La libertà della liturgia e la libertà dei traduttori italiani

Ci si perdoni se trattiamo qui di dettagli tutto sommato marginali: non vorremmo essere pedanti e scrupolosi. Siamo però rimasti colpiti, pregando e ruminando alcuni testi della liturgia del fine settimana passato (1), dal corpus delle antifone, minori e maggiori, del breviario italiano. Senza prenderci troppo sul serio e senza pretendere consensi, ma quasi a modo di battuta, in una delle antifone in questione si può trovare esplicitato, in un lapsus forse inconscio, l’atteggiamento dei traduttori italiani: si sono sentiti liberi! In effetti, quando si confronta il testo italiano «Il tuo sangue, o Cristo, agnello senza colpa, è il prezzo della nostra libertà» con quello originale latino «Redempti sumus sanguine agni immacolati Christi», non si può non pensare che abbiano preso proprio sul serio la libertà che Cristo ci ha conquistata!

Ma del resto, anche l’antifona dell’edizione tipica latina mostra una certa libertà, quando riformula in una sola sentenza i due versetti del testo biblico che ne sono la fonte: «Scientes quod non corruptibilis argento vel auro redempti estis de vana vestra conversatione paternae traditionis sed pretioso sanguine quasi agni incontaminati et inmaculati Christi (Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia)» (1Pt 1,18-19). Evidentemente il traduttore italiano  (2) si considerava investito di quell’autorità che la Liturgia possiede di ridire la Scrittura, amplificando ulteriormente la riformulazione, trasformandola in un’acclamazione a Cristo. Costretti dallo spazio di un post a tralasciare il tentativo di offrire considerazioni teologiche sulla capacità e sulla liceità di tali operazioni della Tradizione liturgica, passiamo a vedere altri piccoli esempi; non possiamo però esimerci dall’esprimere il dubbio che un singolo traduttore possa godere della stessa libertà di una tradizione liturgica attestata.

Nell’Ufficio delle Letture del sabato trovavamo il salmo 105(106), uno dei salmi storici che hanno rischiato di non trovare spazio nel cursus psalmorum riformato dopo il Concilio Vaticano II. Sulla questione avevamo già detto qualcosa (3). Qui ci soffermiamo sull’antifona della prima sezione: il latino recita «Memento nostri, Domine, visita nos in salutari tuo». Si tratta della ripresa di un versetto dello stesso salmo: «Memento nostri, Domine, in beneplacito populi sui, visita nos in salutati tuo» (105,4). La versione italiana della Bibbia traduceva: Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza (4). Ma il traduttore della Liturgia delle Ore opera un curioso rovesciamento; l’antifona infatti recita: «Ricordati di noi, Signore, salvaci con la tua visita», cioè i concetti salvezza e visita sono interscambiati. I biblisti diranno a ragione che si tratta della stessa realtà, tuttavia non si comprende tale intervento; forse per rendere meno monotona la preghiera di un salmo così lungo? (5)

Un’ultima osservazione: per i primi Vespri, la Liturgia Horarum propone come antifone maggiori, ossia antifone al Cantico evangelico del Magnificat, tre antifone che riprendono i tre brani evangelici del lezionario, a seconda dell’anno (A, B o C).Il Salterio italiano invece propone antifone ispirate alle lezioni apostoliche della domenica. Vediamo:

Antifone al Magnificat

Anno A: Dicit Dóminus: Si quis bíberit aquam, quam ego dabo ei, non sítiet in ætérnum. Anno B: Dixit Iesus: Auférte ista hinc: Nolíte fácere domum Patris mei domum negotiatiónis. Anno C: Dico vobis: Nisi pæniténtiam egéritis, omnes simíliter períbitis.

Anno A Resi giusti dalla fede abbiamo pace con Dio per mezzo di Cristo Signore. Anno B: Cantiamo Cristo crocifisso, scandalo per gli Ebrei, stoltezza per i pagani; ma per i chiamati, salvezza di Dio. Anno C: Ciò che avvenne in antico ai nostri padri si compie per noi nei tempi nuovi.

