Più luce sulla Sacrosanctum Concilium? Un esempio…

Nelle bozze redazionali della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium il testo dello schema era formato, in genere, da un articolo, un votum, seguito da una declaratio, che illustrava il voto, concretizzandolo un pochino di più rispetto alla formulazione asciutta del voto, e da note di riferimento. Questa disposizione era in vista di una intelligibilità del testo che però non appesantisse oltremodo lo schema. Le declarationes accompagnarono il testo, emendate e riscritte anch’esse, fino all’approvazione finale dello Schema da parte della Comissione Centrale Preparatoria; quando, però, fu stampato il fascicolo da inviare ai Padri sinodali, quest’ultime furono omesse. Alcuni numeri dello schema rimasero così indefiniti, che durante la discussione in aula, assecondando la richiesta di molti Padri, vennero ristampate e rese disponibili a tutti. Le declarationes non godono certo dell’autorità degli articoli della Costituzione, ma per la ricerca e per la chiarificazione della mens del testo della Sacrosanctum Concilium sono uno strumento utile, anche se – ripetiamo – non autoritativo.

Gil Hellín nella sua poderosa sinossi della Costituzione liturgica, le riporta già dalle prime pagine, con una nota previa: «Declarationes additae huic schemati a Commissione Praeparatoria parato offeruntur postea a Commissione Conciliare ad meliorem intelligentiam plurimorum numerorum elucidandam (cf. Acta Synodalia, I/III 700, II/II 289, 558). Ideoque huic eas includimus auctoritate nova accepta)» (1).

Riportiamo una nostra traduzione della prima redazione di un parte di quello che diventerà l’articolo 35 e della relativa declaratio, ritenendo che sia utile alla comprensione della mens conciliare su questo punto tanto rilevante per il nostro blog. Braga che lodevolmente, ha reso più facilmente accessibile il testo delle varie redazioni della Costituzione, nei suoi contributi su Ephemerides Liturgicae, omette le declarationes, pur riconoscendone la grande importanza. In sostanza, c’è ancora molto da ricercare e da studiare!

«Votum

34. Conseguenze per quel che riguarda la lettura della Scrittura, la predicazione e la catechesi liturgica.

Affinché risulti evidente che, nella liturgia, rito e parola sono intimamente connessi, nelle sacre celebrazioni:

1° Sia ristabilita una senz’altro più abbondante, più varia e più adatta lettura della Sacra Scrittura, che deve essere proclamata ai fedeli, con tutta quella dignità e intelligibilità che conviene alla Parola di Dio». (2)

Declaratio

Questa unità è fondata sul fatto che i sacramenti (e in genere l’intera liturgia) sono “sacramenti della fede”: cioè suppongono la fede, la attestano e devono nutrirla. E la ragione è che la liturgia, anche in quelle parti che hanno efficacia principalmente ex opere operato, affinché ottenga frutti di salvezza in ciascun individuo, ne richiede la loro retta disposizione. La fede si è come il fondamento e la carità come il culmine. Perciò la celebrazione liturgica richiede la fede e sommamente domanda anche l’attuale risveglio della fede nei presenti. La fede è assenso, a causa dell’autorità Dio che si rivela, a quanto Dio rivela e la Chiesa propone a credere: o piuttosto è assenso alla Parola di Dio proclamata dalla Chiesa. La rivelazione di Dio, poi, è contenuta prima di tutto nella Scrittura. Da cui, l’annuncio della Parola di Dio contenuta nella Scrittura è connesso massimamente alle sacre celebrazioni, a causa della stessa natura delle cose. Si aggiunge l’esempio di Cristo. Infatti ogni volta che Cristo era solito radunare insieme il popolo che si era scelto, per colmarlo dei doni della munificenza, dapprima ad esso si rivolgeva per ottenerne il pieno assenso della fede. E così, appunto, agiva un tempo parlando ai padri per mezzo dei profeti; così, di nuovo, ultimamente in questi giorni, parla a noi per mezzo del Figlio. D’altra parte nei sacri riti la stessa dispensazione della salvezza continua nel sacramento. La prima cosa quindi che il popolo, nella sacra liturgia, deve fare è accogliere fedelmente il dono di grazia di Dio preveniente, che è la parola di Lui stesso. I più recenti studi esegetici, storici e pastorali mostrano sufficientemente, e oltre, che la proclamazione della Scrittura fatta ufficialmente nella stessa celebrazione liturgica è il luogo connaturale e primario in cui la Chiesa deve annunciare la parola di Dio ai fedeli e i fedeli devono ascoltarla, ed è allo stesso tempo l’ottimo contesto per una retta intelligenza della Scrittura in senso cristologico. Molti nostri cristiani contemporanei di fatto non possono ascoltare la parola di Dio se non nella sola azione liturgica. Si aggiunge una ragione attinta dalle relazioni con i cristiani separati. Gli Anglicani e i Protestanti sono soliti rimproverare ai cattolici l’ignoranza della Sacra Scrittura e si meravigliano che nella liturgia romana ci sia quasi un certo difetto di proporzione fra l’elemento sacramentale e l’elemento scritturistico della proclamazione e della predicazione della parola di Dio.

Ad n. 1 “Abundantior omnino, varior et aptior”. Qui si afferma solo un principio generale. Riguardo alle singole modalità che si propongono per ogni rito, se ne tratta nelle parti riguardanti la Messa, l’Ufficio divino, i Sacramenti e i Sacramentali».

«34. Consequentiae quoad lectionem Scripturae, praedicationem, catechesim liturgicam.

Ut clare appareat in liturgia sacramentum et verbum intime coniungi, in celebrationibus sacris:

1° Abundantior omnino, varior et aptior lectio Sacrae Scripturae instauretur, quae fidelibus, cum tota illa dignitate et intellegibilitate, quae verbum Dei decet, proclamanda est» (2).

