Uno sposo liberale, ed un portiere altrettanto generoso, ma…. Riletture di una parabola matteana

In questi giorni di quaresima, si rileggono davvero con gusto alcuni passaggi della Procatechesi di San Cirillo di Gerusalemme, con la quale il santo vescovo predisponeva i battezzandi ad affrontare con frutto l’ultimo periodo di preparazione immediata al battesimo (1). Fra le molte citazioni della Sacra Scrittura con cui è intessuta la catechesi, spicca la parabola degli invitati alle nozze di Matteo 22, in particolare la figura dell’invitato che entra nella sala delle nozze senza l’abito nuziale. Colpiscono, per l’attualità, alcune sfumature e accenti che Cirillo tratteggia, come pure l’impressionante facilità con cui si passa dalle immagini della Scrittura al vissuto liturgico – quanto ci manca quell’immediatezza, segno di una fede viva e imbevuta di Parola di Dio! -.

Così, partendo dal rito dell’iscrizione dei candidati alla preparazione battesimale – «avete dato testé i vostri nomi, rispondendo alla chiamata per la milizia; avete preso in mano le lampade, invitati a partecipare al corteo nuziale; vi siete determinati a conseguire la beata speranza, animati dal desiderio della città celeste. Avete dato il vostro nome..» -, rito che iniziava una particolare attenzione pastorale del vescovo verso questo gruppo di persone (ciò vuol dire anche riunioni ed incontri particolari e appositi per essi), senza troppe spiegazioni Cirillo può passare ad una applicazione concretissima ed efficace della parabola di Matteo:

«Nessuno di voi si introduca dicendo: “Lascia che io veda cosa fanno i fedeli; fammi entrare e vedere, perché possa sapere quel che si fa”. Tu speri di vedere, ma non ti aspetti di essere veduto? Credi di poter indagare ciò che si fa, e pensi che Dio non scruti il tuo cuore? Vi fu chi così operò una volta al banchetto nuziale di cui parla il Vangelo. […] Lo sposo, però, per quanto liberale non mancava di discernimento*Girando tra i singoli convitati…s’accorse dell’intruso senza la veste nuziale gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui? Che colore ha la tua veste, e quale la tua coscienza? Anche se il portiere, data la generosità del convitante, non ti ha impedito l’accesso al banchetto, benché ignorassi quale tipo di veste deve portare chi entra al convito, tuttavia hai pur visto, una volta entrato, come le vesti dei commensali risplendevano! Da quanto era pur chiaro ai tuoi occhi non dovevi trarre insegnamento? Non dovevi uscire da giusto dopo essere entrato senza colpa? Adesso invece ti tocca uscire in malo modo così come malamente sei entrato! […] Vedi quello che allora capitò a lui, e quanto a te bada bene a quel che fai» (Protocatechesi, 2-3).

Cirillo sapeva che forse non tutti, fra quanti richiedevano il battesimo, erano ben disposti. Sapeva che, ad esempio del suo Signore, doveva mostrarsi misericordioso e generoso. Non per questo rinunciava a mettere in guardia con franchezza, e con parole aperte cercava di stanare anche i più contorti e doppi, avendo fiducia nella potente efficacia dell’itinerario catecumenale e, ancor di più, nel suo Maestro e Signore:

«Come ministri di Cristo, vi abbiamo accolti senza escludere alcuno, e come ostiari abbiamo aperto la porta a tutti[…] Ti avvero prima che lo Sposo delle anime, Gesù, entri e veda come sei vestito. […] Se persisterai nel tuo cattivo proposito – chi ti parla non ne avrà colpa – non aspettarti di ricevere la grazia, ti accoglierà l’acqua ma non ti accoglierà lo Spirito! […] Può darsi che tu sia venuto per altro motivo. Può darsi che un uomo sia indotto a venire per ingraziarsi una donna, che questa soltanto sia la sua motivazione. Simile discorso vale altresì per le donne; anche uno schiavo spesso vuol compiacere il padrone, un amico vuole ingraziarsi l’amico. In tal caso non mi resta che cogliere l’esca dall’amo, accoglierti ciò mal motivato come sei venuto, con buona speranza che sia suscettibile di salvezza. Tu non sapevi forse dove stavi entrando e in quale rete incappavi; perché sei caduto dentro le reti della Chiesa. Lasciati dunque prendere vivo; non sfuggire, perché è Gesù che ti prende al suo amo, per darti non la morte la risurrezione dopo la morte» (Protocatechesi, 4 -5)


