. L’Ufficio delle letture di oggi riportava una splendida pagina patristica, da cui avevamo attinto una perla: https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/14/questa-pecorella-non-e-in-realta-una-pecorella-e-questo-pastore-e-tuttaltro-che-un-pastore/

 Vi lascio alla lettura dell’omelia del Padre della Chiesa, poi, alla fine, ancora due parole di commento:

 

Dalle «Omelie» di sant’Astèrio di Amasea, vescovo  (Om. 13; PG 40, 355-358. 362)

Imitiamo l’esempio del buon Pastore

 Poiché il modello, ad immagine del quale siete stati fatti, è Dio, procurate di imitare il suo esempio. Siete cristiani, e col vostro stesso nome dichiarate la vostra dignità umana, perciò siate imitatori dell’amore di Cristo che si fece uomo.

Considerate le ricchezze della sua bontà. Egli, quando stava per venire tra gli uomini mediante l’incarnazione, mandò avanti Giovanni, araldo e maestro di penitenza e, prima di Giovanni, tutti i profeti, perché insegnassero agli uomini a ravvedersi, a ritornare sulla via giusta e a convertirsi a una vita migliore.

Poco dopo, quando venne egli stesso, proclamò di persona e con la propria bocca: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (Mt 11, 28). Perciò a coloro che ascoltarono la sua parola, concesse un pronto perdono dei peccati e li liberò da quanto li angustiava. Il Verbo li santificò, lo Spirito li rese saldi, l’uomo vecchio venne sepolto nell’acqua, e fu generato l’uomo nuovo, che fiorì nella grazia.

Dopo che cosa seguì? Colui che era stato nemico diventò amico, l’estraneo diventò figlio, l’empio diventò santo e pio.

Imitiamo l’esempio che ci ha dato il Signore, il buon Pastore. Contempliamo i vangeli e, ammirando il modello di premura e di bontà in essi rispecchiato, cerchiamo di assimilarlo bene.

Nelle parabole e nelle similitudini vedo un pastore che ha cento pecore. Essendosi una di esse allontanata dal gregge e vagando sperduta, egli non rimane con quelle che pascolavano in ordine, ma messosi alla ricerca dell’altra, supera valli e foreste, scala monti grandi e scoscesi, e, camminando per lunghi deserti con grande fatica, cerca e ricerca fino a che non trova la pecora smarrita.

Dopo averla trovata, non la bastona, né la costringe a forza a raggiungere il gregge, ma, presala sulle spalle, e trattatala con dolcezza, la riporta al gregge, provando una gioia maggiore per quella sola ritrovata, che per la moltitudine delle altre.

Consideriamo la realtà velata e nascosta della parabola. Quella pecora non è affatto una pecora, né quel pastore un pastore, ma significano altra cosa. Sono figure che contengono grandi realtà sacre. Ci ammoniscono, infatti, che non è giusto considerare gli uomini come dannati e senza speranza, e che non dobbiamo trascurare coloro che si trovano nei pericoli, né essere pigri nel portare loro il nostro aiuto, ma che è nostro dovere ricondurre sulla retta via coloro che da essa si sono allontanati e che si sono smarriti. Dobbiamo rallegrarci del loro ritorno e ricongiungerli alla moltitudine di quanti vivono bene e nella pietà.

 

Ex Homilíis sancti Astérii Amaséni epíscopi (Hom. 13: PG 40, 355-358. 362)

[…]

Imitémur eam pascéndi ratiónem, qua Dóminus usus est; Evangélia contemplémur; ibíque, tamquam in spéculo, diligéntiæ et benignitátis exémplum intuéntes, eas perdiscámus.

Illic enim in parábolis adumbratísque sermónibus vídeo centum óvium hóminem pastórem, qui, cum illárum una a grege discessísset et errabúnda vagarétur, non mansit cum illis, quæ servántes órdinem pascebántur; sed, ad eam requiréndam proféctus, multas valles saltúsque superávit, magnos atque árduos montes transcéndit, in solitudínibus peragrándo multo cum labóre támdiu pervestigávit, donec errántem invénit.