La lettura apostolica di quest’anno era 1Cor 10. Essa la troviamo già citata nell’Ufficio delle Letture del sabato, come sentenza neotestamentaria che segue il titolo del salmo, appunto il salmo 105 di cui abbiamo parlato prima:

Titolo: Bontà del Signore e infedeltà del popolo

Sentenza neotestamentaria: Tutte queste cose accaddero a loro come esempio e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per il quali è arrivata la fine dei tempi (1Cor 10,11)

Il traduttore italiano, che ha scelto di ricomporre un’antifona diversa da quella, ispirata al vangelo, proposta dall’edizione tipica latina, ci ha però regalato una formulazione di teologia liturgica esatta, portandoci dal piano pedagogico di Paolo (per ammonimento nostro) a quello reale della liturgia: ciò che avvenne ai nostri padri (in figura) si compie oggi nella realtà sacramentale della Chiesa.


(1) Si tratta del sabato della II settimana di quaresima e della III domenica di quaresima.

(2) Francese: Nous sommes rachetés par le sang du Christ, par le sang de l’Agneau sans péché. Spagnolo: Nos rescataron a precio de la sangre de Cristo, el Cordero sin defecto ni mancha. Inglese: We have been redeemed by the precious blood of Christ, the lamb without blemish.

(3) cf., ad esempio, quiqui e qui.

(4) La nuova traduzione della CEI aggiorna anche questo versetto: Ricordati di me, Signore, per amore del tuo popolo, visitami con la tua salvezza.

(5) In inglese viene mantenuta la corrispondenza fra antifona e versetto salmico: come with your saving help; in spagnolo cambia solamente il singolare del versetto (visítame con tu salvación) con il plurale dell’antifona (visítanos con tu salvación); la versione francese della liturgia delle Ore presenta invece un’unica antifona per le tre sezioni salmiche, ispirata piuttosto al titolo del salmo: Quand nous somme infidèles, le Seigneur reste fidèle).

“Traduzioni” fa rima con “scivoloni”?

Non è il caso di invocare il passo evangelico in cui viene denunciato il rischio di un regno diviso in se stesso, ma possiamo benissimo fare una diversa citazione, attinta dai ricordi personali: risaliamo così al tempo delle lezioni al Pontificio Istituto Liturgico. Si era in pieno Giubileo del 2000, e il compianto professor Achille Triacca ci raccontava come qualche giorno prima avesse telefonato al Maestro delle Celebrazioni pontificie, per «rimproverarlo» dell’abuso commesso dall’Ufficio. Infatti, seguendo la celebrazione alla TV, il puntuale e preciso professore aveva notato l’introduzione di Gloria e Credo nella messa di San Giuseppe Lavoratore, in occasione del Giubileo dei Lavoratori. Era evidente il tentativo di «solennizzare», dato il contesto, quella celebrazione papale, ma – Triacca ci voleva insegnare – nemmeno il capo-rito di una tradizione liturgica (nel nostro caso, il Sommo Pontefice per il rito romano) può alterare a propria scelta il rituale, tantomeno senza alcuna spiegazione e come se niente fosse.

Ci è tornato in mente questo aneddoto mentre, facendo alcune ricerche sull’Inno quaresimale dei Vespri, ci siamo imbattuti in una pagina che ne riportava il testo apparso nel libretto dell’Ufficio delle celebrazioni pontificie per il Mercoledì delle Ceneri (1). Insieme al testo latino con la notazione musicale, il Maestro delle Celebrazioni, o comunque qualcuno sotto la sua responsabilità, fece stampare – come ragionevole – anche la traduzione italiana. Ma, come si noterà, non è quella ufficiale, come giace nel libro della Liturgia delle Ore approvato dalla CEI e correntemente in uso nella chiesa italiana.

Testo proposto dal libretto dell’Ufficio delle celebrazioni pontificie.

Ascolta, Creatore benigno / il grido che alziamo di pianto, / in questo digiuno che compie / i santi quaranta tuoi giorni.

O tu, che nei cuori ci scruti / e sai quanto fragili siamo, / a te ritornati concedi, / la gioia di una largo perdono.

Poiché troppo abbiamo peccato, / ma tu da’ il perdono ai contriti / a gloria del nome tuo santo, / lenisci la piaga dei cuori.

Con questa astinenza, concedi / che il corpo rinasca temprato, / che sobria la mente digiuni, / non più lusingata dal male.

O Dio, che sei unico e trino, / sia il dono che noi ti facciamo / del nostro digiuno frugale / copioso di frutti ai tuoi occhi.

Testo ufficiale della Liturgia delle Ore

Accogli, o Dio pietoso, / le preghiere e le lacrime /che il tuo popolo effonde / in questo tempo santo.

Tu che scruti e conosci / i segreti dei cuori, / concedi ai penitenti / la grazia del perdono.

