…soltanto l’umiltà divina!

Tu in un vastissimo giardino ricco di alberi da frutta ti sei perduto perché non hai voluto obbedire; lui per obbedienza è venuto come creatura mortale in un angustissimo riparo, perché morendo ritrovasse te che eri morto. Tu che eri uomo hai voluto diventare Dio e così sei morto; lui che era Dio volle diventare uomo per ritrovare colui che era morto. La superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina.

Sant’Agostino, Discorso 188,3

[Tu in latissimo fructuosorum nemorum praedio te perdidisti, obedientiam neglegendo: ille obediens in angustissimum diversorium mortalis venit, ut mortuum quaereret moriendo. Tu cum esses homo, Deus esse voluisti, ut perires; ille cum esset Deus, homo esse voluit, ut quod perierat inveniret. Tantum te pressit humana superbia, ut te non posset nisi humilitas sublevare divina.]

Santo Natale!!!

betlemme1

La piccolissima porta di ingresso alla basilica della Natività.
E’ detta porta dell’umiltà perchè le sue ridotte dimensioni
(solo 1 metro e 20) obbligano chi vuole entrare a piegarsi.

 

 

 

Avvento. Cose inaudite, o quasi (II)

Continuiamo con alcune piccole note riguardanti particolari forse meno noti o comunque meno facili da ricordare, considerando la quantità di considerazioni talvolta un poco superficiali che si ascoltano o leggono qua e là.

Ma il nostro intento non è affatto irriguardoso nei confronti di quanti perpetuano luoghi comuni, piuttosto quello di suscitare ancora una volta un grato stupore per come la Liturgia e la Scrittura si combinino insieme in modo mirabile e, nel piccolo esempio che vorremmo mostrare, davvero curioso. Dettagli, sì, ma che rivelano una Sapienza misteriosa e affascinante che accompagna la tradizione liturgica.

«Isaia, profeta dell’Avvento». Quante volte abbiamo sentito questa espressione o considerazioni simili! Come se il primo dei profeti maggiori, nel suo carisma profetico, avesse immaginato la sua rilettura liturgica già da allora.

In effetti, la presenza di pericopi isaiane nel tempo di Avvento è davvero impressionante. Ad eccezione di solennità e feste (Immacolata, Sant’Andrea, memorie particolari commemorate da famiglie religiose o chiese locali), quasi ogni giorno abbiamo una lettura sia nella celebrazione della Messa sia nella celebrazione dell’Ufficio delle Letture; antifone, responsori, letture brevi completano il quadro di un’insistenza considerevolissima di questo libro della Sacra Scrittura.

Eppure,  se consideriamo le origini di tale uso liturgico, potremmo dire che la presenza di Isaia nell’Avvento sia avventizia! Nel senso che essa è determinata da fattori esterni e non integrati, almeno all’inizio, in un insieme organico e coerente, bensì occasionali. Non era infatti l’Avvento l’inizio di quello che oggi consideriamo l’anno liturgico: così, nel ciclo della lettura continua della Scrittura nel corso dell’anno civile, al mese di dicembre corrispondeva la lettura di Isaia. In altre parole, è più antica la lettura di Isaia in questo periodo che il periodo stesso dell’Avvento come tale.

Per questo, risulta sorprendente come, in seguito, il contesto liturgico dell’attesa escatologica e della commemorazione della nascita del Signore si siano armonizzati e integrati in modo unico e speciale con i testi e la spiritualità del libro di Isaia. Vero è che alcune letture testuali della versione latina della Bibbia abbiano facilitato un’interpretazione cristologica.

Per finire, segnaliamo un ottimo articolo di P. Farnes, raccolto insieme a suoi altri studi in Dossier CPL 48 (Lettura de la Biblia en el Año liturgico): «Las lecturas biblica en adviento».

