Di sonno in sonno: strane vigilie, quelle pasquali.

Lo facemmo già per l’Ottava di Natale (cf qui); ora – mentre si scrive sono le 02.30 – non possiamo attardarci a farlo anche per l’Ottava di Pasqua. Eppure siamo convinti che l’analisi approfondita della distribuzione della salmodia riserverebbe bellissime sorprese, ad onore dei tanto vituperati periti del Consilium: non furono così scriteriati da rigettare le perle preziose della tradizione, al contrario ci hanno lasciato un tesoro incredibile.

Nei giorni in cui la salmodia delle lodi e dei vespri rimane sempre la medesima del giorno di Pasqua, è naturale fermare l’interesse sulla salmodia delle Ore minori, ossia le ore intermedie (Terza, Sesta o Nona) e l’Ufficio delle Letture. Come oggetto vogliamo qui prendere proprio l’antico ufficio vigilare, oggi riformato perché si possa pregare nell’ora più appropriata a seconda delle situazioni.

Osserviamo l’ufficiatura della domenica dell’Ottava, o Seconda di Pasqua. Abbiamo i tre consueti salmi che segnano l’inizio di un nuovo tempo liturgico o di un nuovo ciclo salmodico quadrisettimanale, ossia il salmo 1, il 2 e il 3. Nell’Ottava li abbiamo già pregati il lunedì, con le medesime antifone. Ci soffermiamo sulla terza, che riprende pressoché letteralmente il testo biblico: «Ego dormívi, et somnum cepi: et exsurréxi, quóniam Dóminus suscépit me, allelúia, allelúia. (Dormivo nel sonno della morte, e mi sono risvegliato: il Signore mi ha preso accanto a sé, alleluia)». La versione italiana del salmo non corrisponde perfettamente all’antifona: «Io mi corico, mi addormento e mi risveglio: il Signore mi sostiene» (Sal 3,6); assai più immediata è l’associazione fra antifona e testo latino: «Ego dormivi et soporatus sum exsurrexi qui Dominus suscipiet me». L’antifona e il salmo relativo è un dato tradizionale, che la Liturgia delle Ore conserva e rielabora, inserendolo sia all’inizio sia alla fine dell’Ottava pasquale.

Il tema del sonno e del risveglio è uno dei tanti aspetti del mistero pasquale. Si badi bene che non si tratta di un mero riferimento al ciclo biologico quotidiano. Il sonno è qualificato assai positivamente: non viene determinato solamente dalla fatica o dalla stanchezza, ma è un sonno sereno, calmo, serafico. Ce lo dice, curiosamente, il sabato santo: come primo salmo dell’Ufficio, proprio, abbiamo il salmo 4, con un antifona che  ne riprende l’ultimo versetto: «In pace in idípsum, dórmiam et requiéscam (Tranquillo mi addormento, e riposerò nella pace)»; la versione italiana del testo biblico recita: «In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare (Sal 4,9)»(1).

Nel sonno sereno e «fiducioso» di Cristo, nel giorno del grande silenzio sabbatico, è già annunciata la vittoria sulla tragica morte. Il sonno agitato lo ebbero gli inferi, quella notte! E dopo la mattina di Pasqua, per due volte, la liturgia ci fa ritornare su quel sonno, da cui il Signore Gesù si è risvegliato.

Certo che è davvero stravagante, la liturgia cristiana: in quelli che originariamente erano uffici vigilari, in cui davvero si «rompeva il sono», alzandosi nel cuore della notte a pregare, si parla di sonno a più non posso!

Beh, ora andiamo a dormire anche noi!

Non prima, però, di aver consigliato la lettura di una catechesi di Benedetto XVI sul Salmo 3: cf. qui, per arricchirne la preghiera: quel sonno di Cristo fu anche il sonno di Davide…


(1) Si ricorderà che il Salmo 4 è il primo salmo della compieta della notte fra il sabato e la domenica. L’antifona è: «In te confido, Signore, e in pace mi addormento».

Apparuit Simoni?

Notiamo che da alcune parti si è levato un grido di sdegno, o comunque si è fatto notare insistentemente il fatto che Papa Francesco e il suo Maestro delle Celebrazioni abbiano scelto di omettere il rito del Resurrexit, un rito proprio della liturgia papale nella mattina di Pasqua (per una spiegazione del rito, si veda qui).