Grande è il nostro peccato, / ma più grande è il tuo amore: / cancella i nostri debiti / a gloria del tuo nome.

Risplenda la tua lampada / sopra il nostro cammino, / la tua mano ci guidi / alla meta pasquale.

Ascolta, o Padre altissimo, / tu che regni nei secoli / con il Cristo tuo Figlio / e lo Spirito Santo. Amen.

Testo latino.

Audi, benigne Conditor, / nostras preces cum fletibus, / sacrata in abstinentia / fusas quadragenaria.

Scrutator Alme cordium, / infirma tu scis virium / ad Te reversis exhibe / remissionis gratiam.

Multum quidem peccavimus, / sed parce confitentibus; / tuique laude nomini / confer medelam languidis.

Sic corpus extra conteri / dona per abstinentiam; / ieiunet ut mens sobria / a labe prorsus criminum.

Praesta, beata Trinitas, / concede, simplex Unitas, / ut fructuosa sint tuis / haec parcitatis munera.

Come si vede, né l’una né l’altra versione in italiano rispetta fedelmente il testo latino, e si potrebbero fare parecchie annotazioni. Valeva la pena, dunque, introdurre tale novità, in un contesto così ufficiale, peraltro? In questo caso, davvero si può dire, per fortuna i monaci hanno cantato in latino!


(1) Cf. qui.

Gesù a colloquio con Elia, molto tempo prima della Trasfigurazione

I Padri e gli Scrittori delle Chiese d’Oriente amano drammatizzare il racconto biblico, arricchendoli con immagini e particolari talvolta assai liberi. Ci pensa la liturgia, poi, ad attingere con prudenza e discrezione a tale repertorio (1), che si dimostra comunque  fedele allo spirito delle Sacre Scritture, pur andando oltre alla lettera del testo; più sotto citeremo un testo di Benedetto XVI in cui si afferma che: «La fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia, perciò crea bellezza». Ma torniamo al testo che vorremmo presentare.

Romano il Melode, fecondissimo compositore (2), partendo dalla vicenda biografica del profeta Elia, accentua alcuni tratti caratteristici del Tisbita: il suo zelo, eccessivo fino a rendergli impossibile sopportare la malizia degli uomini. Sarà la bontà del Signore a mettere fine allo struggimento del profeta, annunziandogli un «prodigioso scambio»: Elia sarà rapito in cielo, mentre la seconda Persona della Trinità incarnandosi si farà carico dell’uomo peccatore e con longanime pazienza e compassione saprà riportare  all’ovile la pecora smarrita.

Molto tempo era già trascorso, quando Elia conobbe la cattiveria degli uomini e meditò di dare un castigo ancora più duro. A tale vista, il Misericordioso rispose al profeta: «Conosco lo zelo che pratichi nel bene e so la tua buona volontà. Ma io compatisco i peccatori, quando vengono puniti oltre misura. Tu, al contrario, provi irritazione, ti senti immune da rimprovero e non riesci a rassegnarti. Io non posso rassegnarmi anche se soltanto uno sia perduto, perché sono l’unico Amico degli uomini».

In seguito, quando rilevò l’umore acre di lui nei confronti degli uomini, il Signore fece propria la sorte di quelli e allontanò Elia dalla terra che essi abitavano, dicendo: «”Allontanati, amico, dalla terra degli uomini; io stesso, incarnandomi, scenderò presso di loro nella mia misericordia. Tu lascia la terra e sali quassù, dal momento che non riesci a tollerare gli errori degli uomini. Ma io, che sono del cielo, vivrò tra i peccatori e li salverò dai loro errori, io, l’unico Amico degli uomini. Se, come ho detto, profeta, non ti è possibile la convivenza con gli erranti, vieni qui, abita nel regno dei miei amici, dove non vi è posto per il peccato. Sarò io a scendere, perché posso prendere sulle mie spalle e riportare all’ovile la pecora smarrita, e gridare a quanti inciampano: “Accorrete tutti, peccatori, venite a me e quietatevi, io non sono venuto per punire quanti ho creato, ma per strappare il peccatore all’empietà, io, unico Amico degli uomini”».

Romano il Melode, Inni, VII, Il profeta Elia, 30-32, (Letture Cristiane delle origini 13), Roma 1981, 137-138.

 Le 33 strofe dell’Inno, di cui ne abbiamo riportato solamente 3, si concludono tutte con  la stessa espressione, a mo’ di ritornello: «unico Amico degli uomini». Amico degli uomini, nella tradizione orientale, è un vero e proprio titolo cristologico; qui è enfatizzato da quell’aggettivo unico, e nella vicenda di Elia il contrasto è reso in modo mirabile: da una parte lo zelo eccessivo e dall’altra l’infinito amore di Dio per gli uomini.