Invéntam autem non verberávit, nec urgéndo veheméntius ad gregem cómpulit, sed húmeris suis impósitam et léniter tractátam ad gregem gestávit, maiórem ex una illa invénta, quam ex reliquárum multitúdine, lætítiam percípiens. Rem obscuritáte similitúdinis obvolútam atque recónditam considerémus. Ovis hæc non ovem omníno, nec pastor ille plane pastórem, sed áliud quiddam signíficat.

His exémplis sacræ res continéntur. Nos enim cómmonent, ne hómines pro pérditis ac desperátis habeámus, neve eos in perículis versántes neglegámus aut segnes simus ad feréndum auxílium, sed eos, a recta vivéndi ratióne deflecténtes et errántes, reducámus in viam, eorúmque lætémur réditu, atque ipsos cum bene piéque vivéntium multitúdine coniungámus.

Oggi è l’anniversario dell’elezione di Papa Francesco: avrà trovato nella Liturgia una consolazione per il suo ministero!

Terminiamo con alcune sue parole:

“Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!”

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/angelus/2013/documents/papa-francesco_angelus_20130915_it.html

11 marzo 1964: una storia tutta (o quasi) da scoprire. Come farla conoscere?

Sfogliando fra alcuni vecchi appunti e riordinando alcuni fascicoli di fotocopie e annotazioni varie, mi sono accorto di aver mancato di pochissimo un’occasione importante. Ieri, 11 marzo 2014, correvano 50 anni esatti dalla prima riunione plenaria del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, la speciale Commissione voluta da Paolo VI per adempiere le indicazioni del Concilio sulla riforma della liturgia.

Proprio in questi giorni – per questo stavo sfogliando fra le mie carte -, riflettevo sul fatto che in questo minuscolo blog più di una volta è capitato di scrivere dei post aventi come oggetto il lavoro di qualche perito o di qualche gruppo di studio del Consilium. Intorno all’opera di questa Commissione, come si sa, si concentrano polemiche e (pre)giudizi spesso non fondati. Una delle vie di possibile risoluzione serena e fondata delle questioni è lo studio rigoroso della documentazione. In questi anni stanno aumentando gli studi su questo o su quell’aspetto della riforma liturgica a partire proprio dalla documentazione prodotta dagli esperti del Consilium: si potranno condividere o meno alcune scelte, ma almeno si può discutere con dati alla mano e fondati su testimonianze più certe.

La difficoltà di accedere al materiale documentario e la prevalenza del latino nei fascicoli dei vari gruppi di studio rende assai complicato rendere accessibile questo tesoro, di indubitabile valore storico – qualunque posizione si abbia. Nel mio piccolo ho tentato di offrire qualche piccolo “assaggio”. Come continuare?
La riproduzione dei testi forse non è, nell’originale, fruibile per molti. Una semplice traduzione, senza un minimo di introduzione alle questioni, può risultare poco comprensibile. Tuttavia non si può rischiare di appesantire troppo un post, con lunghe premesse o apparati di documentazione. Al contrario, cercare di offrire delle sintesi senza troppa preoccupazione di fondarle può far ricadere nel soggettivismo e nella parzialità che spesso contraddistingue chi non adduce poi le fonti e la documentazione relativa.

Non c’è spazio sul web per questo tipo di ricerca? Dobbiamo continuare a pensare ragionando come se si dovesse pubblicare una ricerca nella forma classica di un volume?

Quale potrebbe essere una modalità efficace?

In occasione del recente convegno organizzato dalla Congregazione per il Culto divino (Sacrosanctum Concilium: gratitudine e impegno per un grande movimento di comunione ecclesiale, Roma 18-20 febbraio 2014) ho avuto possibilità di scambiare qualche parola con molti miei professori al PIL, salutandoli e raccontando loro delle mie ricerche. Uno di loro mi ha dato un parere curioso: “Il tuo è un blog chic!”

Pur non volendo creare qualcosa di elitario o di troppo elevato – non ne avrei nemmeno le competenze! -, desidererei allo stesso tempo cercare di scrivere sempre con fondamenti più o meno sicuri, almeno lo tento!, senza rimanere troppo vago o generico.

