Eucologia d’Avvento (1)

Nel caso dei formulari della Messa (eucologia) della prima domenica di Avvento, si deve riconoscere la validità di alcune critiche mosse alla traduzione italiana da L. Bianchi, Liturgia. Memoria o istruzioni per l’uso?, Casale Monferrato 2002. Il suo studio, critico nei confronti della riforma liturgica, appare talvolta esageratamente polemico e puntiglioso, tuttavia alcune osservazioni colgono nel segno. “Verbi che indicano uno stato o una semplice azione naturale (‘guardare’, ‘riconoscere’, ‘permanere’, ‘seguire’) sono talvolta tradotti con espressioni indicanti ‘tensione’, ‘ricerca’, ‘sforzo’. Numerosi sono gli accenni all’impegnarsi e alla ‘coerenza di vita’, termini non presenti, peraltro, nel testo latino. Questo fenomeno è diffuso in maniera pressoché uniforme soprattutto nelle orazioni…, ed è specchio di una mentalità più presa da una preoccupazione sociale, attivistica o moralistica che semplicemente aperta al riconoscimento di una fatto accaduto (mentre ‘riconoscere’ ed ‘aderire’ indicano una naturale posizione del cuore e sono azioni in rapporto con una persona, ‘impegno’ e ‘coerenza’ danno normalmente, a chi ascolta, l’idea di uno sforzo e di azioni in rapporto ad un ideale non immediatamente concreto)” (25). La preghiera dopo la comunione, dicevamo, è un buon esempio di questa sbavatura, ancora più evidente nella prima versione italiana del 1970. Vediamo:

Testo tipico:

Prosint nobis, quaesumus, Domine, frequentata mysteria

quibus nos, inter praetereuntia ambulantes,

iam nunc istituis amare caelestia et inhaerere mansuris.

Trad. Messale 1970: In questo mondo che passa ci sostenga, Signore, il sacramento che abbiamo celebrato e ci insegni sin d’ora ad amare le cose del cielo e a cercare i valori perenni. (Valori!!??)

Trad. Messale 1983: La partecipazione a questo sacramento, che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso cristiano della vita (?!), ci sostenga, Signore, nel nostro cammino e ci guidi ai beni eterni.

Possibile traduzione più letterale: Ci giovino, Signore, ti preghiamo, i misteri che abbiamo celebrato, con i quali ci prepari fin d’ora, mentre camminiamo tra cose che passano, ad amare le realtà celesti e ad aderire a quelle che restano.

L’odierna preghiera è una riformulazione di due formulari del Sacramentario Veronense:

1053: Prosint nobis, Domine, frequentata mysteria, quae nos a cupiditatibus terrena expediant, et instituant amare caelestia.

173: Da nobis, Domine, non terrena sapere, sed amare caelestia, et inter praetereuntia constitutos iam nunc inhaerere mansuris.

Mentre il primo formulario (1053) è collocato in una sezione piuttosto generica – anche se è interessante leggerlo contestualmente alle altre preghiere (forse ci torneremo in un prossimo post) – il secondo (173) è incastonato nelle preghiere per l’Ascensione del Signore. Il contesto di quest’ultimo, pertanto, fornisce dati importanti per una corretta interpretazione e traduzioni dei sintagmi in questione.

Bianchi, giustamente, stigmatizza la resa italiana: “La frase inhaerere mansuris (letteralmente ‘rimanere attaccato a ciò che è perenne’) è tradotta con ‘cercare i valori perenni (traduz. Mess. 1970, ndr) e con ‘ci guidi ai beni eterni’. Il verbo inhaerere esprime però un concetto di stato (‘rimanere attaccato’, ‘permanere’), non di moto (‘cercare’ e simili)” (26).

In effetti, quel ‘rimanere attaccato’, ‘aderire’, nel contesto originale della fonte ha una sfumatura tutta particolare, che riecheggia una marcata cristologia, tipica di san Leone Magno. In un formulario precedente, il n. 170, si parla sì di “intentio” – tensione, sforzo, attenzione, sforzo, e quindi forse ricerca – , ma è ben chiaro che è Cristo l’oggetto: “là si diriga l’intentio dei tuoi figli, dove nel tuo Unigenito è con te la nostra sostanza”. Alle cose che rimangono, che permangono fra le vicende passeggere e volubili, si può rimanere attaccati, perché un mirabile commercio ha definitivamente unito l’uomo fragile e mutevole alla natura divina, e l’umanità, in Cristo, già è entrata nel cielo (…ut illuc filiorum tuorum dirigatur intentio, quo in tuo Unigenito tecum est nostra substantia).

Che il Messale romano abbia ripreso questo formulario dell’Ascensione e lo abbia riferito alla prima domenica di Avvento non è fuori luogo, visto il carattere escatologico della prima parte di questo tempo liturgico. In effetti, sempre nella sezione del Veronense cui si è appena accennato, nel formulario 171, si trova anche l’espressione ‘secundo adventu’.

I beni eterni, possiamo dire, non sono entità astratte, idee o valori morali, ma si riferiscono alla Persona di Cristo. “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù – quae sursum sunt quaerite – dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra – quae sursum sunt sapite, non quae super terram” (Col 3,1-2). O, come proclama la seconda lettura della messa, “Rivestitevi del Signore Gesù e non lasciatevi prendere dai desideri della carne (lett. non ponete attenzione ai desideri della carne)” (Rom 13,14).

E questa realtà non è vissuta solamente in modo pedagogico o moraleggiante, la liturgia non è solo didattica o istruzione, ma comunicazione di grazia effettiva. L’originale latino ‘instituis’ (instituo, ěre) significa sì istruire, ammaestrare, educare, ma come significato particolare di un più immediato senso di preparare, disporre, cominciare, intraprendere. O, ancora, piantare, porre dentro.

La partecipazione alla celebrazione eucaristica è certamente fonte di meditazione e momento di riflessione e di re-impostazione della vita, come lo è d’altronde il tempo di Avvento; ma non si tratta di un pensiero riflessivo autonomo o prodotto solamente dall’uomo. Esso è proiettato, spinto, indotto dalla grazia operante nei santi misteri. Siamo invitati a prepararci al secondo Avvento di Cristo, proprio perché il primo si è compiuto storicamente nell’Incarnazione e si è rinnovato sacramentalmente nell’Eucaristia, e con esso nella fede si è comunicato.

 

 

P.S. Può essere utile vedere come traducono alcuni altri messali:

– Father, may our communion teach us to love heaven. May its promise and hope guide our way on earth.

– Fais fructifier en nous, Seigneur, l’eucharistie qui nous a rassemblés: c’est par elle que tu forms dès maintenant, à traves la vie de ce monde, l’amour dont nous t’aimerons éternellement.

– Aproveite-nos, ó Deus, a partipaçao nos vossos mistérios. Fazei que eles nos ajudem a amar desde agora o que é do céu, caminhando entre as coisas que passam, abraçar ad que não passam.

Un ladrone “impunito”, una fede breve e veloce misericordia: questo è il Regno di Dio

La scena che la pagina evangelica della Liturgia della Parola dell’annuale solennità di Cristo Re è una di quelle commentate con una particolare originalità e freschezza da sant’Ambrogio.