Sembrerebbe un argomento fatto a posta per le odierne disquisizioni intraecclesiali fra presunti rigoristi rispetto ad altrettanto presunti aperturisti misericordiosi. Quell’aggettivo unico ci aiuta a comprendere quanto la misericordia debba essere intesa in senso assolutamente cristologico, per non farla scadere in una sterile, inefficace e vuota filantropia. Solo la Persona di Cristo si può far carico, fino in fondo, del peccato degli uomini, solo il Nuovo Adamo può «trattare», «maneggiare» la debolezza dell’Adamo invecchiato, perché è l’unico Figlio di Dio, l’unico a portare sulla sua Croce l’abisso della disobbedienza, redimendola con la sua obbedienza.

Tutta la retorica dello «sporcarsi le mani» ha senso solamente se rimane fermo il principio: solo Cristo può recare rimedio al male insito nell’uomo. Ci si permetta, poi , un’ulteriore e ultima considerazione: è solo una svista linguistica, o c’è dell’altro nella nuova terminologia in voga: «somministrare la misericordia» (3)?


(1) Dell’Inno di cui parleremo, ad esempio, l’ufficiatura bizantina attuale conserva solo il proemio e la prima strofa.

(2) Qui la presentazione della vita e dell’opera di Romano il Melode, offerta da Benedetto XVI in una delle sue Udienze generali del mercoledì (per inciso, a causa del maltempo, i partecipanti all’Udienza dalla prevista Piazza san Pietro furono fatti confluire in parte nell’Aula Paolo VI e in parte nella Basilica di san Pietro, una duplice ricollocazione a causa della grandissima affluenza all’Udienza!).

(3) Cf. qui e qui.

I Salmi e l’approfondimento progressivo della Rivelazione

Dopo alcuni post un poco originali, lasciamo la parola ad un autorevole maestro, che ci aiuta a comprendere l’orizzonte delle nostre incursioni in Bibbia e Liturgia.

La Parola di Dio non si è fatta udire a poco a poco mediante un’aggiunta esteriore di verità, partendo da ciò che è più semplice fino ad arrivare a ciò che è più complesso, da ciò che è elementare e concreto all’astrazione elaborata. Lo sviluppo della rivelazione nella Bibbia ci appare piuttosto come quello di una tema che si arricchisce di se stesso, caricandosi pian piano di suoni armonici nuovi, per giungere finalmente a permeare tutto il nostro universo mentale e spirituale. La parola di Dio non progredisce tanto nel senso della complessità molteplice di affermazioni sempre più variate, quanto piuttosto nel senso dell’unità nella quale si scoprono una personalità divina e un disegno divino, che ha di mira una completa unione tra Dio e l’uomo, una riunificazione dell’umanità disgregata dal peccato, ma ricostituita nel suo secondo Adamo.

Comprendere la rivelazione, il senso della Scrittura, richiede che la si legga secondo queste linee. Occorre cioè cercarvi non una successione di concetti, ma l’approfondimento di verità semplicissime e ricchissime date fin dal principio, e che costituiscono l’unità della parola divina. E ciò che ci permette di accedere a questa intelligenza propriamente religiosa delle Scritture è una contemplazione del grande disegno che in essa si dispiega e di quell’Unico che in essa si scopre il volto. Tale contemplazione è costantemente suscitata nella Chiesa dalla preghiera ispirata: il Salterio, che costituisce la base di tutta la preghiera liturgica. Quando ci si stupisce che i Salmi dell’Antico Testamento restino la preghiera del Nuovo, è proprio perché non si coglie il vero carattere di progresso della rivelazione. Tramite la loro congiunzione e la loro esaltazione lirica dei temi definitivi che la rivelazione ha toccato dal primo istante, i Salmi sono al contrario il mezzo provvidenziale che deve aiutarci a discernere sotto le prime realizzazioni della Parola, la sua realtà che permane. I temi più propriamente nuovi del vangelo – l’adozione da parte del Padre, il dono dello Spirito, come pure la rivelazione del Figlio – non assumono tutto il loro significato, e nemmeno hanno un senso intelligibile se non li scopriamo alla confluenza dei temi della parola profetica. La giustizia e la misericordia predicate da Amos e Osea, la santità divina da Isaia, la religione del cuore da Geremia, la sofferenza redentrice dai canti del Servo, la presenza divina restituita per sempre a un popolo rigenerato, e, infine, il mistero della Sapienza creatrice e redentrice intravisto dagli scribi: ecco tutti i fili con i quali il vangelo tesserà la sua trama.