Sarebbe assai interessante cercare di proporre qualcosa di fondato nella documentazione, e allo stesso tempo accessibile a molti, anche sui lavori del Consilium. Potrebbe essere un lavoro entusiasmante!

E mi chiedo cosa possa fare io: continuare con il mio minuscolo blog? Aprirne un altro più specifico? Semplicemente aggiungere una categoria e continuare a pubblicare qui? O, forse, lasciar perdere e dedicarsi ad altro?

Mi si scuserà, spero, per tante questioni forse poco interessanti e troppo personali. Qualcuno vorrà suggerirmi un’idea o, magari, una collaborazione? Riporto anche qui la mia mail, qualora si ritenesse più agile la normale posta elettronica rispetto ad un commento sul sito: dtmarcofelini@gmail.com

Per quanti hanno avuto la pazienza di leggermi fino a qui, un piccolo regalo: ecco la prima pagina del fascicolo che raccoglie le testimonianze della primissima Sessione plenaria del Consilium:

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Acta Primi Coetus Plenarii Consilii (die 11 martii 1964)

Per chi volesse celebrare come conviene un anniversario così importante ma altrettanto dimenticato (anche da noi!!) può essere utile la lettura di un articolo di P. Marini, “Il primo periodo di attività del ‘Consilium’: prospettive e difficoltà (marzo-giugno 1964), Ephemerides Liturgicae 107 (1993) 401-439.

Salmo 77(78): Liturgia fidelitatis ?

Alcuni cenni facevamo nel post precedente agli incisi, «titoli» e «sentenze», premessi al testo del salmo 77. Possiamo dire qualche parola in più a proposito di questi elementi, introdotti nel libro liturgico delle Ore in seguito alla riforma post-conciliare, come aiuti per una preghiera più spirituale dei salmi.

Nelle premesse del Salterio ne viene offerta una piccola illustrazione:

«Nel salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmo è premesso un titolo sul suo significato e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel Libro della Liturgia delle Ore, sono proposti unicamente ad utilità di coloro che recitano i salmi. Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del Nuovo Testamento o dei Padri che invita a pregare in senso cristologico» (Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, 111).

 

Offriamo, a proposito, un testo inedito, alcuni paragrafi di uno degli schemi della fase di preparazione e redazione della Liturgia delle Ore di Paolo VI, lo schema n. 244 (De breviario, 59) del 20 settembre 1967, curato dal Coetus a studiis III, il gruppo di studio incaricato della nuova distribuzione dei salmi. Dopo la VI sessione plenaria del Consilium, il gruppo di studio modificò lo schema della distribuzione secondo le osservazioni emerse, e predispose uno specimen per i salmi delle festività e si cominciò a studiare la possibilità di inserire i «titoli» dei salmi. Due periti del gruppo di studio avanzarono dubbi su quest’aspetto. Il primo perché riteneva che per predisporre i titoli occorressero esperti competenti “in arte poetica”, il secondo perché temeva che l’apposizione dei titoli limitasse poi la libertà di chi avrebbe recitato i salmi. Nella riunione del gruppo di studio IX, che coordinava il lavori di tutti i gruppi coinvolti nella revisione del salterio, si decise di continuare con almeno un tentativo in tal senso. Lo schema 244, appunto, fra altre cose riporta un lungo elenco di titoli con una spiegazione previa, che riproduciamo in una nostra traduzione dall’originale latino, che riportiamo alla fine del post.

Assai interessante il titolo esteso assegnato al salmo 77: Liturgia fidelitatis. I periti avevano intuito un aspetto che le odierne scienze bibliche evidenziano: per il popolo di Israele una narrazione di fatti storici non è mai solo mera elencazione di avvenimenti, ma ha qualcosa di eminentemente “liturgico”. E quindi adatto per la preghiera.

Il titolo proposto, Liturgia fidelitatis erga Deum: Fidelitas Dei in populum infidelem in historia salutis, nella versione finale e tipica è stato reso Domini bonitas et populi infidelitas in historia salutis. Nella versione italiana della Liturgia delle Ore sembra ancora depauperato, Infedeltà del popolo e fedeltà di Dio. Una piccola indagine potrebbe essere fatta su come le altre versioni in lingua volgare hanno deciso di rendere l’originale latino.