Se ne ritroverà un eco nel suo inno, ancora in uso nella Liturgia delle Ore, Hic est dies verus Dei.

[…]

Quem non gravi solvit metu

latronis absolutio?

Qui praemium mutans cruce

Iesum brevi adquisit fide

iustusque praevio gradu

pervenit in regnum Dei.

Opus stupent et angeli

poenam videntes corporis

Christoque adhaerentem eum

vitam beatam carpere

[…]

Chi non scioglie dal grave timore

l’assoluzione del ladrone?

Questi cambiò la sua croce in un premio

acquistando Gesù con un breve atto di fede

e giustificato arrivò, primo,

nel regno di Dio.

Anche gli angeli si stupiscono

vedendo il supplizio del corpo

e il reo, tutto stringendosi a Cristo,

rapire la vita beata

In questi straordinari versi, che la liturgia canta nel tempo pasquale attualizzando tali misteri insondabili anche nel nostro oggi, si condensano alcune intuizioni che Ambrogio aveva seminato in altre sue opere. Nelle sue parole vibra tutto lo stupore riconoscente e grato di fronte a tanta misericordia, che tutto trasforma e che mostra in tutto il suo splendore la regalità del Signore Gesù Cristo: tanto che un ladrone, alla fine, riesce nel colpo più importante e più decisivo. Si direbbe, infatti, che la cattiva tendenza ad arraffare ciò che non era suo, in questo caso gli è stata salutare: riesce ad “arraffare” persino la vita eterna ed il Paradiso, a dispetto di tanti presunti giusti, che entreranno i Paradiso dopo di lui. D’altronde il Maestro lo aveva già annunciato: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,32).

Ma torniamo a sant’Ambrogio. Nel commento al Vangelo di Luca, a riguardo dell’emorroissa parla della sua “brevis fides”, subito compensata dalla misericordia, ma poi la sua attenzione è rivolta più a lungo a considerare il fatto che il perdono sia concesso tanto in fretta, e la scena del buon ladrone si impone: “E’ uno splendido esempio del dovere di aspirare con tutte le forze alla conversione, il fatto che il perdono sia concesso tanto in fretta a un malfattore (quod tam cito latroni venia relaxatur), e il dono superi in abbondanza la domanda (et uberior est gratia quam precatio); il Signore infatti dà sempre di più di quanto gli chiediamo (semper enim plus Dominus tribuit quam rogatur). Quegli pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto al suo Regno, ma il Signore gli rispose: ‘In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso’. Il Signore subito lo perdona, perché colui subito si converte (cito igitur ignoscit Dominus, quia cito ille convertitur).” (In Lucam X, 121-122).

Questa prontezza del perdono è descritta in termini simili anche nel commento al Salmo 37: “Abbiamo parlato del modo in cui il Signore nel momento della vendetta allenti il suo sdegno. Parliamo ora di come egli, nel ricompensare, prevenga la nostra richiesta e chiariamolo con un esempio! Ascolta le parole rivolte al Signore da uno dei due ladroni: Ricordati di me, Signore, quando sarai arrivato nel tuo regno! Ecco la risposta del Signore: In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso! Quello stava ancora pregando che si ricordasse di lui, quando fosse arrivato nel regno, e il Signore già gli concedeva in regno dei cieli. Che misericordia rapida (Quam velox misericordia!)!. E’ più lenta la richiesta di che prega che la concessione della ricompensa (Tardius votum precantis quam remunerantis est praemium)” (Expl. Ps. XXXVII,18).

A quella scena descritta dall’Evangelista Luca, Ambrogio fa altri riferimenti. Nel commento al Salmo 39, può riferirsi così al tentatore: “Egli (il buon ladrone) ha confessato il suo peccato a Cristo, che poteva perdonarlo, perché sulla sua croce ha contemplato con gli occhi dello spirito quel regno di Dio che Giuda nono è riuscito a vedere nella cena di Cristo. Perciò l’invocazione del ladrone è stata seguita da questa parola celeste: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. Esultavi, drago infernale, perché avevi sottratto a Cristo un suo apostolo: ma hai perso più di quanto hai guadagnato, perché ti tocca vedere un ladrone trasportato in paradiso (plus amisisti quam sustulisti, qui latronem vides in paradisum esse translatum). Allora vuol dire che nessuno può esserne escluso, dal momento che un ladrone, un tuo seguace, ne è stato ammesso ed è tornato nel luogo donde tu sei stato cacciato” (Expl. Ps. XXXIX,17).  Sul tema del demonio ingannatore ingannato dalle sue stesse macchinazioni abbiamo già scritto qui: https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/19/loccidente-latino-non-e-da-meno-dopo-romano-il-melode-ambrogio-a-proposito-di-ironia-del-piano-divino/

Un ultima citazione: “Sulla croce, spalancando le sue braccia, ha rialzato tutto il mondo dal suo destino di morte; ha sollevato chi stava a terra ed ha attratto a sé la fede di tutte le nazioni, dicendo all’uomo: Oggi sarai con me in paradiso” (Expl. Ps. XLIII,11).

Ecco perché la chiesa proclama Cristo Re dell’universo: ha rialzato tutto il mondo ed ha attratto a sé la fede di tutte le nazioni.

…concede propitius, ut tota creatura, a servitute liberata, tuae maiestati deserviat ac te sine fine collaudet (concedi propizio che tutta la creazione, liberata dalla schiavitù, serva alla tua maestà e ti lodi senza fine) [Colletta]

Prima ergo pars populi in sacram liturgiam ea est ut….

“…Prima ergo pars populi in sacram liturgia ea est ut recipiat fideliter donum Dei praevenientis, quod est eius verbum…

Se rimane vero che i testi autoritativi del Concilio Vaticano II sono esclusivamente quelli approvati e promulgati dopo l’assenso dei Padri sinodali, è pur sempre utile ed importante studiare anche un’altra serie di documenti che a quelli si riferiscono. Non per cercare un ipotetico “spirito” da opporre alla “lettera”, ma per capire con più proprietà la lettera stessa. Il testo che fa fede è il dettato conciliare, ma se non si conosce in profondità la storia di un documento si rischia di far dire al testo ciò che gli è estraneo. Ancora, crediamo che solo un maggiore sforzo di ricerca e studio documentato potrà mettere fine a polemiche partigiane, che spesso si basano su ipotesi e pregiudizi piuttosto che fondarsi direttamente sulle fonti. Può essere utile, dunque, non solo conoscere i testi e la loro storia, ma anche gli estensori. Testi e testimoni, ripeteva spesso a lezione il compianto prof. Triacca. Che questa attenzione occorra oggi è evidente dal fatto che in certa letteratura traspare sì una formale adesione al testo conciliare, accompagnata tuttavia da un neanche tanto celato sospetto nei confronti di chi ne curò più da vicino la redazione. Esasperando un pochino tale atteggiamento, riassumendolo forse in modo troppo brutale, si ritiene che i periti che prepararono Sacrosanctum Concilium avessero dissimulato o temperato le loro ossessioni riformatrici prima e durante la fase sinodale, per poi scatenarsi di nuovo negli anni della concreta applicazione dei principi promulgati solennemente, con solo 4 voti contrari, dai vescovi del Vaticano II. Non credo sia oziosa accademia, pertanto, offrire un altro piccolo dettaglio della storia redazionale di SC, per amore della liturgia e della verità, e per una migliore comprensione della portata e del senso di quanto la costituzione liturgica afferma.