Declaratio

«“Ut clare appareat in liturgia sacramentum et verbum intime coniungi”. Haec unitas in eo fundatur quod sacramenta (et in genere tota liturgia) sunt «sacramenta fidei»: i. e. fidem supponunt, protestantur et alere debent. Et ratio est quia liturgia, etiam in illis partibus, quae efficaciam praecipue ex opere operato habent, ut fructus salutis in singulis individuis obtineat, eorum recta dispositivo requirit. In hac vero fides se habeat uti fundamentum et caritas uti culmen. Ideo celebratio liturgica praeexigit fidem vehementer postulat etiam actualem excitationem fidei in praesentibus. Fides vero est assensus propter auctoritatem Dei revelantis iis quae Deus revelat et Ecclesia proponit credenda: sive est assensus verbi Dei ab Ecclesia proclamati. Revelatio vero Dei praeprimis in Scriptura continetur. Unde annuntiatio verbi Dei in Scriptura contenti maxime cum sacris celebrationibus ipsa rerum natura coniungitur. Accedit exemplum Christi. Nam quotiescumque Christus coadunare volebat populum a se electum, ut donis suae munificentiae illum cumularet, prius illum alloquebatur ut plenum fidei assensum obtineret. Ita quidem egit olim Deus loquens patribus in prophetis sic iterum novissimis diebus istis dum loquebatur nobis in Filio. Porro in sacris ritibus ipsamet salutis disponsatio in sacramento perseverat. Primum ergo quod populous in sacra liturgia facere debet est fideliter donum gratiae Dei praevenientis recipere, quod est verbum ipsius. Recentiora studia exegetica, historica, pastoralia, satis superque ostendunt, proclamationem Scripturae in ipsa celebratione ex officio factam, esse locum connaturalem et primarium in quo Ecclesia verbum Dei fidelibus annuntiare debet et fideles debent illud auscultare, et esse simul optimum ambitum ad rectum intellectum christianum Scripturae. Multi nostri aevi christiani de facto verbi Dei audire non possunt nisi in sola actione liturgica.

Accedit ratio desumpta ex relationibus cum christianis separatis. Anglicani et Protestantes exprobrare solent catholicis ignorantiam Sacrae Scripturae et mirari in liturgia romana quemdam adesse quasi defectum proportionis inter elementum sacramentale et elementum scriptural proclamationis et praedicationis verbi Dei.

Ad n. 1 “Abundantior omnino, varior et aptior”. Hic solum principium generale affirmatur. De singulis vero modis qui in singulis ritibus ad talem instaurationem propositi sunt, agitur ubi de Missa, de Officio divino, de Sacramentis et de Sacramentalibus» (3).

(1) F. Gil Hellín, Concilii Vaticani II sinopsi in ordinem redigens schemata cum relationibus necnon Patrum orationes atque animadversiones: Constitutio de sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, Città del Vaticano 2003, 6.

(2) C. Braga, «La prima redazione del primo capitolo della “Sacrosanctum Concilium”», Ephemerides Liturgicae 114 (2000) 16.

(3) Pontificia Commissio Praeparatoria De Liturgia, Constitutio de sacra Liturgia, Schema trasmissum Sodalibus commissioni die 10 augusti 1961: ASV, Conc. Vat. II, busta 1372.

miserando…

E’ ormai nota l’espressione che Papa Francesco ha scelto per il suo stemma: «Miserando et eligendo».

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/elezione/stemma-papa-francesco_it.html

 Nel post precedente abbiamo proposto un legame fra il vangelo della domenica e un particolare della sorprendente storia della penitenza.

http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/27/un-grande-abisso-fissato-nota-a-margine-della-parabola-del-ricco-epulone-e-del-povero-lazzaro/

Gli agganci forse sono evanescenti e non certamente fondati, ma è uno scherzo della liturgia che parte dell’eucologia di questa domenica faccia riferimento alla penitenza e alla misericordia.

Cf. Oratio Colletta, Dominica XXVI «Per Annum». (Cf. Gelasianum Vetus 1198)

Deus, qui omnipotentiam tuam

parcendo maxime et miserando manifestas,

moltiplica super nos gratiam tuam,

ut, ad tua promissa correntes, caelestium bonorum facias esse consortes.

Per Dominum.

O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua ad effondere su di noi la tua grazia, perché camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore…

Ant. ad introitum  (cf. Dan 3, 31.29.30.43.42)

Omnia, quae fecisti nobis, Domine,

in vero iudicio fecisti, quia peccavimus tibi,

et mandatis tuis non oboedivimus;

sed da gloriam nomini tuo,

et fac nobiscum secundum multitudinem misericordiae tuae.

 Signore, tutto ciò che hai fatto ricadere su di noi l’hai  fatto con retto giudizio; abbiamo peccato contro di te, non abbiamo dato ascolto ai tuoi precetti; ma ora glorfica il tuo nome e opera con noi secondo la grandezza della tua misericordia.

Non c’è alcun legame stabilito, nel tempo Ordinario, fra eucologia e lezionario, per cui è un caso che a questo vangelo corrispondano queste preghiere, che sarebbero pronunciate anche negli anni A e B del Lezionario. Tuttavia è un fatto, che offre una sfumatura da non escludere, insieme a tanti altri spunti che le pagine scritturistiche possono offrire. E’ vero che c’è una separazione netta fra il mondo del peccato e la santità di Dio (cf. fra l’altro 2Cor 6,14ss), ma nella sua misericordia il Signore dimostra la sua onnipotenza creando una possibilità di ritorno per il peccatore che si converta, nonostante le sue colpe di per sé l’abbiano cacciato nell’abisso della lontananza da Dio.

Questa è la buona notizia del Vangelo: il tempo che ci è dato da vivere è un’occasione per “alzare gli occhi”, riconoscere la possibilità della salvezza, che perdura fino all’ultimo momento della nostra vita terrena. Il buon ladrone insegni.

stemma-papa-francesco

Un grande abisso fissato?! (nota a margine della parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro)

Fra le tante pagine del Vangelo, non è una fra quelle di più facile comprensione e attualizzazione la parabola di Luca 16, 19-31, la storia del ricco “epulone” e del povero Lazzaro.

Non intendiamo, perché non sappiamo farlo, offrire un’esegesi completa e precisa del testo.

Ci piace fare un aggancio, forse azzardato, fra un versetto evangelico – fra l’altro abbastanza misterioso – e un dato liturgico non tanto conosciuto.