Si propongono qui due serie di Titoli ai salmi da aggiungere al Breviario: una secondo il senso letterale, l’altra secondo il senso cristiano. Questo senso cristiano si fonda in parte sulla teologia dei Padri, in parte sulla natura della salmodia. Riguardo alla natura del canto, affinché il testo sia accomodato al cuore di chi canta. Non fa meraviglia che il cuore del fedele ascolti nelle parole dei salmi le voci del Nuovo Testamento, la voce del Padre, del Figlio, della Chiesa etc. Lo studio dei Breviari dimostra sempre più con certezza che non sempre, in verità, ma nemmeno solo raramente, i salmi siano assegnati per motivi teologici. Ciò non è da biasimare. A tale fine vogliono servire i titoli. Ma si deve badare che con i titoli non sia limitata la libertà e l’ampiezza della risonanza nel cuore di chi salmeggia. Nel proemio del Breviario sia espressamente detto che i titoli non sono esclusivi. I titoli seguenti sono tratti dal Nuovo Testamento e dalle sue citazioni. Tuttavia sono tratti anche dai Padri e dalla restante tradizione tanto della Liturgia quanto dei titoli nei salteri del Medio Evo. I titoli sono di diversa qualità e molto, in questa materia, vale la sensibilità dei singoli. Nella serie seguente la qualità in qualche modo è indicata da alcuni segni che sono premessi.

[Nello schema segue una proposta di titoli per ciascuno dei 150 salmi, con una piccola didascalia che chiarisce i segni tipografici che talora li precedono:]

! L’interpretazione cristiana è chiaramente fondata nel N.T.

= meno chiaramente fondata nel N.T.

+ L’interpretazione cristiana è fondata nell’ottima tradizione della Chiesa

– meno chiaramente fondata nella tradizione

In tutti gli altri casi non si aggiunge alcun segno.

[….]

77.       Liturgia fidelitatis erga Deum: Fidelitas Dei in populum infidelem in historia salutis

!           Liberatio de Aegypto imago redemptionis

Consilium ad Exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia, Coetus a studiis III, De Psalmis distribuendis, Schemata n. 244 (De Breviario, 59), 20 septembris 1967, 17-18.21.

 

Prima del testo latino dello schema, due contributi. Il primo è di V. Raffa, uno dei periti che lavorarono alla riforma del Breviario.

I titoli dei salmi e dei cantici

I titoli costituiscono una novità per l’Ufficio romano. Sono una delle risorse più preziose per aiutare il recitante ad assimilare vitalmente i salmi (IU 110-111). I titoli non hanno carattere ufficiale e liturgico, ma sono un elemento privato, che, di regola, non fa parte della recitazione. Il primo titolo riassume il senso letterale dei salmi, senso che il recitante non può trascurare. I salmi, infatti, anche se sorsero molti secoli fa, e in mezzo a un popolo di cultura semitica lontana dalla nostra, tuttavia esprimono i dolori e le speranze, il senso della miseria e del peccato, la fiducia e la fede in Dio, l’attesa della salvezza, la lode e il ringraziamento a Dio che sono propri degli uomini di tutte le epoche e di tutti i climi (IU 107,111). Il secondo titolo è una frase desunta dal Nuovo Testamento o dai Padri che aiuta e invita a pregare il salmo in senso cristiano (IU 111). Nell’ufficio del Tempo ordinario «per annum», quando viene eseguito senza canto, questo titolo può sostituire l’antifona (IU 114). Il testo del secondo titolo è preso dalla Bibbia o dai Padri onde ridurre al massimo l’impronta soggettiva nella valutazione e visuale dei salmi. Si tratta volta di testi del Nuovo Testamento che citano esplicitamente o implicitamente il salmo, vedendolo nella luce della redenzione. E’ Cristo dunque o gli apostoli che danno questa interpretazione. Anche le referenze patristiche hanno il loro peso come documento di tradizione. Ciò che si è detto dei titoli salmici vale anche per quelli dei cantici dell’Antico Testamento. Questo sussidio dei titoli era stato desiderato e richiesto da molti. Tutti comunque ne avranno un grande vantaggio per una celebrazione più spirituale dell’Ufficio, anche se quale titolo è tutt’altro che intuitivo.