Già avevamo commentato alcune declarationes, ossia i testi che la Commissione Liturrgica Preparatoria aveva disposto come integrazione esplicativa ai numeri della Costituzione, alcuni di essi così stringati da non essere del tutto chiari. La Commissione Centrale optò di non mantenere tali note nel testo distribuito ai Padri, anche se poi durante le sessioni conciliari vennero richieste e rimesse a conoscenza dei vescovi.

Della declaratio che accompagnava il nostro numero 35 abbiamo già fornito riscontro in un post precedente (cf. https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/30/piu-luce-sulla-sacrosanctum-concilium-un-esempio/).

Riguardando alcune carte, abbiamo scoperto un dettaglio ulteriore. Si sa che il primo capitolo della Costituzione, nella sua prima stesura completa, fu affidato a p. Cipriano Vagaggini. La composizione del testo tenne conto, evidentemente, di tutto il materiale presentato e discusso alla plenaria della Commissione liturgica, nell’aprile del 1961. Vagaggini, su indicazione della segreteria, fece sintesi dei contributi delle varie sottocommissioni, servendosi anche materialmente dei testi prodotti. Nella declaratio in questione è evidente questa commistione. La prima parte del testo si può attribuire – non lo possiamo dimostrare ora – allo stesso Vagaggini, mentre la seconda parte appare molto debitrice, in alcuni passaggi lo è alla lettera, del testo della Sottocommissione IX, quella incaricata di studiare le questioni legate alla partecipazione dei fedeli nella liturgia. “Partecipazione” è una delle tante espressioni al centro di dibattiti e polemiche, spesso a sproposito. Pare assai riduttivo presentare l’opera della riforma come un desiderio di “far fare qualcosa a tutti”, riempiendo l’azione liturgica di interventi di svariato genere e delle più disparate ministerialità da affiancare al ministero del sacerdozio ordinato. Non era questa l’intenzione, la mens, degli estensori. Leggere poche righe di questo testo sarà sufficiente mostrare come la visione di SC sia del tutto estranea a questi maldestri tentativi di ridurre la liturgia ad un fare, e dovrebbe renderci un po’ più cauti nell’attribuire tutti i mali ad un presunto estremismo rivoluzionario, che secondo alcuni – male informati – pervadeva tutti i periti conciliari. Notiamo, questa era una parte del testo della Sottocommissione De participatione!

Offriamo prima una nostra traduzione in italiano, seguita da una tabella di comparazione con i testi originali in latino.

PONTIFICIA COMMISSIO DE SACRA LITURGIA

PRAEPARATORIA CONCILII VATICANI II

SUBCOMMISSIO DE PARTICIPATIONE FIDELIUM IN SACRA LITURGIA (IX)

[…]

Principi essenziali a riguardo della partecipazione dei fedeli nella sacra liturgia.

Per confermare l’impulso dato dai pastori, affinchè sempre di più sia il clero che il popolo abbia parte nella sacra liturgia, il santo Concilio promulga le seguenti regole.

I. In qualsiasi azione liturgica deve essere ascoltata una lettura della Parola di Dio.

Ogni volta che il Signore voleva radunare insieme il popolo che si era scelto, popolo che desiderava colmare con tutti i doni della sua munificenza, prima ad esso si rivolgeva, per ottenerne il pieno assenso della fede. Così, appunto, agiva un tempo parlando ai padri per mezzo dei profeti; così, di nuovo, ultimamente in questi giorni, parla a noi per mezzo del Figlio. D’altra parte nei sacri riti la stessa dispensazione della salvezza continua nel sacramento [di nuovo la vera continuità, ndr]. Dunque la prima parte del popolo nella sacra liturgia è quella di ricevere fedelmente il dono di Dio preveniente, che è la sua parola. D’altra parte la fede si nutre per mezzo dell’ascolto della parola di Dio proclamata dalla Chiesa nella liturgia.

Pontificia Commissio De sacra Liturgia Praeparatoria Concilii Vaticani II,

Documenta sessionis plenariae mensis aprilis 1961, Relationes subcomissionum, De Fidelium Pariticipatione in sacra Liturgia.

(ASV, Conc. Vat. II, Busta 1369)

Testo della Sottocommissione

Testo della declaratio (Vagaggini)

PONTIFICIA COMMISSIO DE SACRA LITURGIA

PRAEPARATORIA CONCILII VATICANI II

SUBCOMMISSIO DE PARTICIPATIONE FIDELIUM IN SACRA LITURGIA (IX)

[…]

Altiora principia de participatione fidelium in sacra liturgia

Ad firmandum impulsum a pastoribus datum, ut magis ac magis tam clerus quam populus partem habeat ad sacram Liturgiam, sanctum Concilium sequentes regulas promulgat.

I. In qualibet liturgica actione lectio sacrae scripturae auscultari debet.

Quotiescumque Dominus coadunare volebat populum a se electum, quem optabat omnibus donis munificentiae suae cumulare, prius illum allocutus est, ut plenum fidei assensum ab eo obtineret. Ita quidam egit olim loquens patribus in prophetis; sicque iterum novissime diebus istis, dum loquebatur nobis in Filio (Hebr. 1,1). Porro in sacris ritibus ipsamet salutis dispensatio in sacramento perseverat. Prima ergo pars populi in sacram liturgia ea est ut recipiat fideliter donum Dei praevenientis, quod est eius verbum. Porro fides inprimis alitur per auditum verbum Dei in liturgia ab Ecclesia proclamati. Multi nostri aevis cristiani verbum Dei non possunt audire nisi in sola liturgica actione. Unde enixe commendat Sancta Synodus ut in sacra Liturgia ea quae leguntur, quamquam linguis diversis utuntur more et jure suo diversi ritus, in lingua populi actu adunati eo modo recitentur quo hic audiat et intelligat. […]

[…]

Ideo celebratio liturgica praeexigit fidem vehementer postulat etiam actualem excitationem fidei in praesentibus. Fides vero est assensus propter auctoritatem Dei revelantis iis quae Deus revelat et Ecclesia proponit credenda: sive est assensus verbi Dei ab Ecclesia proclamati. Revelatio vero Dei praeprimis in Scriptura continetur. […]

Accedit exemplum Christi. Nam quotiescumque Christus coadunare volebat populum a se electum, ut donis suae munificentiae illum cumularet, prius illum alloquebatur ut plenum fidei assensum obtineret. Ita quidem egit olim Deus loquens patribus in prophetis sic iterum novissimis diebus istis dum loquebatur nobis in Filio.

Porro in sacris ritibus ipsamet salutis disponsatio in sacramento perseverat. Primum ergo quod populous in sacra liturgia facere debet est fideliter donum gratiae Dei praevenientis recipere, quod est verbum ipsius.