[…]

Il fatto che la preghiera di Israele sia divenuta spontaneamente e senza sforzo la preghiera della Chiesa, attesta semplicemente quella continuità che tutto dovrebbe farci cogliere nella Bibbia. Parlare così, non significa affatto misconoscere o sottovalutare l’irriducibile novità del vangelo. Ma, appunto, non si è per nulla percepito il movimento che attraversa e solleva progressivamente l’intera Bibbia di Israele, se non la si vede tutta illuminata dalla promessa, protesa nell’attesa. […] In questo modo, quando si arriva al termine dell’antica alleanza, tutto è pronto per accogliere la nuova. Ma, perché la sua “buona novella”, cioè il vangelo, sia ricevuta, occorrono dei cuori preparati, delle anime che siano anime di desiderio, e il cui desiderio sia quello dello Spirito. Questa preparazione è data dall’Antico Testamento, mentre quel desiderio è espresso dai Salmi. Essi dunque sono a buon diritto la preghiera cristiana, perché sono la preghiera con la quale lo Spirito ci ha insegnato a chiedere precisamente ciò che il Padre voleva darci mediante il Figlio.

L. Bouyer, La Bibbia e il Vangelo, Magnano (BI) 2007, 265-268.

Inizia la Quaresima, ma sembra già sia Pasqua

No, non si sta alludendo alla mitezza delle temperature invernali che, almeno in alcune parti d’Italia, ci fanno respirare anticipatamente un aria di primavera.

E’ la stessa liturgia che ci permette di vivere l’inizio della Quaresima in modo sorprendente, con una tensione che ci obbliga a considerare lo spirito e gli atti penitenziali nel loro giusto orizzonte.

Si tratta certamente di iniziare un austero cammino (1), mossi tuttavia da un annuncio che è gioioso già da subito: viene il giorno di Pasqua.

La versione italiana del Salterio opera una scelta, fornendo una traduzione di solo uno dei due inni latini proposti alle Lodi: chi infatti conoscesse il latino, potrà fare distinzione fra l’ufficio feriale e quello domenicale. Il testo che in italiano è sacrificato è l’inno Iam, Christe, sol iustitiae (2). In questo post vogliamo pertanto evidenziare alcuni elementi di questa ricchezza perduta.

La penultima strofa recita:

Dies venit, dies tua,

per quam reflorent omnia;

laetemur in hac ut tuae

per hanc reducti gratiae.

[Viene il giorno, il tuo giorno, in cui tutto rifiorisce; rallegriamoci in esso, per esso siamo stati riportati alla grazia]

Non è difficilissimo rintracciare alcuni passi della Scrittura che possono aver ispirato la redazione del testo, o comunque fare collegamenti con citazioni bibliche. Viene in mente il versetto 24 del Salmo 117: Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo [haec est dies quam fecit Dominus exultemus et laetemur in ea]. Questo passo rinvia ad un altro inno, assai più celebre, che la liturgia propone per l’Ufficio delle Letture nel tempo di Pasqua: Ecco il gran giorno di Dio, splendente di santa luce… [Hic est dies verus Dei, sancto serenus lumine…]. Un pochino più complicato è risalire al salmo 27 (28),7, che citiamo secondo la Vulgata latina, perché nella traduzione italiana si perde molto del dato tradizionale che la liturgia invece ha conservato (3): Dominus adiutor meus et protector meus in ipso speravit cor meum et adiutus sum et refloruit caro mea et ex voluntate mea confitebor ei [Il Signore è mia forza e mio scudo, in lui ha confidato il mio cuore. Mi ha dato aiuto: esualta il mio cuore, con il mio canto voglio rendergli grazie]. La lezione latina del salmo facilita evidentemente il passaggio fra quel rifiorisce la mia carne e la resurrezione di Cristo (4).

Dies.., dies tua…reflorent…laetemur: come non intravedere la Pasqua!? E come non capire che solamente con questa luminosa tensione è possibile vivere una feconda penitenza quaresimale, che non sia vuoto e sterile virtuosismo ascetico scrupolosamente concentrato sulle nostre piccole opere!? Il nostro inno lo dice nella strofa che precede immediamente la nostra: concedici almeno un pò di penitenza, il resto sarà un tuo dono (5)

Non c’è Quaresima senza Pasqua, dunque! E questo dovrebbe essere chiaro fin dall’inizio del cammino dei quaranta giorni.