V. Raffa, La Liturgia delle Ore. Presentazione storica, teologica e pastorale, Milano 1990, 159.

 Sentenza. Si chiama «sentenza» (dal latino «sentire», opinione, massima) la frase cristiana che nella Liturgia delle Ore viene anteposta ai salmi per conferire loro un’interpretazione cristologica o ecclesiale. Mentre i «i titoli» (in rosso) sono di origine ebraica e servono ad inquadrare il salmo nel suo contesto umano e storico, le «sentenze», tratte dal NT o dai Santi Padri, ci aiutano a recitarlo in senso cristiano (cf. IGLH 111): per questo si chiamano anche «titoli cristiani». Un autore in particolare, P. Salmon, ha raccolto queste frasi nei diversi Salteri e le ha riunite in sei serie («Les tituli psalmorum des manuscrits latins», Du Cerf, Paris 1959). Tali titoli cristiani permettono di interpretare i salmi mettendosi dalla parte di Cristo (Cristo che si rivolge al Padre) o della Chiesa (la voce della Chiesa che si rivolge a Cristo: cf. IGLH 109). Nel Tempo Ordinario le antifone possono essere sostituite per un certo periodo con queste sentenze o frasi cristiane, che hanno tale finalità (cf. IGHL 114)

J. Aldazábal, «Sentenza», in Id., Dizionario sintetico di liturgia, Città del Vaticano 2001,421-422.

De Titulis psalmorum

98) Duae series Titulorum psalmis addendorum in Breviario hic proponuntur: Una secundum sensum litteralem, altera secundum sensum christianum. Hic sensus christianus partim in theologia Patrum, partim in natura psallendi fundatur. De natura cantandi est, ut sensus textus accomdetur cordi cantantis. Non mirum, quod cor fidele audiat in verbis psalmorum voces Novi Testamenti, vocem Patris, Filii, Ecclesiae etc.

Studium Breviarii demonstrat certo certius, non semper, immo raro tantum assignari psalmos ex causis theologicis. Quod non est vituperandum. Cui fini servire volunt tituli. Sed advertendum est, ne titulis restringatur liberta set amplitudo resonantiae in cordibus psallentium. In prooemio Breviarii expresse dicatur titulos non esse exclusivos.

Tituli sequentes sumuntur e Novo Testamento eiusque citationibus. Sumuntur autem e Patribus et reliqua traditione tam Liturgiae quam titulorum in psalteriis Medii Aevi. Tituli diversae qualitatis sunt et multum in hac re valet gustus singulorum. In serie sequenti qualitas aliquomodo indicatur quibusdam signis, quae praenotantur:

! Interpretatio christiana fundatur clare in N.T.

= minus clare fundatur in N.T.

+ Interpretatio fundatur in optima traditione Ecclesiae

– minus clare fundatur in traditione

In omnibus aliis casibus non additur signum.

 [….]

77.       Liturgia fidelitatis erga Deum: Fidelitas Dei in populum infidelem in historia salutis

!           Liberatio de Aegypto imago redemptionis

Ancora sul Salmo 77(78)

Non sembri superflua l’insistenza su questo salmo: si tratta di uno dei salmi che rischiarono di non essere integrati nella nuova ripartizione della Liturgia delle Ore di Paolo VI. E abbiamo visto che non furono i periti del Consilium a fare difficoltà…

Nell’Ufficio delle Letture di oggi, Sabato dopo le ceneri, si è pregata la seconda parte di questo lungo salmo “storico”.

Partendo da un curioso dettaglio, vorremmo poi dire qualcosa di più sensato.

 Nella versione italiana del Salterio, fra la prima antifona e il testo del salmo vi sono due incisi, uno in colore rosso e il secondo in nero, ma in carattere corsivo.