Avvento. Cose inaudite, o quasi. (I)

Solo uno spirito libero ed originale quale Luis Bouyer poteva scrivere le osservazioni che riportiamo da un testo di cui possediamo solo la versione inglese. Si tratta di un testo datato (1956), che conserva tuttavia il suo valore. Se non altro, perché vi si trovano delle posizioni chiare. In manuali più recenti e più aggiornati, invece, fra le ridda di ipotesi e dati, manca il coraggio di una sintesi. C’è da dire, è vero, che la sintesi nella scienza liturgica non può essere la quadratura del cerchio: è un’organismo troppo complesso, la liturgia, perché per esso funzionino alla perfezione schemi e teorie troppo rigide. Ma fra il compilatore enciclopedico, che non si espone mai e appesantisce il testo con notazioni e note senza arrivare nemmeno ad un tentativo di soluzione, e lo studioso che, rischiando di venir contraddetto dall’ultimissima scoperta,  prova comunque ad offrire un’interpretazione dei dati, preferiamo quest’ultimo. Preferiamo Louis Bouyer.

From these facts, one conclusion must be drawn which at first sight may seem, perhaps, bewildering, but is nonetheless inevitable. This conclusion is that Advent, together with Christmas and Epiphany, far from being the first or introductory part of the liturgical year, is properly its end. Since the late Middle Ages, it has become generally customary to consider the First Sunday of Advent as the beginning of the Temporal cycle of the year. The custom of putting first in liturgical books the liturgy for this Sunday may have grown up more or less as a result of that faulty interpretation of Christmas which we have been endeavoring to dispel. […] Far from making a new beginning, Advent still comes in direct continuity with the last Sundays after Pentecost… [L. Bouyer, Life and Liturgy, London 1956, 207]

Non possiamo riportare tutti i passaggi del capitolo in questione, che sostanzialmente ricentra l’Avvento e il Natale nell’attesa escatologica, compimento del mistero della salvezza. Compimento dunque, non inizio.

Poco prima aveva scritto, azzardando una spiegazione dell’introduzione del ciclo natalizio nell’anno liturgico:

..the celebration of Christmas and Epiphany (the two feasts are so closely connected as to form but one celebration) reveals a significance, the majestic grandeur of which has been often overlooked, but the actuality of which cannot be questioned. This celebration is that of eschatological expectation: of the hope, the ardent prayer, for Parousia. “Come, Lord Jesus. Come quickly!” This is the last word in the celebration of the Mystery: it nourishes in us the divine discontent, the holy impatience, should we call it, which must remain in our hearts when we have celebrated the Mystery as we should. From this point of view, it is easy to understand how it was that the Christmas-Epiphany cycle was introduced into the liturgical year at the end of the fourth century, when the Church of Constantine had become well installed in this world and was in danger of losing the fervor of its hope for the world to come. The purpose of Advent, Christmas and Epiphany is ceaselessly to reanimate in us that hope, that expectation. But how can they do so if we reduce their significance to a sentimental commemoration of the childhood of Jesus, especially when in it we see only what touches our hearts about all childhood, transmuted only by some aura of divinity. [204]

Comunque, è dai tempi Sant’Agostino che ci si interroga sul valore e sul senso della celebrazione liturgica del Natale: memoria o sacramento? Anche la questione della data, ossia la scelta della Chiesa di assumere un giorno fisso e non invece legato al ciclo mobile delle feste determinate dal calendario lunare, segnala la particolarità di tale festa. Ad essa, poi, si aggiunge il fatto che per la liturgia del Natale non vi è un evidente retroterra ebraico di feste o consuetudini, che Cristo abbia assunto e compiuto e che poi entrano in qualche modo anche nella liturgia cristiana.

A questo punto ci viene in mente che Danielou, nel suo studio sulle feste, nota la singolarità della biblica festa delle Capanne, unica che non ha trovato una corrispondenza nella liturgia cristiana (1).  L’ora tarda in cui scriviamo e la stanchezza che vince ormai il raziocinio ci fanno balenare un’associazione folle fra le capanne dei Tabernacoli e la «capanna» del presepe. Ma questo sarebbe troppo, troppo inaudito.