In altri termini, con una diversa profondità esistenziale, possiamo citare alcune parole di J. Ratzinger: «Siamo qui in presenza di una reciprocità dalla quale tutto dipende: senza saperci accolti dallo sguardo del Redentore – che non cancella a parole le nostre colpe, ma se ne fa carico e le patisce – non si può sopportare la verità della propria colpa e ci si rifugia subito nella prima non-verità – il dissolvimento della propria colpa – dalla quale conseguono tutte le altre menzogne, e da ultimo una generale incapacità a riconoscere il vero. E viceversa: senza il coraggio di essere fino in fondo veri con se stessi, non è possibile conoscere il Salvatore e avere fede in Lui. Per questo motivo, i Padri hanno descritto l’atto fondamentale della conversione anche come “confessione”, e ciò in una duplice accezione: ammissione della propria colpa come “agire nella verità” in senso esistenziale; e testimonianza resa a Gesù Cristo redenroe. Ne consegue che l’atto della conversione implica una obbligatorietà che vincola la nostra libertà, e cioè un legame; e di qui anche l’esigenza di permanere nella verità, che si esprime nell’attaccamento all’insegnamento degli Apostoli e nell’appartenenza alla realtà sacramentale della Chiesa. Con l’esortazione al cambiamento, dunque non si intende richiamare ad un impegno spasmodico per raggiungere standard elevati di realizzazione o di coerenza morale, bensì a permanere in un’apertura e in una vigile sensibilità per il vero e ad aderire a Colui che non solo ci rende “sopportabile” la verità, ma anche la rende per noi feconda e salvifica»: Conversione, penitenza e rinnovamento, in Id., Cantate al Signore una canto nuovo, Milano 1995, 178-179.


(1) Protesi alla gioia pasquale, / sulle orme di Cristo Signore, / seguiamo l’austero cammino / della santa Quresima: così il salterio italiano rende l’originale: Ex more docti mystico / servemus abstinentiam, / deno dierum circulo / ducto quater notissimo; non si vede traccia, almeno di qui, di austerità!

(2) Avevamo già trattato di parte di questo testo qui.

(3) Cf., ad es., qui.

(4) Cf., ad es., il commento di Sant’Agostino: «Il Signore è mio aiuto e mio protettore. Il Signore mi aiuta nel subire tante sofferenze, e con l’immortalità mi protegge nel risorgere. In lui ha sperato il mio cuore, e sono stato soccorso. E rifiorì la mia carne, cioè è risorta la mia carne. E con la mia volontà confesserò a lui. Ne consegue che, già vinto il timore della morte, non costretti dal timore sotto la legge, ma per libera volontà con la legge, lo confesseranno coloro che credono in me; e in essi anch’io confesserò, poiché sono in loro»: cf. il commento all’intero salmo.

(5) Quiddamque paenitentiae / da ferre, quo fit demptio, / maiore tuo munere, / culparum quamvis grandium. Anche su questa strofa si potrebbe dire qualcosa di interessante, ma ora siamo costretti a rimandare la questione ad un futuro prossimo. Per tornare al passato, ci permettiamo, invece, di segnalare un nostro vecchio post sul mercoledì delle ceneri: qui.

A “bristled” Bugnini: unexpected notes from yellowed pages.

We have already welcomed the laudable project to make accessible online the entire collection of Notitiae, the review of the Congregation for Divine Worship (1). It may be useful to recall the prehistory of this prestigious and authoritative periodical.

In the very first period of activity of the Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, it was all to be organized, from the locals to staff, from the method of work to the legal configuration.

Right from the start that the Commission was characterized by different backgrounds of members and experts: the frequent plenary meetings were an opportunity to clear up the point of the various problems and issues; in addition to the reports, the talks and the oral meetings, the Secretariat had taken the use of draft sets of notes and notices, the directions and the progress of the work, as well as on new assignment and tasks. Those internal connecting sheets were, exactly, entitled “Notitiae” .

Of course, they are not on the same level of historical and scientific interest the “Schemata” have: the last, in fact, testify to more closely the work of reform in specific areas of the various study groups; but skimming through these old yellowed pages may hold significant surprises .