Per svariati secoli, la liturgia della penitenza e della riconciliazione ha conosciuto una drammatizzazione progressiva, soprattutto nel caso della penitenza “pubblica”. Normalmente all’inizio della Quaresima, i pubblici peccatori, ossia i cristiani caduti in peccati noti e particolarmente gravi, venivano espulsi dalla comunione eucaristica, e tutto ciò era espresso anche fisicamente con l’espulsione dalla Chiesa. Sia sufficiente questo breve cenno per presentare un manoscritto della chiesa di Besançon, pubblicato da E. Martène nei suoi De antiquis ecclesiae ritibus, fra i testi relativi alla penitenza, come Ordo XIII. Il testo risale all’XI secolo.

Lo schema rituale è analogo a quello di altri Ordines, e che poi sarà consacrato dal Pontificale Romanum.

Il mercoledì delle ceneri, dopo che i penitenti sono stati esaminati ed è stata loro comminata la penitenza in base alle loro colpe, all’ora sesta il vescovo comincia una spiegazione della particolare liturgia: dall’ambone dichiara quali siano i penitenti da espellere, invitando tutti i presenti a pregare per loro. Segue l’imposizione della cenere, richiamo non solo remoto a quel “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai”, perché mentre vengono fatti uscire processionalmente dalla chiesa, un’antifona canta “con il sudore del tuo volto…”; prima che venga chiusa la porta della chiesa, il vescovo, ai penitenti ormai fatti uscire, il vescovo dice: “Ecco siete espulsi oggi dal seno della madre Chiesa a causa dei vostri peccati, come il primo Adamo è stato espulso dal Paradiso a causa della sua trasgressione”, e chiude la porta. Fin qui il rito comune.

Il manoscritto in questione aggiunge un’ulteriore ritualità: dopo un breve istante, la porta viene riaperta, e il vescovo fa notare “quanta distanza ci sia fra i buoni, che con Dio e con i santi rimangono nella chiesa, e i colpevoli che per la loro malvagità dovranno essere gettati nel supplizio eterno, se non si saranno corretti per mezzo della penitenza”. [Et parvo intervallo facto, iterum aperiat ostium, ostendens eis quanta distantia sit inter bonos, qui cum Deo et sanctis eius remanent in ecclesia, et reos qui pro sua nequitia cum diabolo proiiciendi sunt in supplicium aeternum, nisi se per poenitentiam correxerint.]

Il grande “abisso” – così viene tradotta in italiano l’enigmatica parola greca “chasma” – in latino “chaos magnum firmatum est”, diventava forse visibile nella liturgia della penitenza pubblica? Ma pur essendo grande la distanza, finché si può fare penitenza, quell’abisso che separa il mondo del peccato e la santità di Dio può essere colmato dall’accoglienza sincera della gratuita misericordia divina, accoglienza che non esclude, anzi la significa, un esercizio penitenziale serio e drammatico, come era quello ai cui i penitenti venivano sottoposti.

Quello che abbiamo proposto è solamente un legame ipotetico, basato sulla sorprendente libertà e maestria con cui i nostri padri leggevano ed erano capaci di “ridire” la Scrittura, in linguaggi disparati e con accenti anche drammatici. Siamo pronti a ricrederci come a ricevere conferme.

Bibliografia:

E. Martène, De antiquis Ecclesiae Ritibus libri, I, Hildesheim 1967.

A. Nocent, “La pénitence dans les ‘Ordines’ locaux transcrits dans le ‘De antiquis ecclesiae ritibus’ d’Edmond Martène”, in Paschale Mysterium. Studi in onore dell’abate Prof. Salvatore Marsili (1919-1983), ed. G. Farnedi, Roma 1986, 115-138.

San Tommaso reloaded

Essendo ancora i primi tempi che uso lo strumento del blog per diffondere quanto penso possa essere utile per la conoscenza e per il “culto”, per la “coltivazione” della scienza e della vita liturgica, mi si permetterà ancora una lunga citazione, per esprimere meglio quello che si vorrebbe fare in questo blog.

Oggi prendo in prestito le parole di Inos Biffi, in un libretto dove ex professo afferma di ispirarsi alle questioni che San Tommaso dedica ai sacramenti. Un autore, Biffi, che, quindi, si pone in una scuola teologica sicura.

“La chiesa non celebra i sacramenti come conseguenza e applicazione di un’argomentazione sulla natura e struttura dell’uomo, sulla sua socialità, sulla sua innata esigenza di religiosità, con la simbolicità che ad essa conviene.

Non lo fa per adeguarsi, sia pure a suo modo, alle forme religiose che appaiono consuete e comuni nella storia dell’umanità, naturalmente portata a esprimere in segni di culto pubblici e sensibili il rapporto con il divino e il trascendente.

Da questo profilo, l’estesa e sottile – e un pò entusiastica – analisi sui segni e sui simboli pertinenti alla struttura dell’uomo, sul senso del sacro e della ritualità, senza pregiudizio alla sua validità nel campo filosofico o anche religioso, non contribuisce per nulla alla comprensione dell’originalità dei sacramenti cristiani. […] I sacramenti la Chiesa li innesta e li radica immediatamente su Gesù Cristo, di là da qualsiasi altra riflessione. Essa li impara e li riceve da lui, che rimane la causa determinante che la spinge e le dà la possibilità di celebrarli. […]

Con l’Eucaristia, tutti i sacramenti, per non essere fraintesi e offuscati, devono essere riferiti e ascritti al Signore e legarsi al suo mistero, che solo li spiega. O, anche, devono essere riportati alla storia della salvezza in cui Cristo si inserisce, e della quale rappresenta il compimento. Il luogo e il tempo di nascita dei sacramenti sono quelli della storia della salvezza, in cui solo si possono comprendere e interpretare.

Essi vi stanno come segni e rivelazione della medesima grazia che sostanzia e conduce la storia sacra. [….]