Non vorremmo fare ulteriori polemiche. Già altrove ci siamo espressi in modo forse irrispettoso e smodato, definendo come “un mortorio” la veglia pasquale papale, quest’anno celebrata senza concorso di popolo (ma anche con concorso di popolo le cose non sarebbero andate molto meglio…). Peraltro, dal nostro modestissimo modo di vedere, tale scelta risulta sensata: essendo in origine, e in ultima istanza, il Resurrexit un rito di pace, nell’ordo eccezionale di questi giorni,  in cui lo scambio della pace è omesso, avrebbe potuto risultare eccessivo e contraddittorio.

Comunque, altri sono gli interrogativi che possiamo far emergere da quanto abbiamo sentito e visto.

La prima considerazione riguarda la superficiale disinvoltura con cui sono state interpretate alcune espressioni della liturgia. Anche Papa Francesco, o chi per lui ha scritto la bozza del Messaggio Urbi et Orbi, ha citato l’antifona di Introito della Messa di Pasqua (senza peraltro citarla con precisione), su cui noi abbiamo rinviato tante volte nel corso di questi giorni (cf. qui). Eppure lo ha fatto forzandone il senso, per assecondare quanto si voleva esprimere, fra l’altro su un tema controverso come quello dell’impossibilità di partecipare alle celebrazioni pasquali: «Siamo certi che il Signore non ci ha lasciato soli! Rimanendo uniti nella preghiera, siamo certi che Egli ha posato su di noi la sua mano (cfr. Sal 138,5), ripetendoci con forza: non temere, “sono risorto e sono sempre con te” (cfr. Messale Romano)!»

Ora, l’espressione “Sono risorto e sono sempre con te“, è stata tradizionalmente interpretata come parola di Cristo rivolta al Padre. Come se le parole del Salmista, dopo la morte e resurrezione del Signore Gesù, fossero ora diventate il Suo ringraziamento: «Tu hai posto su di me la tua mano, è stupenda per me la tua saggezza». La mano è quella del Padre. Almeno secondo la tradizione interpretativa della liturgia. Ci volle la finezza, seria e corretta, di Benedetto XVI, per immaginare che questo dialogo, diciamo, intra-trinitario potesse diventare anche una parola rivolta da Cristo all’uomo.

Quello che stigmatizziamo qui, ciò che ci infastidisce e ci preoccupa, è il fatto che in un momento così importante, il discorso di Papa Francesco, questo discorso, e più in genere la comunicazione pontificia di questo periodo, mostri una tale superficialità: la sensazione è che su alcuni temi non si abbia voglia di insistere, e ci si accontenti di frasi veloci e quasi di circostanza. Mentre su altri – e in genere non sono mai questioni proprie all’ufficio di Pietro, quello cioè di confermare nella fede i fratelli – l’attenzione è molto più marcata, le parole sono puntuali e precise.

Chi ha preparato quel discorso mostra una singolare contemporaneità con questioni politiche, sociali ed economiche.

Come se il Messaggio Urbi et Orbi lo si abbia pensato dopo un’accurata rassegna stampa su giornali, e sappiamo quali siano i preferiti e gli unici che arrivano a Santa Marta, piuttosto che nella contemplazione dei misteri pasquali proclamati nei Vangeli e celebrati efficacemente nella liturgia.

Da quello che si è visto esternamente, più che il Maestro e Signore Risorto, al successorre di Simone il pescatore parrebbe essere apparso un ghostwriter, collaterale al governo italiano o, certamente, politicamente schierato. In effetti, nell’entourage papale, ce ne sono vari di personaggi che amano dilettarsi su questioni che attengono la scena politica ed economica.

Ma la mattina di Pasqua, dalle parti del Vaticano, farebbe piacere – e sarebbe assai più necessario – sentirsi ripetere l’antico saluto di pace, ispirato a Luca 24,34: Surrexit Dominus vere! A cui volentieri si risponderebbe, secondo l’uso romano, Et apparuit Simoni!

Ancora sulle antifone

Sovente da queste pagine facciamo osservazioni e considerazioni sulle antifone che impreziosiscono la preghiera dei salmi come pure l’eucologia delle celebrazioni eucaristiche. A proposito dell’uso che ne fa la Liturgia delle Ore, è fondamentale la lettura degli articoli dei Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, dal numero 110 al 120. Pensiamo di fare cosa gradita nel proporre alcuni paragrafi di un domenicano francese, teologo e musicista. Perdonerete la lunga citazione, e il finale rinvio ad un post datato, ma adatto a questo tempo.