Not only critics of liturgical reform but, frequently, also advisers and experts of ecclesiastical affairs attribute, with the slight shallowness of those who repeat  granted interpretations, every liability to Msgr. Annibale Bugnini, the Secretary of the Consilium. Although in fact it was not he who operate directly and specifically in the actual revision of the liturgical books , he was accused of having allowed experts , liturgists and not, to put hand, impunity and disrespectfully, to the destruction of the building of the Catholic worship.

In a short note of one of the dossiers which are the antecedents of Notitiae, Bugnini proves himself very different from how somebody, in his imagination, wants to sketch the Consilium Secretary. To him, therefore, the turn to speak:

«Quo vadis, Liturgy?
Not rarely, about new initiatives in liturgy, disconcerting things are heard, disconcerting things are read in magazines, diaries, disconcerting things are seen in the photographs, disconcerting things are said in the conference, in declarations and talks.
Not infrequently, I sincerely admit, “the hairs of my body bristled” (Job 4:15).
Quo vadis, Liturgy? Or rather, where do you bring liturgy, you liturgists and pastoralists?
With courage, without conformity, we must resist the temptation of “experiments.” Without a doubt this is a temptation “from evil”; it is not an “inspiration” from on High.
The path of renewal is safe, bright, wide, vast, it is indicated by the Church, by the chief Shepherd; any other path is a false path.
And it is appropriate that the Directors of magazines may support the renewal effort, no one may yield to the temptation to do or say newness, so as to woo readers with empty delight: so the readers are deceived, and  not built up.
All, then especially the Consilium members and staff, may experience right now their responsibility».

This was our translation of the following latin original:

Quo vadis, Liturgia?
Non raro, circa inceptus in re liturgica, mira audiuntur; mira leguntur in foliis periodicis, in diariis; mira videntur in photographiis; mira dicuntur in conferentiis, in declarationibus, in colloquiis.
Non raro, candide fateor, “inhorruerunt pili carnis meae” (Iob 4,15).
Quo vadis, Liturgia? Vel potius, quo fertis Liturgiam, liturgistae vel pastoralistae?
Fortiter, absque ullo conformismo, resistendum est tentationi “experimentorum”. Est certissime tentatio “ex maligno”; non est “inspiratio” ex Alto.
Via renovationis, secura, luminosa, lata, spatiosa, indicatur ab Ecclesia, a summo Pastore; quaevis alia via est falsa via.
Periodicurum Moderatores sustineant oportet conatum renovationis, nulli cedant tentationi novum faciendi vel dicendi, ut lectores inani voluptate emulceant: lectores decipiuntur, non aedificantur.
Omnes, praecipue autem Consilii Sodales, sentiant hoc momento propriam “responsabilitatem”.
A. Bugnini

Notitiae n. 2, die 15 februarii 1965, III. Varia, 13: Cambrai Diocesan Archives (France), Fund Jenny, Series 3A2 – 5.1


(1) Cf. here.

 

Un Bugnini da far drizzare i peli: note inaspettate da vecchie pagine ingiallite

Abbiamo già salutato il lodevole progetto di rendere accessibile on-line l’intera collezione della rivista Notitiae (1). Può essere utile ricordare la preistoria di tale prestigioso e autorevole periodico.

Nel primissimo periodo di attività del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia era tutto da organizzare, dai locali al personale, dal metodo di lavoro alla configurazione giuridica. Fin da subito tale Commissione si caratterizzò per diversissima provenienza dei membri e dei periti: le frequenti riunioni plenarie erano l’occasione per fare il punto sulle varie problematiche e questioni; oltre alle relazioni, ai colloqui e agli incontri orali, la Segreteria aveva preso l’uso di redigere dei fascicoli di note e comunicazioni, sugli indirizzi e sull’andamento del lavoro, nonché sulle nuove nomine e incarichi. Tali fogli di collegamento interno erano, appunto, titolati «Notitiae».

Naturalmente non siamo sullo stesso livello di interesse storico e scientifico che possiedono invece gli «Schemata», che testimoniano più da vicino i lavori di riforma negli specifici ambiti dei diversi gruppi di studio; eppure, sfogliare queste vecchie pagine ingiallite può riservare notevoli sorprese.

Non solamente i critici della riforma liturgica, ma frequentemente anche divulgatori e cultori di vicende ecclesiastiche attribuiscono, con la leggera superficialità di chi ripete interpretazioni date ormai per scontate, ogni responsabilità ad mons. Annibale Bugnini, il Segretario del Consilium suddetto. Anche se di fatto non fu lui ad operare direttamente e nello specifico nella revisione concreta dei libri liturgici, lo si accusa di aver permesso a periti, liturgisti e non, di mettere mano, impunemente e irrispettosamente, alla distruzione dell’edificio intoccabile quale si riteneva fosse l’impianto della liturgia cattolica.