(1) …«non è breve il tempo che hai a tua disposizione: hai quaranta giorni di penitenza, molte buone occasioni… per spogliarti e lavarti, per rivestirti e poi entrare» (Protocatechesi, 4): Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi (Introduzione, traduzione e note a cura di C. Riggi), Roma 1997²; si può trovare una versione on line qui.

* L’edizione curata da V. Saxer offre una traduzione leggermente differente: «Ma lo sposo, pur essendo generoso, non era acritico. […] Sia pure, il portinaio non ti ha trattenuto, data la liberalità di chi offre il banchetto…»: cf. qui una versione on line.

Fango spalmato od unzione? Quisquiglie intorno ad una duplice traduzione o paradossi non del tutto astrusi?

A proposito delle letture della IV domenica di Quaresima, un autorevole commento liturgico riporta quanto segue:

La scelta della prima lettura indica che la Chiesa legge nella sua liturgia la pericope di Giovanni con un’insistenza particolare sul segno battesimale. In questa prima lettura (1Sam 16,1-13) non è facile trovare una connessione concreta con le altre due. Tuttavia essa è loro collegata da un rapporto molto lato ma consistente. La pericope sottolinea la scelta che Dio fa di coloro che egli vuol attirare a sé per consacrarli, e in questo è evidente il dono della fede. La scelta di Dio si manifesta in un modo molto personale; egli ha il suo modo di scegliere e di giudicare, e i suoi giudizi non hanno la superficialità dei giudizi degli uomini che giudicano su ciò che è esteriore. Chi è scelto per la fede non ne ha il merito, e spesso avviene che questo dono sconcerta coloro che ne sono testimoni e confonde il loro giudizio. Mi pare che non è tanto sulla scelta che si deve insistere. Non si può invece ignorare l’unzione degli occhi del cieco nato. Ma forse è un accostamento artificioso sul quale non è il caso di insistere…(1)

Proviamo, invece, ad insistere, facendo notare che la traduzione latina del testo giovanneo presenta dati interessanti.

La sequenza dei gesti e delle parole che descrivono il miracolo della guarigione del cieco nato è narrata in due versetti diversi: la prima volta sentiamo la voce dell’evangelista che racconta i fatti, la seconda è la voce dell’interessato che testimonia agli astanti come siano andate le cose: fra l’altro, Sant’Agostino commenta che quest’ultima è la voce della gratitudine (2). La traduzione latina dell’originale greco rende con due verbi differenti lo stesso verbo greco. Il motivo non lo sappiamo, possiamo immaginare, idealizzando un pochino, che il traduttore abbia voluto dare una sfumatura personale al racconto: il cieco ha avvertito, dopo, quel gesto di Cristo che ha messo del fango dei suoi occhi come un’unzione. Ma queste sono ipotesi, forse addirittura forzature, nostre. Ritorniamo ai testi come sono:

Gv 9,6: «Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò [ἐπέχρισεν αυτοῦ τὸν πηλὸν…linivit lutum super oculos eius] il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe…»

Gv 9,11: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi [ἐπέχρισέν μου τοὺς ὀφθαλμοῦς…unxit oculos meos] e mi detto: “Va’ a Siloe…”».

Che ci sia qualcosa di misteriosamente controverso intorno a queste due possibili traduzioni ne è prova anche un altro piccolo dettaglio. L’antifona di comunione propria prevista per questa domenica è di per sé particolare perché riporta in prima persona le parole del cieco di Gv 9,11; inoltre il testo liturgico cambia il verbo latino di questo versetto: non è più unxit, ma linivit: «Dominus linivit oculos meos: et abii, et lavi, et vidi, et credidi Deo» (3).