[…]

Multi nostri aevi christiani de facto verbi Dei audire non possunt nisi in sola actione liturgica.

La vera “continuità”, quella dell’operare “multifariam et multis modis” di Dio

E’ certamente urgente tentare di dipanare ulteriormente, con l’aiuto dei testi, la questione dell’interpretazione del Concilio Vaticano II. Tuttavia, rimane difficile, e lo si è visto, non cadere in discussioni polemiche e contrapposizioni ormai troppo schematicamente schierate. Il lavoro di paziente esame delle fonti, preceduto dal loro completo reperimento e contestualizzazione, è, appunto, lungo e non può reggere il ritmo di un contradditorio o di risposte a questioni sollecitate con tempi immediati.

Probabilmente si può già etichettare il minuscolo contributo di questo blog, e chi scrive è sempre più convintamente grato all’evento conciliare, ai Pontefici che ne guidarono, prima uno e poi l’altro, la fase preparatoria e sinodale, e ai Pontefici che ne seguirono e ne seguono fino ad oggi l’applicazione. Sebbene questo spirito traspaia, immagino, da quanto qui si scrive, la nostra finalità non è quella di “difendere” il Concilio o la riforma che ne seguì. Anche questo, ma non propriamente e non direttamente.

Ci interessa, eccome, obbedire a Sua Santità Benedetto XVI quando chiedeva uno studio del Vaticano II secondo l’ermeneutica della continuità, non attribuendo all’assise conciliare, e a quanto ne seguì, intenzioni di rottura radicale e totale rispetto a quanto della vita della Chiesa la precedette.

Ma credo sia ancora più rilevante, e interessante, mostrare e commentare insieme una ben più qualificata “continuità”, quell’agire di Dio nella storia, nei diversi tempi e modi della sua opera di salvezza. Maestro in questa ricerca delle tracce del Signore, tentando di ritrovare i segni del suo “stile caratteristico” ci è, fra altri, il card. Jean Daniélou.

Oggi riportiamo un brano di un suo libretto, provvidenzialmente ripubblicato in italiano nel 2011. Il tema dello studio è la realtà, «il segno», del Tempio, ed esso viene articolato nelle seguenti scansioni: I – Il Tempio cosmico; II – Il Tempio mosaico; III – Il Tempio di Cristo; IV – Il Tempio della Chiesa; V – Il Tempio profetico; VI – Il Tempio mistico; VII – Il Tempio celeste. E’ davvero mirabile la profondità agile con cui l’autore ci conduce dal principio della creazione alla vita incorruttibile del Paradiso, infondendo desiderio di corrispondere con slancio al provvidente ed efficace piano divino, che riempie la storia e il mondo del suo amore e della sua presenza.

Eccone alcuni passaggi assai significativi:

 

L’abolizione dell’ordine antico ha un significato positivo. Toglie le imperfezioni dell’ordine antico, ne conserva le ricchezze: nulla è perduto, tutto è ripreso; è una pura promozione, un progresso assoluto. E come il Tempio di Gerusalemme prolungava il Tempio cosmico sostituendosi ad esso, così la Chiesa prolunga il Tempio gerosolimitano ed il Tempio cosmico. Essa offre il nuovo sacrificio secondo i costumi rituali antichi.

La Messa contiene così tutte le dimensioni del tempo e dello spazio, del cosmos e della storia. Essa ci fa ritrovare nelle profondità della nostra memoria ancestrale il primo gesto religioso dell’umanità, l’offerta del pane e del vino, quella di Melchisedech, il sommo sacerdote del Tempio cosmico ed esso diviene il sacramento del suo sacrificio: «[…] Sicuti accepta habere dignatus es munera pueri tui iusti Abel, et sacrificium Patriarchae nostri Abrahae: et quod tibi obtulit summus sacerdos tuus Melchisedech». Essa ci risentire, sulla soglia del Santo dei Santi – «Ad Sancta Sanctorum puris mentibus mereamur introire» – il timore mosaico nella sua alta espressione: «Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth». Tutto qui è riunito, restituito al suo significato, ricondotto a Dio dal Cristo: «Per quem haec omnia Domine, semper bona creas […]». Essa ci rende testimonianza, al momento dell’epiclesi, della discesa del fuoco che viene, consumando le vittime di carne presentate da Elia sull’altare, ma un fuoco spirituale, Spirito Santo che discende a purificare i nostri cuori ed a consacrare la comunità di cui l’ostia è il sacramento. «[…] Ut quotquot ex hac altaris participatione sacrosanctum Corpus et Sanguinem sumpserimus omni benedictione caelesti et gratia repleamur».

Quello che è vero della Messa, lo è di tutto l’ordine ecclesiale. […] Quale mano, se non la stessa di colui che ha detto che era venuto per dar compimento a tutto, ha raccolto con tanta diligenza tutte le briciole del banchetto antico senza nulla lasciar cadere e ne ha fatto i segni ed i sacramenti in cui avrebbe infuso la vera Vita? […] E’ ben chiaro che non è un caso, ma un’evidente intenzione divina che ha messo in rapporto i grandi misteri della Rivelazione di Cristo con le feste ebraiche, sottolineando anche che queste erano simboli di quello che doveva venire; d’altro canto non c’è nessuna possibilità di ridurre il mistero cristiano a ciò che lo precede: esso è totalmente nuovo; e nello stesso tempo questa novità radicale si inserisce in una Tradizione, afferma una continuità, un’unità del piano divino. Se la parola “storia” ha un significato, se significa ad un tempo e un progresso assoluto e una fede in questo progresso, che lo rende intellegibile, è qui e solo qui il caso di applicarlo. Ed esso rivela la presenza di Dio.[…] Otto riconosce tale presenza di Dio nel tempo, dopo quella nello spazio, nel suo libro sul Sacro: «Colui che si immerge nella contemplazione di quella grande continuità che noi chiamiamo l’antica alleanza fino a Cristo, sentirà quasi per forza nascere in lui l’intuizione che vi regna qualcosa di eterno». La lettura della Scrittura è questa contemplazione della presenza di Dio nella storia. Il cosmos e la Bibbia sono i due grandi templi dove Dio si nasconde sotto i segni, sotto il velo del Tabernacolo: la morte di Cristo lacera il velo, rivela il loro significato, ci mostra la sua presenza nascosta sotto i simboli. E’ questo il motivo per cui la meditazione della Scrittura era l’unica occupazione dei Padri. Non si trattava di un semplice studio, ma di una vera contemplazione di Dio presente nella sua Scrittura, conosciuto in una nuova incarnazione della sua umanità.

Jean Daniélou, Il segno del Tempio, Siena 2011

(orig. Le signe du temple ou de la présence de Dieu, Paris 1990)

p. Giulio Bevilacqua, Luglio 1961

Questa mattina mi è capitato un fatto, un piccolo dettaglio certo, ma curiosamente coincidente con alcune cose scritte qui nei giorni passati. Per tutt’altri motivi ho ripreso in mano l’edizione che posseggo del saggio di R. Guardini, Lo spirito della liturgia. Si tratta della settima edizione (1996) della versione italiana edita da Morcelliana (1930). Il volumetto, che racchiude anche un’altra opera dello stesso autore, I santi segni, riporta la prefazione alla quarta edizione. Quando lessi per la prima volta Lo spirito della liturgia probabilmente non sapevo chi fosse il curatore della prefazione, né, sicuramente, potevo immaginare in che temperie esso si trovasse mentre preparava tale piccola introduzione. La firma, dunque, della prefazione è di Giulio Bevilaqua, e la data è il luglio 1961.