Così, per intendere i sacramenti, la loro genesi, la loro irriducibile proprietà, la loro causa e motivazione, il loro attuale contenuto e la loro attuale validità occorre risalire al tempo e alla storia in cui essi hanno incominciato a sorgere e a istituirsi come degli interventi salvifici di Dio mediante i segni che ne ricevevano il sigillo ed erano insieme manifestazione della fede di chi, gestendo e imitando quei segni, veniva gratificato e salvato: un tempo giunto in Cristo alla sua pienezza e una storia da lui recata, nel mistero della sua Pasqua, alla perfezione dell’escatologia.

Fuori da tutto questo i sacramenti non sono né possibili né comprensibili”.

Ho ritrovato queste pagine perchè mi risuovano affini a quanto abbiamo citato di Vagaggini nel post precedente: il mistero che è al centro della liturgia, questo mistero la Chiesa non lo inventa, non fa altro che leggerlo nelle Scritture…

Cf. I. Biffi, I sacramenti o i gesti mirabili del crocifisso glorioso, Milano 2007, 23-33.

I sacramenti. O i gesti mirabili del crocifisso glorioso

Le parole di un maestro: dalla carta reciclata di un antico monastero al nostro “blog 2.0”.

            E’ da qualche giorno che il nostro blog comincia a diffondersi vistosamente. Sono veramente sorpreso della benevola attenzione e dei giudizi così lusinghieri: questo mi obbliga ad essere ancora più responsabile e rigoroso. Per la verità non faccio altro che applicare il metodo imparato dai miei professori al PIL (che di nuovo ringrazio anche per la «pubblicità» che mi hanno fatto), insieme alla possibilità che ho avuto di consultare fonti e testimoni non facilmente raggiungibili.

            Oggi, pertanto, vorrei riproporre alcune pagine di un grande maestro, di cui fra l’altro ho potuto consultare le carte, a Camaldoli: p. Cipriano Vagaggini nel suo Il senso teologico della liturgia ci fornisce una sorta di manifesto programmatico di quella che è la nostra visione e vorrebbe essere il nostro contributo: mostrare, di nuovo, la possibilità e la bellezza della sintesi fra Bibbia, Liturgia e storia. A questo monaco sapiente dobbiamo tantissimo, e la nostra venerazione per lui è cresciuta oltremodo, quando ricercando fra le sue carte abbiamo notato che alcuni passaggi fondamentali del suo pensiero e della sua opera erano annotati su carta reciclata o addirittura su carta paglia, del tipo di quella dei sacchetti del pane.

 «…la liturgia non si occupa d’altro che del mistero della storia sacra, mistero di Cristo, mistero della Chiesa. Ma questo mistero non l’inventa; non fa altro che leggerlo nelle Scritture. E’ per questo che l’espressione liturgica del mistero di Cristo è tutta scritturistica, specialmente nella liturgia romana. […] Si può così formulare la legge interpretativa della Scrittura nella liturgia: la liturgia legge la Scrittura alla luce del principio supremo dell’unità del mistero di Cristo, e dunque dei due testamenti e di tutta la storia sacra, unità organico-progressiva sotto il primato del Nuovo Testamento sull’Antico e delle realtà escatologiche sulla realtà della economia attuale…[…] Questa unità intrinseca dipende dal fatto che la storia, incentrata in Cristo, è tutta nelle mani di un unico onnipossente regista, Dio, che impugnandone saldamente i fili, pur nell’assoluto rispetto della libertà umana, ne dirige infallibilmente il corso, sia generale che dei minimi particolari, ad un fine unico e preciso: la costituzione della Gerusalemme celeste dei redenti in Cristo assieme agli angeli fedeli. […]

Dai cenni fatti in questo capitolo sull’uso della bibbia nella liturgia si vede quanto sia importante render si conto delle leggi teologiche che lo comandano. Risulta evidente come la Chiesa vive anzitutto una storia sacra e la rivelazione si presenta anzitutto come una storia sacra. Inoltre, è reso sommamente vivo il cristocentrismo della liturgia. La storia sacra è mistero di Cristo, in Cristo stesso e nei suoi fedeli. Cristo appare il cardine di tutta la liturgia, di tutta la bibbia, di tutta la storia, di tutta la vita del fedele. È ritrovata la perfetta unità dei due testamenti e di tutta la storia, appunto nel mistero di Cristo, letto nella bibbia e realizzato nell’azione liturgica. È ritrovata la vitalità e l’attualità della bibbia intera, non artificiosamente, ma realmente e nel rispetto di quello che l’indagine critica moderna ci ha apportato in questo studio. La Scrittura non è più una semplice storia senza nesso con la mia situazione personale hic et nunc. Io sono immesso in questa immensa corrente dinamica; la bibbia è la mia storia come la vivo ora nell’azione liturgica, come la vivo fuori della liturgia, come la vivrò nell’escatologia; non posso capirmi che attraverso la bibbia nell’azione liturgica. Questa lettura liturgica della bibbia è la lettura specificamente cristiana della Scrittura. È l’unica lettura che esaurisce tutto ilsenso che essa ha agli occhi del suo autore principale. È la lettura teologica della bibbia. La lettura filologica, critica, che, per definizione, intende fermarsi al senso dei contemporanei, è legittima, utile, necessaria, poiché ogni ulteriore lettura deve prendere le mosse da questa; ma è parziale e incompleta.

La lettura liturgica della bibbia è la catechesi biblica della Chiesa. L’ignoranza tra i fedeli del mistero di Cristo quale è insegnato nella bibbia, il fatto che essi non lo vivono più, proviene certamente in gran parte dall’ignoranza della liturgia, dal fatto che non vivono più la liturgia.

Il predetto modo liturgico di leggere la bibbia, che è il modo in cui fu letta da Cristo, dagli Apostoli, dalla primeva catechesi Cristiana, dai Padri della Chiesa, penetrò così profondamente la mente dei fedeli antichi e medievali, che l’iconografia cristiana antica e medievale (in parte anche del rinascimento) è incomprensibile senza di esso. Si tocca con le mani l’unità tra teologia, bibbia, liturgia, cultura, arte»

C. Vagaggini, Il senso teologico della Liturgia, Cinisello Balsamo 19996, 427-428.455-456.

 

Tutto il capitolo XIV («In che modo la liturgia usa la Scrittura») è da leggere. Qui ne abbiamo riportato alcuni passaggi.