(1) «Il Nuovo Testamento non annulla, ma porta a compimento il Vecchio. Non esiste dimostrazione più chiara della validità di questa affermazione che quella delle feste liturgiche: le grandi solennità del giudaismo, Pasqua e Pentecoste, sono state recepite dal Cristianesimo ed arricchite soltanto di un nuovo contenuto. C’è tuttavia un’eccezione a questa regola: la terza grande festa del giudaismo, quella dei Tabernacoli… […] … la Festa dei Tabernacoli non è interamente legata con alcun mistero della vita di Cristo. E’ forse per il fatto che, più di ogni altra festa, essa è legata a quello che tra i Suoi misteri non è ancora compiuto: quello dell’ultima Parusia»: J. Danielou, Bibbia e Liturgia. La teologia biblica dei Sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Roma 1998, 293.

La cultura della Liturgia

Nonostante tanti strumenti oggi a disposizione e l’ausilio dei supporti informatici, una della migliori forme di entrare nella liturgia e nella sua conoscenza profonda è senza dubbio quella di praticarla e viverla. Certamente, occorrerà aver sviluppato una sensibilità particolare ed un’attenzione vigile, ma un semplice cultore della preghiera e delle celebrazioni della Chiesa potrà assaporare sfumature e accorgersi di dati che talvolta sfuggiono ad esperti e competenti: specializzarsi e concentrarsi in un settore, può far perdere la visione dell’insieme dell’organismo che è la liturgia.

Vero è che per ciò che stiamo per dire è importante avere una certa familiarità con i testi originali e tipici, quindi in latino, nei quali – fino ad oggi – si è depositata la tradizione e la ricchezza delle riletture e delle interpretazioni biblico-patristiche e l’elaborazione teologica. Le assonanze fra il latino e l’italiano certamente possono aiutare molto di più rispetto ad altre lingue nazionali, ma questa potrebbe essere la controprova del fatto che un traduttore della Scrittura non debba essere solamente un fine biblista ma sarebbe quanto mai opportuno fosse anche profondo conoscitore della Liturgia. E questo non lo diciamo solamente perché uno dei nostri più grandi maestri è dottore in Liturgia e pure dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico!

Quello che intendiamo dire lo si capirà meglio a partire dall’esempio concreto che ha suscitato queste brevissime riflessioni.

Dall’inizio dell’Avvento fino al 17 dicembre, la Liturgia delle Ore propone, ai Vespri l’Inno Conditor alme siderum (1). Fortunatamente il Salterio italiano, nell’Innario del libro della Liturgia delle Ore ha mantenuto anche il testo latino, per cui anche quanti non sono esperti latinisti potrebbero dare uno sguardo all’originale, di certo non tutto scritto nel latino di un Cicerone. La seconda strofa recita: «Qui condolens interitu / mortis perire saeculum, / salvasti mundum languidum, / donans reis remedium». L’ultima parte è facilmente comprensibile: salvasti il mondo malato, donando ai rei il rimedio. Altro è la comprensione formale delle parole, altro è la comprensione del significato pieno e simbolico che soggiace ad esse. Mondus languidus, a cosa esattamente è riferito? All’interpretazione patristica delle età del mondo (2)?

Ebbene, ieri, lunedì della II settimana di Avvento, l’Ufficio delle Letture proponeva, come lettura biblica, un brano di Isaia, tratto dal capitolo 24 (24,1-18).  Il titoletto che precede la pericope recita: «Il Signore si manifesterà nel suo giorno e la città del caos sarà distrutta» (nel testo latino della Liturgia delle Ore: Manifestatio Domini in die suo). La Bibbia di Gerusalemme, invece, appone al capitolo 24 e ad altri successivi il titolo di sezione «Apocalisse». Vediamo da vicino il versetto 24,4: «E’ in lutto, languisce la terra; è squallido, languisce il mondo, sono desolati il cielo e gli abitanti del mondo» (Luget, languet terra, marcescit, languet orbis…). 

Ecco che i due testi, l’uno biblico e l’altro liturgico, la lettura biblica e l’inno dei vespri, si illuminano a vicenda, in un’integrazione mirabile e feconda. Non abbiamo la certezza che l’inno, di origine medioevale, derivi direttamente la sua espressione mondus languidus dal testo isaiano: per noi tuttavia è sicuramente un riferimento utile e prezioso.