Per i lettori del blog, se hanno letto alcuni post precedenti, il nome e la data dovrebbero significare qualcosa.

In quel luglio 1961 si stava componendo la prima redazione completa dello schema di costituzione liturgica. Dal 12 al 22 aprile dello stesso anno si era tenuta, a Roma, la seconda riunione plenaria della Commissione preparatoria De liturgia, che aveva visto le 13 sottocommissioni in cui si era articolata presentare ciascuna il frutto del suo lavoro. La Segreteria della Commissione si sarebbe fatta carico di sintetizzare e di armonizzare in un tutto organico quanto venne presentato, discusso e approvato dei lavori delle specifiche sottocommissioni. Giulio Bevilacqua in quella fase ebbe un ruolo assai rilevante, come si è cercato di mostrare con gli articoli precedenti. Il padre oratoriano sarà poi invitato a Roma dall’11 al 13 ottobre 1961, perché vi era necessità di ridiscutere in modo particolareggiato il proemio e il primo capitolo delle bozze di costituzione, che erano state spedite ad ogni membro, e quindi anche a Bevilacqua, il 10 agosto. Preferirà però rimanere a Brescia, per impegni pastorali nella sua parrocchia.

Si tratta, come si vede, di mesi cruciali e di intensa attività. Penso che con questa luce il testo che p Bevilacqua preparò per la nuova edizione dell’opera di Guardini assuma una nota particolare. Ne riproduco alcuni passaggi:

«Quando nel 1919 venne pubblicato in Germania questo saggio di Guardini su lo Spirito della liturgia, il movimento liturgico stava pericolosamente attraversando la sua crisi di adolescenza secondo le grandi leggi della vita: la legge della crescita, della complessità, della lotta con l’ambiente. Le opposizioni provenivano da ogni direzione: dall’interno del mondo religioso e dall’esterno, dalla cultura, dalla pietà, dal mondo dell’azione. La natura e il serrarsi delle forze avverse indusse qualcuno a definire il movimento liturgico: primavera senza estate. Il contesto umano del primo ventennio del XX secolo concorreva fortemente a rendere più probabile simile profezia di sterilità e di morte. In realtà l’umanità stava generando nella pena un’epoca nuova nella quale l’uomo aveva cessato di guardare a Dio per concentrarsi esclusivamente sopra se stesso convinto di poter, in tal modo, meglio usufruire di tutte le sue possibilità in vista di un compimento del suo destino terrestre. L’uomo – non più Dio – diveniva il centro d’interesse della vita; ma – un uomo non più rassegnato nella propria indigenza metafisica, ma deciso a diventare: auto creatore e auto redentore. Questa la nota specifica della nuova epoca: l’uomo si spogliava del divino e quindi dell’eterno. […] In tale atmosfera invadente, quale senso e importanza poteva avere per l’ambita promozione dell’uomo un mondo immobilista e crepuscolare di simboli e di riti? Quale comunicazione possibile tra un’era specificata dalla velocità afferrante anime e corpi, e la liturgia gelosa non solo dell’immobilità del sacro, ma ancora della lingua, del gesto, del simbolo che lo esprimono? […]

Solamente il rinnovamento degli studi biblici, storici, patristici, ecclesiastici, indusse molti studiosi, nella seconda metà del secolo scorso, a riesaminare l’immenso patrimonio liturgico che le abbazie benedettine avevano non solo custodito, ma amorosamente tradotto in vita nel loro mirabile colloquio quotidiano con Dio. E di tale patrimonio si cominciò a precisare il nucleo essenziale iniziale, gli sviluppi logici e vitali, le sovrapposizioni e deformazioni di uomini e di tempi più intenti ad allargare il culto della personalità che il culto di Dio. Questo lavoro di indagine critica e di approfondimento della sapienza liturgica si incontrò con la grande ansia pastorale del XX secolo. […]

Perché il grande culto tradizionale che ha formato, nutrito, cresciuto generazioni eroiche oggi è arrivato a tal punto di estraneità e di opacità per gli uomini del XX secolo? Perché l’autentico mistero della Parola del Sangue di Cristo non realizza più la salvezza del mondo? La riposta venne dallo studio e dall’esperienza, dall’università e dalla parrocchia, dallo Spirito che non cessa di animare la Chiesa e dallo zelo per la casa di Dio che bruciava nel cuore di pastori d’avanguardia: perché epoche di staticità e di stanchezza hanno rifiutato ogni fatica di adattamento del culto a un’umanità che, pure restando identica a se stessa, non cessa di mutare e di evolversi secondo la legge del tutto – perché troppi rubricisti chiusi in se stessi hanno soffocato il culto in spirito e verità quale venne profetato a Sicar e precisato a Corinto da Paolo: “Pregherò con lo spirito ma pregherò anche con l’intelligenza”. Così in ambiente turbato e polemico – tra archeologi immobilisti e innovatori ignari del punto di arrivo delle loro riforme – tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti sprezzanti e diffidenti d’ogni gesto esteriore – tra individualisti che guardano al divino solo per mezzificarlo al servizio del proprio egoismo, e gregarismi solo assertori di un’assemblea ove ogni slancio personale a Dio è eliminato, tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che impurità in ogni incarnazione – in tale ambiente problematico e arroventato appare quest’opera di Guardini.

[…]

La sapienza liturgica ha preceduto da secoli quest’arte di sintesi, non per esprimere la storia della perdizione ma la storia della salvezza. Sono finite le sue divine e umane possibilità? Guardini, tra i primi, i più veggenti, non esita a rispondere: no, perché la liturgia è Cristo operante nel tempo e nello spazio, e dove è Cristo non vi è perdizione.»

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Liturgia, semper res viva pro populo vivo

In post precedenti abbiamo offerto qualche scorcio sui testi, relativi alle primissime fasi di elaborazione di Sacrosanctum Concilium, di alcuni dei periti che vi furono preposti. In particolare, si è accennato brevemente ad alcuni dei membri della prima Sottocommissione, a cui si deve, almeno nelle prime tappe, l’idea del Proemio e del primo Capitolo della Costituzione.

Il lavoro di elaborazione e di redazione fu, tuttavia, molto collegiale e aperto. Gli specifici lavori delle 13 Sottocommissioni preparatorie si arricchirono mutuamente, e testi e intuizioni degli uni, venivano integrati nei testi preparati da altri periti.

Questa benefica contaminazione è evidente più che mai per quel che riguarda il contributo di padre Vagaggini. E’ stato segnalato nel post precedente lo studio di s.Elena Massimi, ed abbiamo saputo con vivo compiacimento che è in preparazione un nuovo saggio a riguardo. In attesa di questa ulteriore possibilità di conoscere con più profondità testi e testimoni di quei momenti cruciali, vorremo anche noi mettere a disposizione alcune informazioni e parti di documentazione ancora inedita.

