Il Simbolo apostolico: una singolare attribuzione degli articoli di fede.

Leggiamo in un recente agile libretto di C. Giraudo:

«Secondo una notizia della cui attendibilità storica sant’Ambrogio pare convinto, gli Apostoli, prima di separarsi per andare a predicare il Vangelo, vollero compendiare in una formula facilmente memorizzabile l’intero contenuto della fede cristiana. Parlando ai catecumeni nel giorno in cui consegnava loro il Simbolo, cioè il Credo, da mandare a memoria, il vescovo di Milano spiegava che la parola d’origine greca “simbolo” significa in latino “apporto” (conlatio), in quanto esso risulta dal contributo che ogni apostolo volle dare alla formazione del primo “compendio di fede” (breviarium fidei). Seguendo questa convinzione, basata su un racconto suggestivo ma del tutto leggendario, parecchi autori medioevali immaginarono che Pietro avrebbe cominciato col dire: “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. Dopo di lui gli altri apostoli, a uno a uno, avrebbero proseguito fino a completare la serie dei dodici articoli di cui si compone quello che siamo soliti chiamare Simbolo degli Apostoli. Anche se non sappiamo a chi sia toccato il privilegio di dire “Credo la remissione dei peccati”, dal momento che le attribuzioni variano, resta il fatto che questo decimo articolo non è inferiore per dignità e importanza al primo, di cui è riflesso e sviluppo» (1).

Recentemente, visitando di nuovo un celebre eremo (2) in un luogo ameno della Valle di Non, in Trentino, ci si è rivelata visivamente una versione di tali attribuzione. Nella cappella principale del santuario di san Romedio, le pareti sono affrescate con dodici apostoli, e a ciascun nome viene associato un articolo del Simbolo.

Ecco l’affresco che ci interessa: in base a questa rappresentazione, sarebbe stato Matteo a proporre il perdono dei peccati come verità da credere.

S. Matthaeum Remissionem peccatorum

S. Matthaeum
Remissionem peccatorum

 

Non sfigura, in questo contesto, una citazione tratta dalla seconda lettura dell’Ufficio feriale di oggi, mercoledì della diciassettesima settimana del tempo Ordinario: “La Chiesa si dice cattolica anche perché è destinata a condurre tutto il genere umano, autorità e sudditi, dotti e ingnoranti, al giusto culto. E’ cattolica, infine, perché cura e risana ogni genere di peccati che si compiono per mezzo dell’anima e del corpo. Essa poi possiede ogni genere di santità dell’agire, del parlare e anche quella dei carismi più diversi” (Dalle Catechesi di san Cirillo di Gerusalemme).

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(1) C. Giraudo, Confessare i peccati e confessare il Signore, Cinisello Balsamo (MI) 2013, 5-6.

(2) http://www.it.wikipedia.org/wiki/Santuario_di_San_Romedio. Si narra che anche a san Romedio capitò una disavventura simile a quella di san Corbiniano (la cavalcatura sbranata, per cui si vide costretto ad ammansire un orso e a farsi portare da tale bestia (cf. il post precedente). A ricordo di tale prodigio, è tradizione che nei pressi dell’eremo sia allevato e custodito almeno un esemplare del plantigrado, che attira curiosi e affascina bambini.

“Bestiario salmico”: dal bue del nord-africa all’orso delle alpi.

L’ufficio delle Letture propone per il lunedì della quarta settimana la recitazione del salmo 72[73].

Fra le varie immagini che descrivono lo sgomento del giusto di fronte al dilagare prospero del male, nel versetto 22 si fa riferimento ad una generica bestia, a significare la difficoltà nel comprendere tale mistero. “Io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia”. Ma proprio quello “stare davanti” a Dio, anche se “come bestia”, apre poi il cuore alla novità di Dio. Anche se in modo non tanto adeguato, anzi talvolta “bestiale”, mettersi comunque alla presenza del Signore, permette a Dio di operare e di cambiare il nostro cuore. In questo senso potrebbe intendersi il senso della preghiera oraria e della sua “obbligatorietà”. A prescindere dalle sensazioni personali, dalla “voglia” o dal proprio “sentire”, la fedeltà al ciclo delle Ore di preghiera ci aiuta ad uscire dalla nostra autoreferenzialità, facendoci ritornare, così come siamo, con la nostra fatica e i nostri pesi, e talvolta con le nostre arrabbiature e resistenze, perfino con la nostra carnalità da animaletti, davanti a Dio. E questo guarisce poco a poco, ci placa e ci apre all’intimità con il Signore e con il suo sapiente consiglio. Se aspettassimo sempre il migliore contesto e l’ottimale disposizione interiore, la preghiera sarebbe certamente cosa rara! Al contrario, il cursus quotidiano di preghiera, che talvolta potrebbe sembrare oltremodo pesante e faticoso – e irrispettoso delle nostre personali sensazioni ed emozioni -, risulta ben più sapiente dei nostri pensieri.
Non si voleva però offrire personali considerazioni, quanto introdurre un’illuminatissima e personale attualizzazione del salmo, espressa da Benedetto XVI nel corso del viaggio apostolico nella sua Baviera, nel settembre del 2006. La bestia del salmo 72 non è più e solo il bue, lo “iumentum” da traino usato per arare i campi, ma pure l’orso di san Corbiniano, la singolare cavalcatura con cui il santo si presentò a Roma.
Un bestiario salmico che si apre dunque a nuove interpretazioni, e che rende assai gustosa la preghiera…
Ma ecco la meditazione del Papa:

Forse mi permettete di tornare in questa occasione su un pensiero che, nelle mie brevi memorie, ho sviluppato nel contesto della mia nomina ad Arcivescovo di Monaco e Frisinga. Dovevo divenire successore di san Corbiniano e lo sono diventato. Della sua leggenda mi ha affascinato fin dalla mia infanzia la storia, secondo la quale un orso avrebbe sbranato l’animale da sella del santo, durante il suo viaggio sulle Alpi. Corbiniano lo rimproverò duramente e, come punizione, gli mise sul dorso tutto il suo bagaglio affinché lo portasse fino a Roma. Così l’orso, caricato col fardello del santo, dovette camminare fino a Roma, e solo lì da Corbiniano fu lasciato libero di andarsene.
Quando, nel 1977, mi trovai davanti alla difficile scelta di accettare o no la nomina ad Arcivescovo di Monaco e Frisinga che mi avrebbe strappato alla mia consueta attività universitaria portandomi verso nuovi compiti e nuove responsabilità, riflettei molto. E proprio allora mi ricordai di questo orso e dell’interpretazione dei versetti 22 e 23 del Salmo 72 [73] che sant’Agostino, in una situazione molto simile alla mia nel contesto della sua ordinazione sacerdotale ed episcopale ha sviluppato e, in seguito, espresso nei suoi sermoni sui Salmi. In questo Salmo, il salmista si chiede perché spesso ai malvagi di questo mondo le cose vanno tanto bene e perché, invece, a molte persone buone le cose vanno così male. E allora il Salmista dice: ero stolto per come la pensavo; davanti a te stavo come una bestia, ma poi sono entrato nel santuario e ho compreso che proprio nelle mie difficoltà ero molto vicino a te e che tu eri sempre con me. Agostino, con amore, ha ripreso spesso questo Salmo e, vedendo nell’espressione “davanti a te stavo come una bestia” (iumentum in latino) un riferimento all’animale da tiro che allora veniva usato in Nordafrica per lavorare la terra, ha riconosciuto in questo “iumentum” se stesso come bestia da tiro di Dio, vi si è visto come uno che sta sotto il peso del suo incarico, la “sarcina episcopalis”. Aveva scelto la vita dell’uomo di studio e, come dice in seguito, Dio lo aveva chiamato a fare “l’animale da tiro”, il bravo bue che tira l’aratro nel campo di Dio, che fa il lavoro pesante, che gli viene assegnato. Ma poi riconosce: come l’animale da tiro è molto vicino al contadino, sotto la cui guida lavora, così io sono vicinissimo a Dio, perché così lo servo direttamente per l’edificazione del suo Regno, per la costruzione della Chiesa.
Sullo sfondo di questo pensiero del Vescovo di Ippona, l’orso di san Corbiniano mi incoraggia sempre di nuovo a compiere il mio servizio con gioia e fiducia – trent’anni fa come anche adesso nel mio nuovo incarico – dicendo giorno per giorno il mio “sì” a Dio: Sono divenuto per te come una bestia da soma, ma proprio così “io sono con te sempre” (Sal 72[73], 23). L’orso di san Corbiniano, a Roma, fu lasciato libero. Nel mio caso, il “Padrone” ha deciso diversamente.

(www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060909_speech-mariensaeule_it.html)

Riposo estivo..e riposo eterno

I lettori più assidui si saranno accorti del “silenzio” del blog. Si tratta di una salutare pausa estiva. Che interrompiamo oggi dal santuario francescano della Verna, il luogo dove santo Francesco ricevette il dono straordinario delle stimmate. In questo luogo sto passando un tempo di riposo e preghiera, nel romitorio delle Stimmate.
Ogni giorno passo davanti alla lapide sepolcrale del Cardinale Fernando Antonelli, che volle essere sepolto nel suo amato convento.
Ricordiamo che Antonelli fu Segretario della Commissione Conciliare De Liturgia. La storia della Sacrosanctum Concilium è legata, dunque, anche a lui.
Lo ricordiamo nel giorno della sua nascita al cielo, dal luogo dove le sue spoglie mortali riposano nell’attesa della risurrezione della carne.
Nonostante il riposo che mi sono proposto, non ho potuto fare a meno di dare uno sguardo all’archivio del convento, dove sono conservate alcune carte dell’Antonelli e dove ho attinto interessanti note, di cui diremo prossimamente.
Nel frattempo, buon riposo estivo. E un requiem aeternam alla memoria di Antonelli.

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