La versione italiana dell’inno, in una riformulazione globale del testo, sembra ridire i nostri versetti in questo mondo: «Per redimere il mondo, travolto dal peccato…». In effetti qualche eco rimane ancora, con il testo biblico citato, che nel versetto successivo, il 25, dice: «La terra è stata profanata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, hanno disobbedito al decreto, hanno infranto l’alleanza eterna».

Sarebbe interessante verificare se e come in altre lingue volgari si è riusciti a mantenere questo legame. Non possiamo fare noi ora questa ricerca. Se eventualmente fra i nostri lettori, che stanno diventando sempre più numerosi e da ogni parte del mondo, ci sarà chi vorrà farlo, saremmo ben felici di pubblicarne i contenuti.


(1) Avevamo già scritto qualcosa a proposito dell’inno qui.

(2) Cf., sempre a proposito del nostro inno, qui.

La II domenica di Avvento: tracce per una lettura “sapiente” dei formulari liturgici.

In generale, si può dire che i tempi liturgici «forti» siano quelli in cui si riscontra una maggiore stratificazione di antiche tradizioni e una più articolata convergenza e complessità di fonti. Nel caso della II domenica di Avvento di quest’anno (ciclo A del lezionario), questo principio è ben evidente: a comporre l’eucologia e il lezionario che la liturgia ci propone oggi concorrono elementi di varie provenienze, da uno dei più antichi lezionari alle indicazioni conciliari, da tradizioni eucologiche secolari a nuove ricollocazioni. Vediamo.

L’antifona di ingresso (1) è ripresa tale e quale dal Messale precedente, con una piccola differenza nella notazione della citazione: con più correttezza, il Messale di Paolo VI segnala che il testo è ripreso dal capitolo 30 del profeta Isaia, sì, ma con una certa libertà, segnalata appunto con un «Cf.».

La preghiera Colletta è un «nuovo» testo, che sostituisce la preghiera precedente «Excita, Domine, corda nostra ad praeparandas…», ora spostata al giovedì della II settimana. Il nuovo formulario non è nuovo in senso assoluto, perché è ripescato dal Sacramentario Gelasiano (2), con alcuni riaggiustamenti stilistici. La preghiera sulle Offerte è pressoché la stessa di quella del Messale precedente, con una piccola aggiunta che specifica meglio i «tuis praesidiis», che diventano «tuae indulgentiae praesidiis», aiuto, soccorso della tua misericordia, rispetto al più semplice tuo aiuto. Un intervento più incisivo viene fatto sulla preghiera dopo la Comunione, che nella prima parte è derivata tale e quale dal Messale precedente, per poi assumere diverse sfumature (3).

Repleti […] doceas nos terrena despicere et amare caelestia (M1962)

Repleti […] doceas nos terrena sapienter perpendere, et caelestis inhaerere.

Non vorrei soffermarmi ora sulla scelta operata dagli esperti che curarono la revisione della parte eucologica del Messale – c’è chi lo ha fatto in modo eccellente e documentato (cf., ad es., qui) -, quanto notare che come conseguenza, di cui forse non si accorsero, risultano insolitamente due occorrenze della stessa radice tematica: nella colletta il sostantivo (eruditio sapientiae) e nella postcommunio l’avverbio (sapienter). Sia sufficiente per il momento mantenere in mente questo dato, mentre passiamo velocemente a dare uno sguardo alle letture.