P. Vagaggini non fece parte della compagine della Prima Sottocommissione, quella con tema di studio più generale e teologico, anche se poi, di fatto, entrò in modo assai rilevante nei lavori di stesura della prima parte della Costituzione – nella tappa successiva, ossia dopo la plenaria della Commissio De Liturgia Praeparatoria dell’aprile 1961 [si vedano gli articoli di Braga dedicati, su Ephemerides Liturgicae, al primo capitolo di SC].

Ma nei suoi contributi ai lavori di altre Sottocommissioni, benchè più particolari, non riuscì a fare a meno di premettere a considerazioni più specifiche, parti introduttorie più generali. I testi di Vagaggini sono piuttosto prolissi, ma assai significativi per capire la mens dei periti che lavorarono alla preparazione del Concilio, e qui in particolare dello schema della Costituzione.

Vagaggini, in quanto membro, fra l’altro, della Commissione V De Sacramentis et Sacramentalibus venne richiesto di rispondere ad un questionario predisposto dal relatore, Mons. M. Righetti, appunto su questo tema. La sua risposta è contenuta in un fascicolo di ben 45 pagine, di cui s.Elena ci dà un’ampia visione.

A parziale integrazione e rimandando al suo studio e a quello di Baroffio per l’inquadramento storico generale, di quello stesso testo del Vagaggini offriamo qui alcuni brevissimi paragrafi, con lo scopo di mostrare se sia vera e giusta la critica che spesso viene mossa all’intera compagine dei periti che prepararono la riforma liturgica, quella di essere innovatori irrispettosi della tradizione, esaltati e presuntuosi artefici di liturgie ideate in laboratori, cultori di archeologia ed estetica liturgica fine a se stessa.

Il testo è, ovviamente, in latino; ci siamo permessi di offrire una nostra traduzione, per favorire una più diffusa comprensione dell’originale, che è l’unico ad avere valore di documentazione scientifica.

 «§1. Natura simul traditioni obstricta et progressui obnoxia liturgiae in genere

1) Expositio doctrinae

[…] Si tamen eveniat consensionem, quae de se semper existere deberet, inter formas mutabiles traditi cultus et modus quo populus christianus orat ac religiose sentit, aliquo temporis momento deficere vel languiscere – sive hoc sit ex culpa ipsius populi eiusque pastorum, sive, citra ipsorum reprehensionem, ex mutatis circumstantiis vitae individuorum aut societatis, vel etiam ex imperfectionibus quae decursu temporum in ipsos ritus et textus irrepserunt – liturgia, quia semper res viva pro populo vivo, etiam historia teste, non timet has formas recognoscere, emendare et, si necesse sit, etiam novas, pro novis circumstantiis creare.

[…]

Hac praecipue lege de conservatione et progressu liturgiae, reformationem, a S. Sede in re liturgica ultimis his temporibus peractam, ductam fuisse manifestum est. Eadem lege recognitionem sacramentorum et sacramentalium fieri debere uti inconcussum fundamentum ponatur.

             2) Normae practicae generales inde sequentes.

             1. Recognitio fundetur in scientifica accurata cognitione: theologiae singulorum sacramentorum et sacramentalium; structurae et mentis liturgiae in genere; convenientiae aut disconvenientiae hodiernarum formarum rituum et textum cum hodiernis veris pastoralibus necessitatibus populi christiani.

            2. Absit timor, ubi res, ad finem sacramentorum melius obtinendum, necessaria videtur, non solum ritus et textus emendandi, sed etiam nova – sive ex toto sive ex quaedam prudenti imitatione aliarum liturgiarum – creandi, dummodo hoc sit ad mentem traditionis et liturgiae in genere. Nam non est existimandum brachium Domini esse hodie breviatum.

            3. Deleatur, inter alias, quidquid in hodierno statu rituum aut textuum momentum solum archeologicum habet uti vestigium rei praeteritae cui hodie re vera nihil respondet aut respondere potest. Exempli gratia, in ritu baptismatis parvulorrum tollatur quidquid sensum non habet nisi supponatur ritus initiationis adulti successivis temporibus distributus. Item deleatur quidquid sapit vanam apparentiam cui non demostratur aliquid rei respondere: v. g. exorcismi in ordine “supplendi omissa super infantem baptizatum”, vel “super adultum baptizatum”; item imitatio consecrationis episcopalis in ritu benedictionis abbatum» (ASV, Conc. Vat. II, busta 1359).

 «La natura generale della liturgia, vincolata alla tradizione e aperta al progresso

[…]  Se è pur vero che si dia armonia, che di per sé dovrebbe sempre esistere, tra le forme mutabili del culto, così come è trasmesso, e il modo con cui il popolo cristiano prega e sperimenta e vive la religiosità, in qualche periodo di tempo manca e languisce, sia per colpa dello stesso popolo e dei suoi pastori, sia indipendentemente da una loro critica, dalle mutate circostanze della vita degli individui e della società, o anche per imperfezioni che con l’andare dei tempi si sono insinuate negli stessi riti e testi, la liturgia, poiché è sempre una realtà viva per un popolo vivo, non teme, e la storia ne è testimone, di esaminare, correggere queste forme e, se fosse necessario, crearne anche di nuove per le nuove circostanze.

[…] E’ chiaro che la riforma, portata a termine in questi ultimi tempi dalla S. Sede in ambito liturgico, è stata mossa specialmente da questa legge della conservazione e del progresso della liturgia. Si stabilisca che con la medesima legge, come fondamento costante, debba essere fatta la revisione dei sacramenti e dei sacramentali.

 1. La revisione sia fondata su una conoscenza scientifica accurata:

della teologia dei singoli sacramenti e sacramentali; della struttura e dello spirito della liturgia in genere; della convenienza, o meno delle odierne forme dei riti e dei testi con le autentiche necessità pastorali del popolo cristiano.

2. Non si abbia timore, qualora si dia il caso, per raggiungere meglio la finalità dei sacramenti, di non solo emendare i riti e i testi, ma anche di crearne di nuovi, sia del tutto sia con qualche prudente imitazione di altre liturgie, purchè ciò sia secondo lo spirito della tradizione e della liturgia in genere. Infatti non si deve pensare che il “braccio del Signore” sia oggi “accorciato”.

3. Fra le altre cose, sia eliminato tutto ciò che, allo stato attuale dei riti e dei testi abbia una importanza solamente archeologica, come traccia di cose passate a cui oggi non corrisponde, o non può corrispondere, nulla di autentico. Per esempio, nel rito del battesimo dei fanciulli sia tolto tuttociò che non ha senso se non supponendo il rito dell’iniziazione degli adulti distribuito in tempi successivi. Allo stesso modo sia eliminato quanto sappia di vana apparenza a cui non si dimostra corrispondere alcunché: ad es. gli esorcismi nell’Ordo per supplire agli omissa su un bambino o su un adulto battezzato; così pure l’imitazione della consacrazione episcopale nel rito di benedizione degli abati».