Il contributo di Cipriano Vagaggini alla scienza e alla pratica liturgica non è semplicemente quantificabile. Ci permettiamo di segnalare alcuni articoli in particolare: C. Braga, «La genesi del primo capitolo della “Sacrosanctum Concilium”», Ephemerides Liturgicae 113 (1999) 405-448, che riporta la prima stesura – ad opera appunto di Vagaggini – del primo capitolo della Costituzione; anche A. Lameri, «Un “perito” a servizio del Concilio e della riforma liturgica promossa dal Vaticano II», Rivista liturgica 96 (2009) 348-361.

Rivoluzionari?

Abbiamo dato conto, negli articoli precedenti, di una svolta inaspettata, e per alcuni versi, dirompente, durante i lavori di preparazione remota della Costituzione Sacrosanctum Concilium.

[cf. https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/11/12-novembre-1960-quellultimo-intervento-che-cambio-tutto/ ]

Dei lavori della Sottocommissione I De Mysterio sacrae Liturgiae eiusque relatione ad vitam Ecclesiae abbiamo riportato il testo presentato alla Plenaria della Commissione Preparatoria De Liturgia, nell’aprile 1961.

[Cf.  https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/12/ritrovare-il-grande-soffio/ ]

In attesa dell’annuale riapertura dell’Archivio Segreto Vaticano, dopo la pausa estiva, e di poter investigare più a fondo nelle redazioni precedenti, offriamo una nostra traduzione del testo, perchè anche chi non conosce perfettamente il latino possa formulare un proprio giudizio: quelle persone che alterarono l’ordine previsto delle questioni da trattare, chiedendo fosse manifesta una visione più teologica e meno giuridica e rubricale dei riti cristiani, erano davvero novatores – innovatori – rivoluzionari? Davvero cercavano una rottura con la tradizione o stavano riproponendo, di nuovo e con nuovo spirito, la dottrina tradizionale, oscurata da visioni parziali e riduttive?

Schema dottrinale proposto

Capitolo I: Il mistero della sacra liturgia

«Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2), che «mandò ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti» (Is 61,1; Lc 4,18). L’opera della redenzione umana, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, Cristo Signore l’ha compiuta principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua morte, resurrezione dagli inferi gloriosa ascensione, mistero dal quale trae origine, cresce e si alimenta la Chiesa, perché davvero «i figli di Dio che erano dispersi siano riuniti insieme (Gv 11,52).

            Infatti, come Cristo fu inviato dal Padre, così Cristo inviò gli Apostoli e i loro successori. «Andate, proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), non solo perché annunziassero che Cristo con la sua morte ci ha strappati dalla morte e con la sua resurrezione ci ha trasferiti nel regno del Padre, ma anche perché per mezzo dei sacramenti attuassero quanto annunciavano. «Ciò che infatti era visibile del nostro Redentore, è passato nei sacramenti» (Leone Magno, Serm., 74,2): mediante il battesimo, dunque, e mediante gli altri sacramenti, gli uomini vengono inseriti del mistero pasquale di Cristo, «con lui morti, sepolti e risuscitati» (Rom 6,4; Col 3,1; Ef 2,6; 2Tm 2,11) perché divengano in tal modo «i veri adoratori, che il Padre cerca» (Gv 4,23).

Perciò in ogni azione liturgica è presente Cristo, che parla a noi e continua questa medesima opera di salvezza che aveva compiuto vivendo sulla terra, e incessantemente rende lode a Dio Padre. La Chiesa, altresì, come Sposa dilettissima, aderisce con tutto il cuore e unisce la sua voce alla voce dello Sposo nella lode di Dio (Cf. Pio XII, Lett. Enc. Mediator Dei, n. 20, n. 2-3). Pertanto ogni celebrazione liturgica è «azione sacra per eccellenza» (Pio XII, Divini Cultus, (Ed. Bugnini 60), in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa, di cui si celebrano le nozze regali con il celeste sposo (Cf. Pio XII, Mediator Dei, 37,49).

Nella domenica, il giorno del Signore (Ap 1,10), cioè il giorno di Cristo gloriosamente risorgente, la Chiesa si raduna in assemblea per celebrare il mistero pasquale, sia leggendo «in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui» (Lc 24,27), sia compiendo l’eucaristia, nella quale «vengono ripresentati la vittoria e il trionfo della sua morte» (Conc. Trident., sess. 13, c. 5).

Ogni anno, una domenica, la Chiesa celebra un giorno solenne ossia la Pasqua del Signore e nostra, vegliando nella notte della resurrezione di Cristo e della nostra liberazione, aprendo il fonte battesimale. Questa festa, preparata dagli esercizi quaresimali e prolungata per cinquanta giorni, è il centro dell’intero anno liturgico, nel quale, poi, tutto il Mistero di Cristo è distribuito, dall’Incarnazione e dal Natale all’Ascensione e al giorno di Pentencoste e, nelle ultime domeniche all’attesa della beata speranza e della venuta del Signore (Tit 2,13).

            Dunque la liturgia terrena è pregustazione di quella celeste, che è la vera: «con tutta la milizia dell’esercito celeste cantiamo l’inno di gloria al Signore». Ma quando Cristo, vita nostra, apparirà, allora anche noi appariremo con Lui nella gloria (Col 3,4)

 Capitolo II

La relazione della S. Liturgia con l’intera azione della Chiesa

            Per quanto la S. Liturgia non comprenda l’intero ambito di azione della Chiesa, tuttavia è il culmine al quale tutte le cose devono tendere e allo stesso tempo la fonte da cui tutte procedono.

            Prima che gli uomini possano accostarsi alla s. Liturgia, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione. «Come potranno invocarlo senza aver prima creduto? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno senza essere prima inviati? (Rom 10,14-15). Perciò la Chiesa, nelle varie fatiche missionarie, annuncia il messaggio della salvezza. Tuttavia tutti i suoi sforzi sono diretti a che gli uomini conoscano l’unico vero Dio, che mandò Gesù Cristo, si convertano dalle loro vie, siano riconciliati al Padre per mezzo del Battesimo e siano ammessi alla s. Liturgia e all’Eucaristia.

