Abbiamo già avuto qualche occasione di gettare uno sguardo ai lavori del gruppo di studio che curò la nuova distribuzione dei Salmi nella Liturgia delle Ore riformata dopo il Vaticano II. Continuiamo con queste brevissime incursioni, assai parziali e allo stesso tempo, crediamo, interessanti, nei lavori del Consilium. Non solo per un’erudizione storica (si può, fra l’altro, mostrare come non sia affatto vero, almeno non si può dirlo sempre e genericamente, che si volle creare ex nihilo una nuova liturgia, spazzando via qualsiasi dato precedente) o per tecnicismo, ma perché siamo convinti che tali approfondimenti possano contribuire sia ad una recitazione meno routinaria del salterio (mero compimento del “pensum”) sia ad una sempre più profonda approssimazione al senso pieno della Scrittura e della Liturgia stessa, che nasce da una preghiera non solo materiale ma anche contemplativa. Conoscere le motivazioni e il senso della presenza di quei particolari salmi nelle Ore dell’Ufficio può contribuire a tale scopo.
Vediamo, dunque: anche per la Solennità dell’Epifania si adottò un criterio di scelta di alcuni salmi del tutto particolari – ossia si interrompe la distribuzione classica strutturata in quattro settimane – , salmi che per contenuto, genere letterario e attestazione nella tradizione venivano considerati più adatti. La relazione presentata dai periti, presentata nel precedente post [ https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/12/27/la-distribuzione-dei-salmi-nellufficiatura-dellottava-di-natale-la-tradizione-rielaborata-senza-perdere-nulla/ ] riporta la proposta dettagliata anche per la tale festività. Eccola:
Epiphania Domini
I. Vesperae
Ps 116, qui invitat “omnes gentes” ad laudandum Dominum.
Ps 134, Laudat Dominum, “quia magnus est prae omnibus diis” gentium.
1 Tim 3,16 de apparitione Domini.
Officium lectionis
Sollemnitas Epiphania quodammodo est festum Christi regis. Qua de causa eliguntur psalmi sequentes: (Ps 94 in invitatorio)
Ps 71 occurrens in Introitu et Offertorio Missae. De magis intelliguntur vv. 10-11: “Reges Tharsis et insulae..” et v. 15: “Vivet et dabunt ei de auro Arabiae”. Cf. etiam lectionem Missae Is 60,1-6.
Ps 95 agit de Deo rege et vv. 8b-9a intelliguntur de Magis: “Tollite hostias…”
Ps 96 Ps. de Deo rege interpretatur de Christo rege v. 6. “Adnuntiaverunt caeli.. et viderunt omnes populi gloriam eius” memorat stellam Magorum.
II. Vesperae
Ps 109 hodie specialiter aptus est, quia est psalmus de rege (Messia)
Ps 111 propter v. 4: “Exortum est in tenebris lumen rectis corde”
Apoc 15,3-4 propter verba: “Omnes gentes venient et adorabunt…”
Alcune note:
– Notiamo che nella stesura definitiva del salterio attuale, per i primi Vespri venne poi omesso il Sal 116 proposto dallo schema, e si scelse di pregare il Sal 134(135) diviso in due sezioni.
– A proposito del Salmo 71(72), oltre a quanto viene annotato nello schema, possiamo aggiungere che l’antifona d’Introito del 23 dicembre univa il versetto 17 con la profezia di Isaia: “Nascetur nobis parvolus, et vocabitur Deus, Fortis; in ipso benedicentur omnes tribus terrae”. E’ del tutto tradizionale per questa Solennità.
– A proposito del Salmo 95 (96), l’antifona: “Adorate Dominum in aula sancta eius” si riferisce al v. 8, secondo la versione della Volgata: “Tollite ostia, et introite in atria eius: adorate Dominum in atrio sancto eius”. L’italiano traduce nell’antifona: “Adorate il Signore nel suo tempio santo”, mentre la versione del salmo viene resa “Portate offerte ed entrate nei suoi atri, prostratevi al Signore in sacri ornamenti”.