Devo infine fare una rettifica, chiarendo alcuni aspetti relativi ai post “Esegesi liturgica”, e alle corrispondenti osservazioni ricevute dall’autore che avevo citato. In effetti, come mi risponde M. Gagliardi, nel paragrafo in questione l’autore non specificava a cosa alludesse con l’espressione “sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare”. Io ho ingiustamente attribuito all’autore un’allusione alla recita silenziosa del Canone Eucaristico. Di questo, onestamente, devo chiedere scusa e riconoscere il mio errore e l’infondatezza della mia polemica. Ad onore del vero, però, e a mia parziale giustificazione un riferimento più esplicito al silenzio della preghiera del Canone nel suo studio viene fatto, anche se molte pagine dopo: “La Messa di san Pio V valorizza molto il silenzio, prevedendo diverse orazioni dette in segreto dal sacerdote, come pure la grande preghiera del Canone. Forse in futuro si potrebbero creare le condizioni per una revisione di questo aspetto, perché la ‘forma straordinaria’ del rito romano non sia una liturgia troppo silenziosa, ma l’intuizione di fondo è giusta: il canone – e la liturgia in generale – non sono annuncio e catechesi. La liturgia della parola è annuncio (le letture) e catechesi (l’omelia) e perciò deve essere chiaramente udibile. Le preghiere invece sono parole rivolte a Dio, e perciò non è necessario che siano sempre e in tutti i casi percepibili all’orecchio” (p. 200). Ho sovrapposto parti distinte del suo saggio, sovrapponendo elementi che l’autore non ha esplicitamente inteso associare. I lettori mi perdonino. Quanto viene scritto sul blog, ad eccezione evidentemente dei commenti, è sempre attribuibile a me, Marco Felini.

“Auctoritates” conciliari

Se si potesse con facilità accedere e studiare la mole di documentazione prodotta nelle fasi di preparazione e redazione della Costituzione conciliare sulla Liturgia, probabilmente ci sarebbero state risparmiate interpretazioni tanto pellegrine quanto faziose e inficiate da pregiudizi.

Abbiamo dedicato vari post alla Subcommissio I (De mysterio sacrae Liturgiae…) nella fase Preparatoria della redazione di Sacrosanctum Concilium, subcommissio a cui si deve per gran parte il proemio e il primo capitolo di SC. In un recente e notevolissimo studio, Sr. Elena Massimi ha mostrato come grazie al pensiero e all’opera di un altro grande che influì notevolmente sulla prima parte della Costituzione, san Tommaso e le sue categorie siano entrate nel testo conciliare. Da non lasciarsi sfuggire quindi E. Massimi, “Cipriano Vagaggini, teologo di Sacrosanctum Concilium”, in Il Concilio Vaticano II e la liturgia: memoria e profezia (Atti della XL Settimana di studio dell’Associazione professori di Liturgia. Rocca di Papa, 27-31 Agosto 2012), ed. P. Chiaramello, Roma 2013, 127-182.

Se quindi taluni affermano che il Reno (con tutto quello che a livello di suggestioni protestanti suggerisce tale espressione geografica) è confluito nel Tevere, riferendosi al blocco di vescovi e periti a parer dei suddetti critici vicini alle posizioni della riforma, dobbiamo riconoscere che altri periti che ebbero influssi importanti nella fase redazionale dei documenti conciliari non erano affatto digiuni di impostazione e contenuti tomisti.

Tornando ora ai lavori della commissione I, di cui abbiamo riportato alcuni documenti in post precedenti, può essere interessante riportare alcuni dei riferimenti allegati al testo proposto. Nel fascicolo presentato alla segreteria della Commissione preparatoria de Liturgia, la subcommissione allega anche un fascicolo dattiloscritto di 6 pagine di “Auctoritates” (ASV, Conc. Vat. II., busta 1359). In questa raccolta di testi, che sono genericamente riferiti al primo o al secondo capitolo del testo proposto come schema dottrinale, non ci sono citazioni della Scrittura, ma solo testi patristici, della liturgia e del Magistero. Riproduciamo ora solamente i testi patristici (per il testo del documento a cui si riferiscono queste citazioni, si veda https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/12/ritrovare-il-grande-soffio/.

Ad caput I Schematis de doctrina

 

– “quod itaque redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivitS. Leo M., Sermo 74,2;

– “Faciem ad faciem te mihi, Christe, demonstrasti; in tuis te invenio sacramentisS. Ambrosius, Apologia prophetae David, 12,58 

– “Omnia igitur quae Dei Filius ad reconciliationem mundi fecit et docuit, non in historia praeteritarum actionum novimus, sed etiam in praesentium operum virtute sentimus S. Leo M., Sermo 50,6  “Tutte le cose dunque che il Figlio di Dio fece e insegnò per la riconciliazione del mondo, noi non le conosciamo solo dalla narrazione accurata di eventi passati, ma le percepiamo anche nella potenza di opere presenti”.

– “ quando ipsa rerum dignitas, ita sacratorum dierum recursu et paginis evangelicae veritatis exprimitur, ut Pascha Domini non tam praeteritum recoli quam presens debeat honorari”. S. Leo M., Sermo 51,1 “ora che proprio la grandezza di quelle realtà viene espressa dalla ricorrenza dei giorni sacri e dalle pagine autentiche del vangelo, così che la Pasqua del Signore non sia ricordata come un evento passato, ma sia celebrata come un evento presente”.

– “Reparatur enim nobis salutis nostrae annua revolutione sacramentum”. S. Leo M., Sermo 2,1 “con il ciclo liturgico annuale ci viene reso presente il mistero della nostra salvezza”.

– “Quando autem, dilectissimi, opportunius ad remedia divina decurrimus, quam cum ipsa nobis sacramenta redemptionis nostrae temporum lege referuntur?S. Leo M. Sermo 3o,3 “Ma in quale momento, o carissimi, è più opportuno ricorrere ai divini rimedi se non quando, in conformità del ciclo liturgico, ci vengono riproposti i misteri stessi della nostra redenzione?”.

– “Evangelicae nos et propheticae adiuvant voces, quibus ita accendimur et docemur, ut nobis Nativitatem Domini, qua Verbum caro factum est, non tam praeteritam recolere, quam praesentem videamur inspicereS. Leo M., Sermo 9,1 “ci soccorrono le parole del Vangelo e dei profeti: esse infiammano il nostro spirito e ci insegnano a sentire che la nascita del Signore, nella quale il Verbo si è fatto carne, non la celebriamo come un avvenimento passato quanto piuttosto la intuiamo farsi presente”.

Ad caput II Schematis de doctrina

– “Implendum est opere quod celebratum est sacramentoS. Leo M. Sermo 57, 4 “Ma bisogna nondimeno compiere con le opere ciò che è stato celebrato nel sacraemento”.

– “Quod festo honoratur moribus celebreturS. Leo M. Sermo 58,1 “nella condotta si celebri quanto con la festa si onora”.