Salmo 77,1-39 (venerdì) Infedeltà del popolo e fedeltà di Dio

Salmo 77,40-72 (sabato) Infedeltà del popolo e fedeltà di Dio

Ciò avvenne come esempio per noi (1Cor 10,6) (venerdì e sabato)

 

Una piccola differenza si nota nella versione latina

Psalmus 77(78),1-39 Domini bonitas et populi infidelitas in historia salutis

Haec figura fuerunt nostrae (1Cor 10,6)                                         [venerdì]

Psalmus 77(78),40-72 Domini bonitas et populi infidelitas in historia salutis

Haec in figura facta sunt nostri (1Cor 10,6)                                    [sabato]

 

E’ curiosa la differente citazione del passo paolino!

Per quel che riguarda la versione italiana, nel primo inciso è stata omesso, purtroppo, il riferimento alla storia della salvezza, esplicito nel testo latino. La traduzione del passo della prima Lettera ai Corinzi è coerente con il testo della Bibbia della Cei. E’ la traduzione più immediata, ma forse non la migliore. Illuminante è la nota della Bibbia di Gerusalemme, che restituisce all’espressione un significato più pregnante, rispetto al semplice “esempio”.

«10,6 esempio: lett.: «tipi», che Dio ha suscitato per raffigurare anticipatamente le realtà spirituali dell’era messianica («antitipi», 1Pt 3,21, ma cf. Eb 9,24). Benché oltrepassi la chiara coscienza degli autori ispirati, questo senso «tipico» (o «allegorico», Gal 4,24) dei libri sacri non è meno scritturistico, perché voluto da Dio, autore di tutta la Scrittura. Ordinato all’istruzione dei cristiani, è stato spesso evidenziato dagli autori del NT. Paolo lo inculca a più riprese (vv 11 e 9,9ss, Rm 4,23s; 5,14; 15,4; cf. 2Tm 3,16); interi scritti, come il quarto Vangelo o la Lettera agli Ebrei, sono fondati su una tipologia dell’AT».

 Sulla tipologia è fondata anche la liturgia.

 Dove questo non si comprende, molte cose diventano oscure. Come il fatto che un cristiano debba pregare con una composizione che apparentemente non ha nulla di cristiano né ha la forma di una preghiera. Le obiezioni fatte all’uso di questo salmo, nel corso della fase redazionale della nuova Liturgia delle Ore, trovano qui molte delle sue radici.

 Era questo tipo di impressioni che cercavamo di stimolare con il post precedente, https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/07/psalmus-7778-interessante-un-sondaggio/

Psalmus 77(78): interessante un sondaggio?

Sarebbe assai interessante, oggi, tentare di avere un piccolo riscontro sull’Ufficio delle Letture, fra i lettori del blog che abbiano avuto la possibilità aver già pregato tale Ora del corso giornaliero. Ancora più rilevante sarebbe il parere e il feed back di quanti lo avessero fatto in comune. In questo venerdì dopo il mercoledì delle ceneri, la salmodia è tratta dal venerdì della IV settimana del salterio. Nei tempi forti (Avvento, Quaresima e Cinquantina Pasquale) la distribuzione consueta subisce un piccolo cambiamento: si prega, all’Ufficio delle Letture, il salmo 77, e non come è più frequente nelle settimane del tempo per annum il salmo 54. Ad analoghe e piccole, ma non insignificanti, variazioni avevamo già dedicato alcuni post tempo fa.

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/14/ii-settimana-di-avvento-sabato-ufficio-delle-letture-un-approdo-non-scontato-per-un-salmo/

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/20/il-card-bacci-era-dunque-protestante-dove-porterebbe-la-polemica/

Si potrebbe tentare di fare un quadro riassuntivo delle vostre impressioni, cari lettori. Anche perché il Salmo 77, nella sua seconda parte, lo pregheremo anche domani!