– Per l’Ora Media sono stati scelti dei salmi fra quelli che una tradizione costante aveva assegnato all’Ufficio vigilare dell’Epifania: vi ritroviamo i Sal 46(47), 85(86) e 97(98). Possiamo ipotizzare il il criterio di scelta di tali salmi – al di là di singoli versetti – nel loro comune tema della chiamata delle genti alla conoscenza e alla lode del Dio vero, di cui si celebra la rivelazione universale. E’ da ricordare che per Leone Magno (cf. la lettura patristica del giorno) l’adorazione dei Magi è la festa delle nostre primizie e l’inizio della vocazione dei popoli pagani (cf. anche il Sermone XIII, Sull’Epifania 2,4: “Riconosciamo dunque, carissimi, nei Magi adoratori di Cristo le primizie della nostra vocazione e della nostra fede, e con l’animo ricolmo di gioia celebriamo gli inizi della nostra beata speranza. Perché da allora ebbe inizio il nostro ingresso nell’eredità eterna, da allora ci furono svelati i misteri della Scrittura che parlano di Cristo, e la verità che i Giudei nella loro cecità non accolsero, diffuse la sua luce su tutti i popoli – Agnoscamus ergo dilectissimi, in magis adoratoribus Christi vocationis nostrae fideique primitiae, et exultantibus animis beatae spei initia celebremus. Exinde enim in aeternam haereditatem coepimus introire, exinde nobis Christum eloquenti Scripturarum arcana patuerunt, et veritas quam Iudaeorum obcaecatio non recepit, omnibus nationibus suum lumen invexit”).
– Nello Schema si afferma un certo legame dell’Epifania con la regalità di Cristo (“Sollemnitas Epiphania quodammodo est festum Christi regis”). In effetti, il salmo 71 sarà assegnato anche alla Domenica di Cristo Re dell’Universo, all’Ufficio delle Letture. Un’altra occorrenza ci aiuta a precisare, poi, il senso di tale regalità: il Sal 95, lo si trova anche nella Festa dell’Esaltazione della Croce, con un antifona particolare: “O crux benedicta, quae sola fuisti digna portare Regem caelorum et Dominum”.
Vocazione dei Gentili, Regalità Universale, Annuncio della Croce (non dimentichiamo la mirra portata in dono dai Magi!). Tutti questi temi si intrecciano, e si illuminano a vicenda! Che ricchezza straordinaria! E tutto questo, semplicemente a partire dai salmi e dalla loro rilettura patristica e liturgica. Non è poi così tanto povera, dunque, la liturgia nella forma ordinaria, da sentire la necessità di ricorrere a tutti i costi alla forma straodinaria!
Infine, lasciamo la parola a una catechesi di Giovanni Paolo II, che in una delle sue catechesi del mercoledì commentò il salmo 95(96) e alla straordinaria meditazione offerta da Benedetto XVI alle centinaia di migliaia di giovani, che a Colonia, presso le reliquie dei santi Magi, accorsero da tutto il mondo.
4. Ma eccoci al secondo quadro, quello che si apre con la proclamazione della regalità del Signore (cfr vv. 10-13). Ora a cantare è l’universo, anche nei suoi elementi più misteriosi e oscuri, come il mare secondo l’antica concezione biblica: «Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto contengono, si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare la terra» (vv. 11-13). Come dirà san Paolo, anche la natura, insieme con l’uomo, «attende con impazienza… di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19.21). E a questo punto vorremmo lasciare spazio alla rilettura cristiana di questo Salmo compiuta dai Padri della Chiesa, che in esso hanno visto una prefigurazione dell’Incarnazione e della Crocifissione, segno della paradossale regalità di Cristo. 5. Così, all’inizio del discorso pronunciato a Costantinopoli nel Natale del 379 o del 380, san Gregorio di Nazianzo riprende alcune espressioni del Salmo 95: «Cristo nasce: glorificatelo! Cristo scende dal cielo: andategli incontro! Cristo è sulla terra: levatevi! “Cantate al Signore, tutta la terra” (v. 1), e, per riunire insieme i due concetti, “si rallegrino i cieli ed esulti la terra” (v. 11) a causa di colui che è celeste ma poi è divenuto terrestre» (Omelie sulla natività, Discorso 38, 1, Roma 1983, p. 44). In tal modo il mistero della regalità divina si manifesta nell’Incarnazione. Anzi, colui che regna «diventando terrestre», regna precisamente nell’umiliazione sulla Croce. È significativo che molti antichi leggessero il v. 10 di questo Salmo con una suggestiva integrazione cristologica: «Il Signore regnò dal legno». Per questo già la Lettera di Barnaba insegnava che «il regno di Gesù è sul legno» (VIII, 5: I Padri Apostolici, Roma 1984, p. 198) e il martire san Giustino, citando quasi integralmente il Salmo nella sua Prima Apologia, concludeva invitando tutti i popoli a gioire perché «il Signore regnò dal legno» della Croce (Gli apologeti greci, Roma 1986, p. 121). In questo terreno è fiorito l’inno del poeta cristiano Venanzio Fortunato, Vexilla regis, in cui si esalta Cristo che regna dall’alto della Croce, trono di amore e non di dominio: Regnavit a ligno Deus. Gesù, infatti, già durante la sua esistenza terrena aveva ammonito: «Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,43-45).
Giovanni Paolo II, Catechesi del Mercoledì (18/09/2002)
Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso – è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali – oro, incenso e mirra – doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.
Benedetto XVI, Discorso nella Veglia di preghiera sulla Spianata di Marienfeld (20/08/2005)