Posta prima e dopo il salmo, l’antifona è quel canto singolare che ne offre la chiave di lettura. Si tratta in questo caso di una vera e propria invenzione dei cristiani. Già nel IV secolo Ambrogio di Milano faceva pregare i suoi in questo modo per meditare la Parola di Dio. Ogni volta che veniva celebrata una festa erano molti i salmi da cantare; come fare per comprenderli, per intenderli? L’antifona, un pò come il ritornello di una canzone, conferiva al salmo l’atmosfera del giorno. A Pasqua, a Natale, o in occasione delle feste dei santi, lo stesso salmo poteva così assumere una dimensione differente.

Spesso breve, estremamente coincisa – talora anzi si tratta semplicemente di una frase del salmo un pò rielaborata -, l’antifona illumina di nuova luce un testo già conosciuto perché sovente ripetuto. Spesso tratta dalla Scrittura, ad esempio dal vangelo stesso, mostra in fin dei conti come si operava nella liturgia la sintesi tra l’antico e il nuovo, tra i testi «del passato» e la persona di Cristo. Non bisogna esitare a parlare qui di riappropriazione cristiana dell’eredità biblica. Da questo punto di vista, la letteratura liturgica è uno strumento che permette a ciascuno di dire «io», in chiave poetica e musicale. E’ esattamento in questo senso che bisogna intendere l’antifona: essa mette in sintonia un determinato canto con la festa che si sta celebrando. Le antifone venivano cantate sempre in piedi, abitudine che i religiosi hanno conservato. Prima e dopo il salmo, ma anche, talora, nel corpo del salmo: quando i cantori e le scholae ne avevano cantati i versetti, il popolo li riprendeva. L’antifona diventava così la risposta dell’assemblea che faceva eco al canto dei solisti. In questo si evidenzia un aspetto molto importante: l’antifona è la preghiera che si ripete a memoria. Breve, con una nota per sillaba o un passaggio sobriamente ornamentale – a differenza di altri brani della liturgia -,è uno sviluppo meditativo del testo, un teso cantato semplicemente, sobriamente, festosamente dall’assemblea in risposta all’ascolto del salmo. […] [I Salmi] Sono il tesoro di un popolo di credenti. Gli sono stati donati. E’ nella carne del popolo di Israele che questa parola biblica è stata rivelata. I cristiani seguono umilmente le orme dei figli della stessa promessa. Scrittura e liturgia sono le due mammelle della fede: prima ancora che nascesse un teologia, c’era un popolo che salmodiava, un popolo che ruminava la Parola, un popolo che custodiva la memoria.

A. Gouzes, La notte luminosa. Iniziazione al mistero della Pasqua, Magnano (BI) 2015, 46-47.49.

Sarà sufficiente usare l’opzione di ricerca per trovare vari post dedicati a diverse antifone: se ne indica uno in tema ai giorni attuali del triduo pasquale: vedi qui.

Le due specie (solo un pretesto per richiamare l’attenzione)

In effetti, abbiamo in mente di approfondire il ripristino della Comunione sotto le due specie. Da quello che ne sappiamo – si accolgono suggerimenti e indicazioni da benevoli lettori – il tema non è stato completamente esposto. L’articolo precedente ne era un piccolissimo saggio.

Eppure, in questo post, parleremmo di tutt’altro, o forse no. Apparentemente sembrerà non avere nulla a che fare con il futuro tema di studio, se non perché nella testa ci frullava il termine, e lo abbiamo notato mentre pregavamo i vespri del lunedì della settimana santa. Piccolo inciso: anche noi ci uniamo a quanti, pochi per la verità, facevano notare che piuttosto che moltiplicare, in questi giorni di quarantena, liturgie virtuali, messe e celebrazioni dai luoghi più disparati e trasmessi via web, fino all’invenzioni di paraliturgie (1) discutibili quanto spettacolari e studiate in favor di telecamera, sarebbe stato il caso di insistere nella vera Liturgia che si possa autenticamente e propriamente celebrare in casa, ossia la Liturgia delle Ore. In essa ci sono sicuramente più tesori e spunti per la meditazione che non negli sproloqui generici, orizzontali, quando non pateticamente ridicoli, che ci è toccato sentire in questi giorni. Ad essa, la Liturgia delle Ore si dovrebbe tornare, al suo nutrimento sobrio ma efficace; mettere il popolo di Dio nelle condizione di comprenderla e celebrarla, smettendola con il chiacchiericcio clericale, spesso insignificante (ndr, non stiamo parlando del nostro parroco, che stimiamo e amiamo). Dunque torniamo alla Liturgia delle Ore.