            Anche dopo aver ricevuto il battesimo, a coloro che si sono accostati alla Liturgia, la Chiesa deve sempre predicare la fede e la penitenza e disporli ai sacramenti.

            La stessa celebrazione liturgica non sarebbe autentica, se il pastore, in essa, non cercasse che il popolo possa parteciparvi attivamente, soprattutto consciamente e fruttuosamente.

            A sua volta, la celebrazione liturgica rinnova, attraverso l’Eucaristia, l’alleanza del Signore con gli uomini, e li conduce alla pressante carità di Cristo. Da qui sorgono tutte le opere di carità e di apostolato, i cristiani, che non sono del mondo, sono raccolti per essere luce del mondo e glorificare il Padre davanti agli uomini.

            Oltre a ciò, sebbene la sacra liturgia sia principalmente orazione al Padre e adorazione della Divina Maestà, e certamente anche dono di grazia divina, «è anche una ricca fonte di istruzione per il popolo fedele» (Conc. Trid. Sess. 22, cap. 8). «Più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri» (Pio XII, Enc. Quas Primas, cf. Bugnini, p. 57). Questo accade non solo perché nell’azione liturgica sono proposte verità di fede, ma soprattutto perché, guidando i fideli nella celebrazione dei misteri e aiutandoli perché vivano del sacramento, la Chiesa poco a poco nutre le anime con la conoscenza del Signore e maternamente introduce nella novità della fede.

P.S. In alcuni passaggi si è preferito seguire la traduzione, della Costituzione promulgata, proposta dall’Enchiridion Vaticanum / 1, e non piuttosto tradurre letteralmente, perché possano risultare meglio le evidenti relazioni fra i due testi.

L’occidente latino non è da meno: dopo Romano il Melode, Ambrogio: a proposito di “ironia del piano divino”

Le parole di Papa Francesco, nell’omelia tenuta nella cappella della Domus Sanctae Marthae il giorno dell’Esaltazione della S. Croce, hanno fatto risuonare alcuni testi, che si richiamano a vicenda. Tutti mostrano una sorprendente capacità di rileggere, facendo sintesi mirabili, ed esprimere in parole toccanti ed efficaci il mistero della salvezza, nei suoi aspetti paradossali e grandiosi.

Questo fa la liturgia; questo fanno i maestri, che tanto in oriente quanto in occidente, alla luce della fede, rileggono il dipanarsi della storia della salvezza – narrata nella Scrittura – e della storia attuale – nei tempi dell’anno liturgico -, con ammirabile sintesi e capacità di “ridire” il mistero, rivelato e celebrato, in un modo toccate ed efficace. Ecco allora sant’Ambrogio, che a proposito del mistero pasquale di morte e resurrezione di Cristo, ne afferma la sapiente lungimiranza, a discapito della pseudo-sapienza, arrogante e sicura di sè, del demonio. Questo Inno, ancora oggi, impreziosisce la Liturgia del Tempo di Pasqua, dalla domenica di Resurrezione fino all’Ascensione.

Hic est dies verus Dei                              E’ questo il vero giorno di Dio

[…]

Può esserci prodigio più grande:            Quid hoc potest sublimius,

che la colpa cerchi la grazia,                  ut culpa quaerat gratiam

la carità liberi dal timore,                       metumque solvat caritas

la morte ridoni la vita nuova?               Reddatque mors vitam novam?

 

La morte divori il suo pungiglione     Hamum sibi mors devoret

e si avvinca nei suoi lacci:                    suisque se nodis liget,

muoia la vita di tutti,                              moriatur vita omnium,

risorga la vita di tutti.                            resurgat vita omnium.

 

 

Certamente non si sottrae al male e al peccato tutta la sua drammatica realtà, Gesù stesso ne riconosce la presenza: «Viene il principe del mondo», però subito dopo aggiunge: «Contro di me non può nulla» (Gv 14,30). Il piano divino possiede un’ironia particolare: non è un lieto fine sciocco e banale, la serietà della sofferenza è reale, davvero – Gesù l’ha conosciuta, ogni uomo la conosce -, tuttavia proprio la vittoria del maligno, nel culmine della sua ora, l’ora delle tenebre, ne provocherà l’abbattimento definitivo e irrevocabile.

Vale per il diavolo quanto Sant’Ambrogio afferma della morte nel suo celebre inno, per la Pasqua, Hic est dies verus Dei. «La morte si è autodistrutta. Essa, nel tentativo di mordere la preda, cioè il Corpo di Cristo, messole dinanzi con sottile tranello, ne ha ingoiato letalmente l’amo, restando, insieme, avviluppata nella stessa rete» (1).

Il tema non è nuovo in sant’Ambrogio. Nel commento al Vangelo di Luca si dice che il modo migliore per spezzare il laccio – teso dall’inganno del demonio – era quello di mostrare al diavolo la preda – appunto il corpo di Cristo -, “affinchè, slanciandosi d’impeto su di essa, si impigliasse nella sua stessa rete (suis laqueis ligaretur)” (Exp. Ev. sec. Luc. IV,12)

 

 (1) I. Biffi, Per ritrovare il mistero smarrito. Riflessioni su Gesù il Signore, l’intelligenza della fede, la scuola dei maestri, Milano 2012, 40.

Bibliografia: Ambrogio, Inni; edizione: Opera Omnia di Sant’Ambrogio, Inni – Iscrizioni – Frammenti, Milano – Roma, 1994.

“Ipse lignum tunc notavit”; ancora sulla teologia della storia, a partire dal “legno della croce”.

Abbiamo commentato nell’articolo precedente una perla catechetica di Papa Francesco, che accennava a un tema patristico: “nel mistero della croce si ritrova la storia dell’uomo e la storia di Dio, sintetizzate dai Padri della Chiesa nella comparazione tra l’albero della conoscenza del bene e del male, nell’Eden, e l’albero della croce”.

La liturgia riecheggia tale dato, e citavamo, come esempio, il prefazio proprio della festa dell’esaltazione della santa croce.

Non è il solo. C’è un altro testo della liturgia che si può ricondurre a quella sintesi storico-misterica, che abbraccia tutto il percorso che va dal primo Adamo al Nuovo Adamo.