In attesa di vostri eventuali riscontri, offriamo una riflessione di un autore competente, nella quale abbiamo anche una citazione del nostro amato Daniélou. Nelle pagine finali del suo studio storico sulla Liturgia delle Ore[1], R. Taft dedica alcune pagine al significato teologico e all’importanza della stessa nella vita personale dei fedeli, delineando alcune caratteristiche della preghiera oraria come scuola di preghiera. Fra altre, Taft mette in rilievo la dimensione oggettiva della preghiera delle Ore e dei suoi contenuti. Da quest’ultimo paragrafo estrapoliamo le riflessioni riportate di seguito:

«Naturalmente per trarre profitto dalle ore come da una vera spiritualità, da una scuola di preghiera, bisogna essere una persona che prega e la cui vita è compenetrata dalle Scritture. La Bibbia è la storia dell’incessante chiamata di Dio, del suo disegno di salvezza e della costante ostinazione del suo popolo. I Padri e i monaci della Chiesa antica, nella loro meditazione su questa storia sempre ripetuta, compresero che essi erano Abramo, essi erano Mosè. Essi erano chiamati fuori dall’Egitto. Con essi era stipulata un’alleanza. Essi capivano che il vagabondaggio attraverso il deserto verso la terra promessa era pure il pellegrinaggio della loro vita. I diversi livelli di Israele, Cristo, Chiesa, noi, sono tutti lì. E i temi della redenzione, dell’esodo, del deserto, del resto fedele e dell’esilio, della terra promessa della Città Santa di Gerusalemme, sono tutte metafore della storia spirituale delle nostre vite. Gli uffici delle Chiesa possono essere pienamente vissuti solo da colui la cui vita è permeata da un tale lectio divina della Bibbia. Contemporaneamente la ricerca biblica è direttamente interessata nel Sitz im Leben di ciò che è riferito nel testo biblico. Ma nella vita della Chiesa la Sacra Scrittura ha anche un Sitz im Gottesdienst, nella vita spirituale un Sitz im meinem Leben. Come ha detto Jean Daniélou:

“La fede cristiana ha un solo oggetto, il mistero di Cristo morto e risorto. Ma questo unico mistero sussiste sotto diverse forme: è prefigurato nell’Antico Testamento, giunge storicamente a compimento nella vita terrena di Cristo, è contenuto in mistero nei sacramenti, è vissuto misticamente nelle anime, è realizzato comunitariamente nella Chiesa, è consumato escatologicamente nel Regno dei cieli. Così il cristiano ha a sua disposizione molti registri, un simbolismo pluridimensionale, per esprimere questa unica realtà. Il complesso della cultura cristiana consiste nel comprendere i legami che esistono tra Bibbia e liturgia, vangelo ed escatologia, misticismo e liturgia. L’applicazione di questo metodo alla Scrittura è chiamato esegesi; applicato alla liturgia è chiamato mistagogia. Essa consiste nel leggere nei riti il mistero di Cristo e nel contemplare sotto i simboli l’invisibile realtà”.

J. Daniélou, “Le symbolisme des rites baptismaux”, Dieu vivant 1 (1945) 17.

S. Paolo ci dice: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione” (Rm 15,4). Ma non sarà per nostra istruzione fino a quando non impegneremo costantemente sul testo biblico il dialogo personale della nostra contemplazione privata. Poiché fino a quando la nostra salmodia non diviene risposta a una tale lectio divina, una vera meditatio nel senso originale di riandare lentamente più e più volte al testo rivelato per assaporarlo nelle sue profondità in relazione a noi stessi, l’Ufficio divino non raggiungerà mai la sua finalità piena nella nostra vita. Proprio come la lectio penetra le nostre vita con una visione dell’umana esistenza radicata nella storia della salvezza, così la salmodia dell’ufficio è la sua risposta cosmica ed escatologica. Poiché è soprattutto nell’ufficio che evochiamo quella visione di un universo salvato, trasfigurato in quell’inno di lode cosmica dinanzi al trono dell’Agnello che leggiamo nei capitoli finali del Nuovo Testamento (Ap 19-22): […] Questo è quanto sarà la nostra conclusione, e la Liturgia delle Ore, come gli altri simboli della vita cristiana, ci assicura il grandioso privilegio di anticiparla fin d’ora».


[1] R. taft, La Liturgia delle Ore in Oriente e in Occidente. Le origini dell’Ufficio divino e il suo significato oggi, Roma 1988, 474-476.