In una breve nota di uno di quei fascicoli che sono gli antecedenti della rivista Notitiae, Bugnini si rivela assai diverso da come lo si vuole tratteggiare nell’immaginario di alcuni. A lui, dunque, la parola:

«Quo vadis, Liturgia?
Non raramente, a proposito di nuove iniziative in ambito liturgico, si ascoltano cose incredibili, cose incredibili si leggono nelle pagine delle riviste, nei diari, incredibili cose si vedono nelle fotografie, cose incredibili vengono dette nelle conferenze, in dichiariazioni, in colloqui.
Non raramente, lo ammetto sinceramente, “si drizzarono i peli sulla mia pelle” (Gb 4,15).
Quo vadis, Liturgia? O piuttosto, dove portate la liturgia, voi liturgisti e pastoralisti?
Con coraggio, senza alcun conformismo, bisogna resistere alla tentazione degli “esperimenti”. Senz’alcun dubbio è una tentazione “dal maligno”; non è un’ispirazione dall’Alto.
La strada del rinnovamento è sicura, luminosa, larga, vasta, è indicata dalla Chiesa, dal sommo Pastore; qualsiasi altra strada è una falsa strada.
E’ opportuno che i Direttori delle riviste sostengano lo sforzo del rinnovamento, nessuno ceda alla tentazione di compiere o dire novità, così da blandire i lettori con vuota voluttà: i lettori sono ingannati, non edificati.
Tutti, specialmente poi il personale del Consilium, avvertano in questo momento la loro responsabilità».

Questa era una nostra traduzione dell’originale latino:

Quo vadis, Liturgia?
Non raro, circa inceptus in re liturgica, mira audiuntur; mira leguntur in foliis periodicis, in diariis; mira videntur in photographiis; mira dicuntur in conferentiis, in declarationibus, in colloquiis.
Non raro, candide fateor, “inhorruerunt pili carnis meae” (Iob 4,15).
Quo vadis, Liturgia? Vel potius, quo fertis Liturgiam, liturgistae vel pastoralistae?
Fortiter, absque ullo conformismo, resistendum est tentationi “experimentorum”. Est certissime tentatio “ex maligno”; non est “inspiratio” ex Alto.
Via renovationis, secura, luminosa, lata, spatiosa, indicatur ab Ecclesia, a summo Pastore; quaevis alia via est falsa via.
Periodicurum Moderatores sustineant oportet conatum renovationis, nulli cedant tentationi novum faciendi vel dicendi, ut lectores inani voluptate emulceant: lectores decipiuntur, non aedificantur.
Omnes, praecipue autem Consilii Sodales, sentiant hoc momento propriam “responsabilitatem”.
A. Bugnini

Notitiae n. 2 die 15 februarii 1965, III. Varia, 13: Archivio Diocesano di Cambrai, Fondo Jenny, Serie 3A2 – 5.1


(1) cf. qui.

 

Segno di contraddizione

Da più storici della liturgia viene menzionato il carattere penitenziale della processione inserita nella liturgia della Festa della Presentazione al Tempio del Signore. Ma di più non si dice né si sa, o meglio, alcuni dicono pure, ad es., che il Papa incedeva scalzo, ma a cosa sia connessa questa dimensione penitenziale non viene spiegato.

Un Papa però ci viene in aiuto, mostrandoci come nel Vangelo del giorno ci siano elementi che invitano ad una seria conversione!

Dio e la sua Parola – Gesù, la Parola vivente di Dio – sono segni e sfidano alla decisione. L’opposizione dell’uomo contro Dio pervade tutta la storia. Gesù si rivela come il vero segno di Dio proprio prendendo su di sé, attraendo a sé l’opposizione a Dio fino all’opposizione della Croce. Qui non si parla del passato. Noi tutti sappiamo quanto Cristo oggi sia segno di una contraddizione che, in ultima analisi, ha di mira Dio stesso. Sempre di nuovo, Dio stesso viene visto come il limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso. Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo ed alla sua superbia.

Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno nell’autocompiacimento, bensì una liberazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferenza della Croce. La profezia sulla luce e la parola circa la Croce vanno insieme.

(J. Ratzinger Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Milano – Città del Vaticano 2012, 100-101)