Si tratta di un inno di Venanzio Fortunato, attualmente usato nella Liturgia delle Ore, per l’Ufficio delle Letture della Settimana santa. Ma vedremo anche un altro testo sorprendente. Cominciamo, però, con il Pange lingua gloriosi proelium certaminis:

[…]

De parentis protoplasti                   Il Creatore si dolse per la colpa

fraude Factor condolens,                del primo uomo, nostro progenitore,

quando pomi noxialis,                     per il morso dato al frutto del peccato,

morsu in mortem corruit,               questi precipitò verso la morte;

ipse lignum tunc notavit,              Egli designò allora il legno (della Croce),

damna ligni ut solveret.                 per riscattare i peccati del legno (dell’Eden).

Hoc opus nostrae salutis                 Quest’opera della nostra salvezza

ordo depoposcerat;                           l’ordine divino aveva richiesto;

multiformis proditoris                     perché il piano (di Dio) facesse fallire il piano

ars ut artem falleret:                        del multiforme Traditore

et medelam ferret inde,                     e recasse guarigione di là,

hostis unde laeserat.                          da dove l’Avversario aveva provocato la ferita.

Ipse lignum tunc notavit. Notavit da noto, as, -avi, -atum, -are può significare designare, scegliere come anche osservare, rilevare. Osservando che dal legno era iniziata la sciagurata caduta dell’uomo, Dio Padre scelse il legno come mezzo per risollevare dalla morte, mediante il Figlio obbediente fino alla Croce, Adamo ingannato dal nemico e caduto.

E’ «tipico», caratteristico dello “stile” di Dio non solo vincere, ma vincere con “arte”, con fine sapienza, e sbaragliare le macchinazioni del Nemico superbo.

Assai interessante è notare una simile lettura della storia della salvezza, pur espressa in linguaggio molto più lirico e drammatico, in un inno liturgico di Romano il Melode (VI sec.), in ambiente e tradizione bizantini.

L’autore immagina un dialogo fra l’Ade, impersonificazione della Morte, e il Serpente, l’astuto (?!) diavolo.

L’Ade è il primo ad accorgersi del pericolo rappresentato dalla Croce di Cristo, e inizia a gemere temendo la sconfitta: «Oh! Miei sensi! Resto senza fiato, costretto a vomitare Adamo ed i figli di Adamo, che dal legno mi erano stati donati! E ora il legno (di Cristo, ndr) loro riporta al Paradiso». Il Diavolo ancora presuntuoso interviene: «A queste parole l’astuto Serpente sopravviene strisciando e sibila: “Che hai, Ade? Perché questi lamenti insesati? Perché questi discorsi? Il legno che ti mette spavento io l’ho architettato per il Figlio di Maria, io l’ho suggerito ai Giudei  a comune vantaggio nostro: si tratta di una croce alla quale essi hanno inchiodato il Cristo, perché voglio distruggere, attraverso il legno, il secondo Adamo”. […]». Di nuovo prende la parola l’Ade: «Hai di colpo perduto il senno, da accorto serpente quale eri prima? L’intero tuo equilibrio è stato annientato dalla croce e ti sei lasciato prendere al cappio del tuo stesso tranello? Alza gli occhi e renditi conto che sei inciampato nella fossa da te scavata: sul legno che dici secco e sterile ecco spunta un frutto che il Ladrone ha assaggiato divenendo così erede dei beni dell’Eden». Alla fine il Diavolo deve riconoscere la sua sconfitta e piangere, folle, con l’Ade: «Allora insieme, come era naturale, piangono la caduta dicendo: “Proprio questa caduta doveva capitarci? Come è potuto avvenire che siamo caduti su questo legno? La nostra perdizione è derivata dalla pianta che ha radici in terra. Abbiamo pur tentato di innestarvi getti di amarezza, ma non ne abbiamo potuto alterare la dolcezza. Ahimè! Compagno di sventura! Ahimè, compare! Abbiamo fallito insieme, insieme lamentiamoci: perché Adamo di nuovo ritorna al paradiso. Oh! Come abbiamo potuto dimenticare i segni premonitori di questo legno? In più occasioni ci sono stati mostrati e sotto diverse forme..[…] Quel legno che donò dolcezza alle acque di Mara, ha forse insegnato che cosa fosse e di quale albero fosse la radice? No! Non lo disse allora, perché non lo voleva. Adesso soltanto egli lo rivela a tutti. Adesso tutto è diventato soave. Noi, invece, ci amareggiamo. Dalla nostra radice è spuntata la croce, ma, piantata in terra, è divenuta tanto dolce quanto prima produceva soltanto spine. Adesso, come il vitigno di Sorec, ha emesso tralci che sono trapiantati nuovamente nel paradiso. Ora puoi anche gemere, Ade. Io ne farò altrettanto, in tuo appoggio. Piangiamo alla vista della pianta da noi stessi messa a dimora, trasformata da sé in tronco sacro sotto il quale accampano, e nei cui rami fanno il proprio nido, i ladri, gli assassini, i percettori, le donne di mala vita, raccogliendo un frutto dolce nella evidenza di un legno secco”».

Bibliografia:

Romano il Melode, Inni; edizione a cura di G. Gharib, Roma 1981, 387-394.

Per l’omelia di Papa Francesco (14 sett. 2013): http://www.vatican.va/holy_father/francesco/cotidie/2013/it/papa-francesco-cotidie_20130914_albero-della-croce_it.html

Un’interessante teologia della storia, ex cathedra Sanctae Marthae

Nell’occasione della festa dell’esaltazione della Santa Croce, Papa Francesco ha proposto una “sintesi” del mistero della storia.

Prima di leggere il commento della sua omelia, può essere illuminante ricordare il prefazio proprio della Messa:

Vere dignum et iustum est…

Qui salutem humani generis in ligno crucis constituisti,

ut unde mors oriebatur, inde vita resurgeret;

et, qui in ligno vincebat, in ligno quoque vinceretur.