A parte queste noticine, se quella del cieco si può leggere come un’unzione, il legame con la prima lettura diventa più intrigante. Per di più, anche a Betlemme – dove si reca Samuele – si dà il caso di una certa cecità e di uno sguardo che deve essere curato: il profeta infatti non riesce a vedere quale sia il prescelto dal Signore, i suoi occhi rimangono colpiti dall’imponenza di Eliab, uno dei fratelli di Davide e non riescono perciò a mettere a fuoco l’eletto  di Dio.

A Gerusalemme un cieco nato guarirà grazie ad una misteriosa unzione e immediatamente comincerà a parlare con verità e coraggio degni di un profeta, a Betlemme un grande profeta con la missione di ungere il successore di Saul deve affinare il suo sguardo e tararlo secondo i parametri di Dio.

Sulla scia del paradosso che Cristo enuncia al termine del capitolo 9 di Giovanni – «E’ per un giudizio che sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi (9,39) – possiamo ritenere non del tutto fuori luogo il paradosso che pare risultare dall’accostamento delle due letture.


(1) A. Nocent, Celebrare Gesù Cristo, l’anno liturgico, 3. Quaresima, Assisi (PG) 1999³, 161-162. In effetti, l’Ordinamento generale delle Letture della Messa, al n. 97, ci avverte che la prima lettura delle domeniche quaresimali non è scelta in concordanza tematica con il vangelo; eppure per il ciclo A, nonostante sia sfumata e labile, un peculiare accostamento non pare da escludersi.

(2) «Perciò i vicini e quelli che prima erano soliti vederlo, giacché era un mendicante, dicevano: Ma costui non è quello che era seduto e mendicava? Altri dicevano: E’ lui; altri: No, ma gli assomiglia. Con gli occhi aperti aveva cambiato fisionomia. Egli diceva: Sono proprio io. E’ la voce della gratitudine, dove il silenzio sarebbe colpevole. Gli dissero allora: In che modo si sono aperti i tuoi occhi? Egli rispose: Quell’uomo chiamato Gesù, fece del fango e mi spalmò gli occhi e mi disse: Va’ alla piscina di Siloe e lavati! Ci sono andato, mi son lavato e ci vedo (Gv 9, 8-10). Eccolo diventato annunciatore della grazia; ecco che, diventato veggente, proclama il Vangelo, fa la sua professione di fede. La coraggiosa confessione del cieco spezza il cuore degli empi, i quali non avevano nel cuore ciò che egli ormai possedeva sul volto. E gli dissero: Dov’è colui che ti ha aperto gli occhi? Ed egli: Non lo so. Queste parole dimostrano che la sua anima è ancora simile a uno che ha ricevuto l’unzione e ancora non ci vede. E’ come se avesse avuto quell’unzione nell’anima. Predica il Cristo, che ancora egli non conosce»: Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 44,8.

(3) Rispetto alla versione contenuta nel Messale di Pio V, il Messale di Paolo VI apporta alcune modifiche alla nostra antifona, ma nel dettaglio che stiamo descrivendo si dimostra tradizionale conservando il «linivit». Per gustare la melodia gregoriana dell’antifona, cf. qui.

L’origine della quaresima? La liturgia risponde

Curiosi esemplari di eruditi, gli storici della liturgia!! Talvolta si rimane sconfortati e perplessi, nel leggere alcuni studi che tentano di chiarire aspetti controversi della storia della liturgia. Dopo pagine e pagine, note e dettagli, alla fine loro stessi si lasciano andare nel riconoscere che lo sforzo di erudizione e acribia non ha giovato ad una visione sintetica e soddisfacente che possa mettere insieme le varie tessere del quadro. E così, solo dopo averci fatto patire, fornendoci dati e dati, rimandandoci a studi e testi i più vari, gettano la spugna (potevano farlo prima di scrivere!?), ma mentre lo fanno, non mancano di citare l’ultimo studio, non riuscendo a vincere lo strano vizio di demolire le tesi altrui pur non avendo nulla di alternativo da presentare: «…La vera origine della Quaresima è oscura. Molto improbabile l’ipotesi formulata di nuovo recentemente da Th. J. Talley, ma basata in modo poco convincente, che la Quaresima si sia sviluppata in Egitto immediatamente in coincidenza con la festa del Battesimo di Gesù (Epifania)» (1).