Per la verità, su un particolare caso dell’Ufficiatura vespertina del lunedì santo, era già stata accesa una luce, e che luce!, da un certo cardinale Joseph Ratzinger (cf. qui). Ieri però guardando il testo latino, ci siamo meravigliati di come sia ancora più impressionante l’assonanza, impossibile da non notare. Ci riferiamo al fatto che il primo testo della salmodia, il Sal 44, è preceduto dalla notazione di tre antifone: una indicata per la quaresima, una per il lunedì santo e la terza poi per il tempo pasquale. Il contrasto fra le prime due è, a primo aspetto, enorme: si passa dal più bello fino al più ripugnante. Eppure introducono il medesimo salmo, fornendone la chiave di lettura per una preghiera cristologica. I predicati non fanno saltare la sintassi, se, opposti, sono applicati allo stesso soggetto? O piuttosto, non c’è qui, nascosta fra le righe – in tutti i sensi! – una teologia del mistero pasquale? La morte e la resurrezione, mirabilmente unite…

Speciosus forma prae filiis hominum, diffusa est gratia in labiis tuis [Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia.

Non est ei species neque decor; et vidimus eum, et non erat aspectus [Non ha bellezza né apparenza; l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore]

Speciosus forma es prae filiis hominum, diffusa est gratia in labiis tuis [Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia]

L’antifona indicata per il lunedì santo, una citazione del profeta Isaia (cf. Is 53,2), pare del tutto appropriata per la preghiera nella settimana santa; più interlocutoria pare quella prevista per la quaresima, che in modo più neutro non fa che riprendere il versetto 3 del salmo, e che, sappiamo, sarà quella usata per il resto del tempo ordinario e anche per l’avvento. Se non sbagliamo, dunque, Non est ei species neque... è un’antifona unica e propria dell’ufficiatura del lunedì santo, che però mantiene i salmi della consueta distribuzione quadrisettimanale (salmi propri li troviamo a partire dall’Ufficio delle Letture del Venerdì santo). Il contrasto quindi risulta sia con l’antifona consueta che  rispetto all’immediato contenuto del salmo relativo, esaltante la bellezza del re messianico.

La liturgia delle Ore ci introduce a suo modo, anche nei minimi dettagli testuali, nel mistero pasquale a cui ci stiamo preparando. E, crediamo, lo faccia assai meglio di molti sussidi e libretti che stiamo vedendo girare in questi giorni. Basterebbe guardare bene fra i tesori che già la Chiesa possiede, e formare gli oranti ad una sapiente attenzione. Ma, si sa, una vera formazione ed un’autentica catechesi liturgica latitano da parecchio: più facile accontentarsi di un pò di emotività e di quattro frasette da Libro Cuore del tipo “nessuno si salva da solo”.

P.S. C’è un’altra specie, nella preghiera del lunedì santo, quella della sposa regina, di cui il re è innamorato: et concupiscet rex speciem tuam (al re piacerà la tua bellezza), ma siamo  nella seconda sezione salmodica del Sal 44, e sono altre antifone.

Quindi un re sotto le due specie e una regina anch’essa speciosa. Ma per ora si è già detto troppo! Se si vuole continuare a leggere qualcosa di simile, relativo al diverso uso di antifone e salmi, si veda qui, ad esempio.

 


(1) A proposito del recente momento di preghiera sul sagrato di San Pietro, ci chiediamo se la prima parte non potesse essere inglobata nella liturgia dell’esposizione, dell’adorazione e della benedizione eucaristica, che può prevedere una sorta di liturgia della Parola. Non abbiamo capito, ma se qualcuno vorrà aiutarci lo accoglieremo, questa netta separazione fra i due momenti: da una parte il testo evangelico letto senza alcuna solennità, la meditazione, la venerazione in una forma minimalista del Crocifisso e dell’Icona della Madonna Salus Populi romani, e poi, l’esposizione, l’adorazione e la benedizione eucaristica. Forse poneva qualche ostacolo la rubrica del rituale: «Durante l’esposizione, orazioni, canti e letture, si devono disporre in modo che i fedeli in preghiera orientino e incentrino la loro pietà sul Cristo Signore» (112)? Pareva troppo, per un’evento che magari era pensato per un pubblico anche di non credenti? Ma il Papa deve fare questo? O altro? Diciamo questo perché lo abbiamo confessato umilmente: non abbiamo capito i motivi, che diverso dal dire che non ce ne fossero di validi.