Il Vangelo è di Matteo e ha come oggetto la figura di Giovanni il Battista. Ma non più i versetti 2-10 del capitolo 11, come il M1962 riportava (la domanda di Giovanni Battista e testimonianza che a lui rende Gesù) bensì i versetti 1-12 del capitolo 3 (la predicazione di Giovanni Battista) (4). La prima lettura, ovviamente, è tratta dal profeta Isaia, i versetti 1-10 del capitolo 11. Una sezione più ridotta di questo brano era prevista, nel M1962, per il venerdì delle Tempora di Avvento. Come seconda lettura, il Lezionario prevede Rm 15,4-9Questo brano, presente anche nel M1962 proprio in questa II domenica di Avvento, è già segnalato, in una lezione più lunga, comprendente i versetti 4-13 ,  fra le pericopi raccolte nella sezione titolata De Adventu domini dell’antico Capitolare di Würzburg. Come si vede, una continuità in questo caso davvero persistente. Sarebbe interessante delineare le motivazioni di questa scelta, mostrando la rilettura liturgica di questa pericope paolina che diventa un testo di Avvento. Per ora possiamo solo constatare come non aver mantenuto la lezione lunga abbia eliminato la citazione di Isaia 11,10, al versetto 15,12 della Lettera ai Romani, che avrebbe creato un certo legame fra la prima e la seconda lettura. Ma occorre fare i conti con i testi uti iacent, ed osservando il testo latino della versione ci accorgiamo della quarta occorrenza (5)  della famiglia semantica di sapientia: quello che nella versione italiana è reso con «il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù», nel testo latino è «Deus…det vobis idipsum sapere in alterutrum secundum Christum Iesum» (Rm 15,5). Sapere secundum Christum, ecco una specificazione della sapienza evocata dalle due preghiere. Diventa facile così, già da questa II domenica, allargare lo sguardo fino alla prima delle ferie maggiori dell’Avvento: il 17 dicembre, il testo della prima delle Antifone «O»recita:

 O Sapienza,
che esci dalla bocca dell’Altissimo,
ed arrivi ai confini della terra con forza,
e tutto disponi con dolcezza:
vieni ad insegnarci la via della prudenza.

La sapienza nel «valutare i beni della terra» non è quindi un saper fare pratico ed organizzativo, quanto un netto criterio cristologico. La realtà mondana e la vita dello spirito non sono realtà contrapposte: la «sapienza che viene dal cielo» «arriva ai confini della terra»! E’ semmai la nostra tortuosità e la nostra doppiezza a voler distorcere le realtà create, nel seguire la nostra volontà, chiusi e autodeterminati nell’inseguire progetti e idee vane e vacue come la pula. Per questo il Battista ci chiama a conversione, nel contesto ampio della liturgia domenicale, i cui testi – dobbiamo riconoscerlo – sono composti in modo davvero sapiente: una sapienza che non può essere solo il risultato del lavoro di esperti, ma che nello stratificarsi di varie tradizioni e intuizioni, testimonia la presenza, nella liturgia, della Sapienza personificata: il Signore Gesù vivo e operante.


(1) Cf. qui un post precedente.

(2) GeV 1153: Festinantes, Omnipotens Deus, in occorsum Filii tui Domini nostri nulla inpediant opera actus terrini,  sed caelestis sapienciae erudicio faciat nos eius esse consortes. Interessante questo attacco insolito della preghiera, con un participio plurale: da notare che, nella stessa sezione da cui è tratto questo formulario, poco più sopra un altro testo inizia con lo stesso verbo, questa volta avente Dio come soggetto: Festina, ne tardaveris, Domine Deus….Si può immaginare così un intreccio di «frette», quella di Dio nel voler visitare il suo popolo, e quella del popolo cristiano nell’andare incontro al Signore che viene. Nella moderna versione italiana, questo senso rimane troppo vago, e sembra che il tema dominante, anche se in negativo, sia «l’impegno nel mondo».

(3) Non possiamo essere d’accordo con P. Regan: nel suo pur meritevole studio comparativo, a proposito  dice: «Nella seconda e terza domenica, la preghiera sulle offerte e la preghiera dopo la comunione sono le stesse nei due messali»: P. Regan, Dall’Avvento alla Pentecoste. La Riforma liturgica nel Messale di Paolo VI, Bologna 2013, 51.

(4) Nella II domenica di Avvento in tutti e tre i cicli del Lezionario è prevista la presentazione della figura del Battista sullo sfondo simbolico di Isaia 40,3 (la voce che grida nel deserto), ovviamente con le particolarità di ciascuno dei tre sinottici.

(5) Nella prima lettura, al versetto 2 leggiamo: «spiritus sapientiae» (Is 11,2).