La loro scienza è però certamente necessaria e Dio solo sa quanto bisogno ne abbiamo per scampare l’ignoranza superficiale e facilona che agita alcuni improvvisati liturgisti! Il problema è che abituati ad osservare con la lente di ingrandimento ogni dettaglio anche minimo, forse tralasciano lo sguardo d’insieme più generale. Non vorremmo passare pure noi per faciloni e pressapochisti se ci permettiamo di ricordare ai colleghi di Auf der Maur che la liturgia stessa risponde, seppure in modo davvero particolare e non con la precisione dell’erudizione storica, alla loro questione: qual’è l’origine della quaresima? O meglio, la liturgia – con le sue risposte – permette di precisare meglio le domande, facilitando così anche la risoluzione delle questioni.

Ecco a cosa ci riferiamo:

Soffermandoci sull’Innodia della Liturgia delle Ore del tempo quaresimale si nota subito una curiosa insistenza sul fatto che la quaresima, nei suoi vari aspetti (digiuno, penitenza, preghiera, vigilanza, etc.), sia di fatto già rivelata nella Sacra Scrittura. I testi latini sono più espliciti e allusivi (2).

Della Quaresima è detto essere un ciclo celebre (notissimo), di cui si ha un’istruzione mistica (ex more docti mystico), già nell’Antico Testamento (lex et prophetae primitus hanc praetulerunt) e poi compiuto e consacrato da Cristo (postmodum Christus sacravit) [Inno dell’Ufficio delle Letture domenicale]. E’ evidente che questo tempo è un dono di Dio (nunc tempus acceptabile fulget datum divinitus) [Inno dell’Ufficio delle Letture feriale].  Di più, Gesù stesso è l’iniziatore dell’astinenza quaresimale, lui ha consacrato questo tempo particolare (Iesu, quadragenariae dicator abstinentiae) [Inno dei vespri feriali].

Non siamo così ingenui nel pensare che la strutturazione liturgica della quaresima così come la conosciamo noi sia direttamente riconducibile a Nostro Signore, eppure la liturgia ne afferma in modo convinto l’imitazione con la vita di Lui e dei suoi misteri, andando ben oltre la semplice esemplarità, ma affermando in modo davvero semplice una dinamica importantissima: della quaresima ve ne è stata una prefigurazione profetica nel tempo dell’antica Alleanza, per poi averne la rivelazione  definitiva e il compimento in Cristo; ed ora nel ciclo dell’anno liturgico e nel suo riavvicendarsi, Dio ne continua l’efficacia nel tempo della Chiesa.

E’ certamente vero che questi testi, abbastanza tardivi, non fanno menzione di uno dei grandi temi della liturgia quaresimale e della sua specificità, ossia l’ambito della preparazione al battesimo pasquale dei catecumeni e che quindi la nostra argomentazione non possa che essere parziale. Tuttavia, pregando con consapevolezza la liturgia delle Ore dovremmo essere immuni dal rischio che si corre nel leggere alcune ricostruzioni storiche, ritenere cioè la quaresima come mero frutto di istituzioni ecclesiastiche che a tavolino «inventano» e strutturano questo tempo liturgico. E’ evidente l’aporia in cui si incappa partendo da questo approccio, trattando la liturgia non come un organismo vivo ma come un dato archeologico genericamente avvicinabile solo con le categorie dello storico. Invece, la liturgia è un organismo vivo, in continuità con la Sacra Scrittura, seppur impastato e intrecciato con le vicende umane, oggetto della storia, che però è metodologicamente impossibilitata a cogliere altri spunti di carattere più biblico e teologico-liturgici.

La domanda giusta potrebbe essere non tanto «quando e come nacque la quaresima?» ma piuttosto «quando e come le Chiese sentirono l’esigenza di riproporre, imitandola e interpretandola ciascuna a suo modo, la quaresima di Gesù?».


(1) H. Auf der Maur, Le celebrazioni nel ritmo del tempo – I. Feste del Signore nella settimana e nell’anno (La Liturgia della Chiesa. Manuale di Scienza liturgica, 5), Leumann (TO) 1990, 220.

(2) Avevamo già mostrato alcuni esempi di quanto sia interessante fermarsi sulle parole degli Inni: cf., ad esempio, qui e qui, e poi altrove (cf. le note ai post citati).