– “Non enim aliud agit participatio corporis et sanguinis Christi, quam ut in id quod sumimus transeamus; et in quo commortui, et consepulti, et conresuscitati sumus, ipsum per omnia et spiritu et carne gestemusS. Leo M. Sermo 50,7 “Altro non opera infatti la partecipazione del corpo e del sangue di Cristo se non trasformarci in ciò che prendiamo, e una volta che in lui anche noi siamo morti, anche noi sepolti, anche noi resuscitati, lo portiamo dappertutto con lo spirito e con la carne”.

– “Haec Domini nostri opera non solum sacramentum nobis utilia sunt, sed etiam imitationis exemplo, si in disciplina ipsa remedia transferantur, quodque inpensum est mysteriis, prosit et moribusS. Leo M. Sermo 5,6 “Queste opere del Signore nostro, carissimi, ci sono utili non solo per il loro mistero, ma anche per l’esempio che propongono alla nostra imitazione, a condizione che questi rimedi vengano a costituire la nostra norma di vita, e ciò che è stato compiuto nei misteri giovi anche alla nostra condotta morale”.

– “Ab omnipotenti medico duplex nobis miseris re medium praeparatum est cuius aliud est in sacramento; aliud in exemplo; ut per unum conferantur divina, per aliud exigantur humana. Quia sicut Deus iustificationis est auctor, ita homo devotionis est debitorS. Leo M. Sermo 54,5 “Dall’onnipotente medico un duplice rimedio fu preparato per i miseri: uno consiste nel sacramento, l’altro nell’esempio. Per mezzo del primo vengono comunicati i doni divini, per mezzo dell’altro viene richiesto l’impegno umano. E ciò perché, se da una parte Dio è l’autore della nostra giustificazione, dall’altra l’uomo gli è debitore della sua devozione”.

– “Unde Salvator noster Dei Filius universis in se credentibus sacramentum condidit et exemplum : ut unum apprehenderent renascendo, alterum sequerentur imitandoS. Leo M. Sermo 50,3 “Così il Salvatore nostro, il Figlio di Dio, ha stabilito per tutti coloro che credono in lui un sacramento e un esempio, di modo che rinascendo facciano proprio il primo, e seguano l’altro imitando”.

– “Solemnitates martyrum, exhortationes martyriorumS. Augustinus, Sermo 47

San Tommaso con Vagaggini, il meglio della teologia liturgica di san Leone Magno con Jenny, Martimort e Bevilacqua. Non poggiavano su scuole teologiche innovative gli estensori della prima parte di SC. In altri post indicheremo gli altri riferimenti scovati in un esiguo fascicoletto conservato nel fondo Vaticano II dell’Archivio Segreto Vaticano.

 

“Esegesi liturgica”, risposta dovuta

Rimango positivamente sorpreso di ricevere un commento ad un mio post  [https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/30/esegesi-liturgica/] da parte dell’autore del saggio, di cui si aveva commentato alcune pagine. Considero un onore l’attenzione riservata a questo piccolo e modesto blog. Per garantire la giusta visibilità al commento ricevuto, lo riporto in evidenza qui sotto.

Non essendo firmata, immagino che l’osservazione critica ad un aspetto marginale del mio libro “Liturgia fonte di vita” sia del curatore di questo blog.
Ringrazio per l’attenzione prestata alla mia opera. Ritengo, però, che la critica non colga nel segno, perché esegesi liturgica è sì quello che indica il mio critico, ma è anche una rilettura della Scrittura per quanto può indicare a livello rituale. Simile esegesi liturgica è sempre stata operata ed ha avuto un influsso enorme sui riti.
Due anni dopo la pubblicazione del mio libro, Inos Biffi ha pubblicato un articolo sull’Osservatore Romano dal titolo “Il vento lieve dell’Eucaristia” (15.07.2011) in cui, tra le altre cose, riporta la lettura data da san Bonaventura del medesimo passo biblico, la cui interpretazione mi si contesta come scorretta. San Bonaventura aveva già letto l’episodio dell’Oreb in chiave eucaristica (cosa che ignoravo quando ho scritto il libro, come prova la differenza di accenti tra le osservazioni del grande Dottore e la mia povera proposta). Dunque, non deve apparire fuori luogo fare un’esegesi liturgica del brano che ha per protagonista Elia, se essa è stata già proposta da un Grande del calibro di Bonaventura. Si potrà, è chiaro, non essere d’accordo e argomentare il proprio disaccordo, ma non contestare la legittimità di tale procedere teologico. Ciò che mi rimprovera l’autore, ossia – con parole sue – ” usare la Parola di Dio a supporto di tesi prestabilite” è quanto di più lontano possa esserci dalle mie intenzioni e, spero, anche dai risultati del mio lavoro.
don Mauro Gagliardi

Cosa dire? Innanzitutto la prima cosa che da sottolineare è che non vorrei assolutamente che in questo blog si creasse un clima di polemica sterile e infruttuoso e, ancora più da evitare, irriverente e offensivo. Quello che dirò, quindi, non vuole assolutamente mancare di rispetto verso la persona.

Detto questo, anche dopo aver letto l’articolo di I. Biffi segnalato dal Gagliardi (si può trovare qui: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2011/161q01b1.html ) non si riesce a capire il nesso logico che lega la citazione del passo biblico con le considerazioni che la seguono: “magari si incontra la presenza del mistero di Dio molto meglio nel sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare”. Che si diano celebrazioni in cui ci siano “grandi luci colorate”, “forti rumori di tamburi”, così come ci siano “celebrazioni gridate” è assolutamente disdicevole e da correggere, qualora si verificassero tali abusi.

Ma cosa intende affermare l’autore? Che significa questa associazione fra la teofania ad Elia e il sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare? Quand’è che il sacerdote sussurra all’altare? L’autore non lo dice esplicitamente, ma credo che, considerato il senso generale del saggio, qui ci si riferisca alla preghiera del Canone recitata a bassa voce. E che ne si voglia insinuare una maggiore consonanza con l’essenza della liturgia.

Che si possa leggere una pagina della Scrittura in senso allegorico nessuno lo nega. Ma si ribadisce lo stupore per un’operazione curiosa: chiamare esegesi liturgica tale processo interpretativo. Sarebbe interessante, qui adesso non lo si può fare, studiare la dinamica che ha portato a silenziare il celebrante all’altare. Ci può essere un influsso di 1Re 19,11-14 su questa evoluzione? L’autore afferma che “Simile esegesi liturgica è sempre stata operata ed ha avuto un influsso enorme sui riti”. Si può dimostrare l’associazione fra la teofania ad Elia e il silenzio all’altare? Portare ad appoggio di questa tesi l’articolo di I. Biffi non pare un’operazione efficace, perchè lì non si parla di ritualità della celebrazion eucaristica, ma di considerazioni a carattere più spirituale: “se Dio si rivela in questo vento lieve, vuol dire che ‘egli non si trova nello spirito della superbia, o nell’agitazione dell’impazienza, o nel fuoco della cupidigia o della concupiscenza carnale, bensì nella quiete di una coscienza serena’.”

Per finire, viene in mente quanto afferma S. Giustino, nella sua descrizione della celebrazione eucaristica: “Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore – quantum potest / totis viribus – e il popolo acclama: Amen!” (Prima Apologia, 66-67). Non stride un pò questa descrizione con il “sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare”?