[Nell’albero della croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo,

perchè donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita,

e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto]

Nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, predicando a Santa Marta, Francesco parla di questo mistero e afferma che solo in ginocchio, nelle lacrime e mai da soli esso può essere compreso. Il Papa ha detto – riferisce Radio Vaticana – che nel mistero della croce si ritrova la storia dell’uomo e la storia di Dio, sintetizzate dai Padri della Chiesa nella comparazione tra l’albero della conoscenza del bene e del male, nell’Eden, e l’albero della croce.
«Quell’albero – ha detto Francesco riferendosi al primo – aveva fatto tanto male, e questo albero ci porta alla salvezza, alla salute. Perdona quel male. Questo è il percorso della storia dell’uomo: un cammino per trovare Gesù Cristo redentore, che dà la sua vita per amore. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo di lui».
«Questo albero della croce – ha aggiunto – ci salva, tutti noi, dalle conseguenze di quell’altro albero, dove è incominciato l’autosufficienza, l’orgoglio, la superbia di voler conoscere – noi – tutto, secondo la nostra mentalità, secondo i nostri criteri, anche secondo quella presunzione di essere e di diventare gli unici giudici del mondo. Questa è la storia dell’uomo: da un albero all’altro».
Francesco ha quindi spiegato che nella croce c’è anche «la storia di Dio», perché Dio «ha voluto assumere la nostra storia e camminare con noi», facendosi servo e morendo sul Calvario. «Dio fa questo percorso per amore! Non c’è altra spiegazione: soltanto l’amore fa queste cose. Oggi guardiamo la croce, storia dell’uomo e storia di Dio. Guardiamo questa croce, dove si può saggiare quel miele di aloe, quel miele amaro, quella dolcezza amara del sacrificio di Gesù. Ma questo mistero è tanto grande e noi da soli non possiamo guardare bene questo mistero, non tanto per capire – sì, capire…- ma sentire profondamente la salvezza di questo mistero. Prima di tutto il mistero della croce. Soltanto si può capire un pochettino in ginocchio, nella preghiera, ma anche tramite le lacrime: sono le lacrime quelle che ci avvicinano a questo mistero».
«Senza piangere, piangere nel cuore», ha sottolineato il Papa, non si potrà «mai capire questo mistero». È «il pianto del pentito, il pianto del fratello e della sorella che guardano tante miserie umane» e le guardano in Gesù, ma «in ginocchio e piangendo» e «mai soli, mai soli!».
«Per entrare in questo mistero – ha concluso Francesco – che non è un labirinto ma ci assomiglia un po’, sempre abbiamo bisogno della madre, della mano della mamma. Che lei, Maria, ci faccia sentire quanto grande e quanto umile è questo mistero; quanto dolce come il miele e quanto amaro come l’aloe. Che sia lei che ci accompagni in questo cammino, che non può farlo nessun’altro se non noi stessi. Ognuno deve farlo! Con la mamma, piangendo e in ginocchio».

fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/27842/

Questa pecorella non è in realtà una pecorella e questo pastore è tutt’altro che un pastore…

Alcuni spunti suscitati dalla lettura del Vangelo della XXIV Domenica del T. Ordinario (C): Luca 15,1-32

Innanzitutto una riflessione di Asterio di Amasea: “Cerchiamo di capire la realtà nascosta dietro queste immagini. Questa pecorella non è in realtà una pecorella e questo pastore è tutt’altro che un pastore. Sono due esempi che insegnano misteri nascosti” (Omelia 13)

Incuriosisce un’evidente ripetizione nel testo: i vv. 6 e 9 differiscono solo per il genere maschilie del primo e quello femminile del secondo:

“…[il proprietario delle cento pecore] chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me…” (6)

“…[la donna proprietaria delle 10 monete] chiama le amiche e le vicine, e dice: ‘Rallegratevi con me..” (9).

In altri termini, non così letteralmente pressochè identici, anche nella terza parabola della misericordia risuona l’invito a condividere la gioia del padre, per aver riavuto salvo il figlio minore.

C’è un’assemblea, una chiamata a raccogliersi per fare festa: il testo latino mette in bocca al pastore e alla donna questa espressione: “Congratulamini mihi”, complimentatevi con me, fatemi le (vostre) congratulazioni.

Davvero curiosa questa immagine: sembra che Dio si compiaccia, tragga la sua gloria da uomini che si rallegrano con lui per la sua efficace opera di salvezza.

E’ questo il motivo della festa: Dio salva, ritrova, riaccoglie. Di questo si “vanta”, questo desidera che si conosca di Lui. Questa è la sua gloria.

Il Missale gothicum, nel componimento lirico dell’Immolatio della veglia pasquale recita così: “Dignum et iustum est, aequum et iustum est nos tibi hic et ubique gratias agere, tibi laudes dicere et hostias immolare et confiteri misericordias tuas, Domine, sancte Pater, Omnipotens aeterne Deus. Quoniam magnus es Tu et faciens mirabilia, Tu es Deus solus..[…] Haec est enim nox illa…, nox in qua inventa est dracma quae perierat, nox, in qua boni pastoris humeris reportata est oves perdita…” (MG 270).

Tornando ad Asterio d’Amasea: “Sono due esempi che ci insegnano misteri nascosti. Ci ammoniscono che non è giusto considerare nessuno senza speranza, che non possiamo abbandonare chi si trova in pericolo, nè dobbiamo essere pigri nel porgere il nostro aiuto a chi si è allontanato e smarrito”.

Infine, sant’Ambrogio, commentanto il Sal 118, diceva: “Cerca il tuo servo, perchè se la pecora che s’è smarrita non è cercata dal pastore perirà. Vieni, Signore Gesù.. Vieni non con il bastone ma con la dolcezza del tuo Spirito. Cercami, trovami, accoglimi, portami. Tu trovi chi cerchi, tu accogli chi trovi, tu prendi sulle spalle chi accogli. Vieni, Signore Gesù, perché per se mi sono smarrito tuttavia non ho dimenticato i tuoi comandamenti. Vieni perchè tu solo puoi richiamare la pecora che devia. Non mandare servi o mercenari, vieni proprio tu…”

Alcuni riferimenti per continuare..

M. Dulaey, I simboli cristiani. Catechesi e Bibbia (I-VI secolo), Cinisello Balsamo 2004.

C. Valenziano, Vegliando sul gregge, Magnano (To) 1994.