Riportiamo la seconda parte della meditazione del Card. Vanhoye, una delle fonti della mirabile sintesi biblico-liturgica dell’omelia di Papa Benedetto XVI. La riportiamo sia per mostrare la fondatezza biblica di quanto affermava il Papa a Colonia, di fronte a centinaia di migliaia di giovani, sia per valutare la personale, e geniale, rivisitazione e riproposizione degli stessi concetti, arricchiti dalla prodigiosa immagine della fissione nucleare, portata dall’amore di Gesù Cristo nel cuore dell’essere.
(Segue) 4. L’alleanza deve necessariamente avere due dimensioni: quella verticale, di relazione con Dio e quella orizzontale, di relazione con i fratelli. Sono le due dimensioni della croce, che sono molto significative, con al centro il cuore di Gesù che fa l’unione di queste due dimensioni per mezzo dell’amore più grande che si sia realizzato. Nella fondazione dell’alleanza del Sinai la dimensione più appariscente è stata quella verticale. Si legge nell’Esodo che Mosè prese il libro dell’alleanza, lo lesse alla presenza del popolo: “Dissero: ‘Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo’. Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: ‘Ecco il sangue dell’Alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole” (Es 24,7 -8). E’ la dimensione verticale di relazione con Dio. Nell’ultima cena, al contrario, la dimensione più appariscente è quella orizzontale, di dono ai fratelli. Il contesto è quello di un pasto preso insieme, un contesto di fratellanza umana. Ogni banchetto ha questo significato di unione tra le persone, di accoglienza reciproca, di relazioni amichevoli, fraterne. Ne1l’AT spesso un banchetto sigillava la conclusione di
un’alleanza. Cosi per gli accordi fra Isacco e Abimelec (Gen 26) e per quelli tra Giacobbe e Labano (Gen 31). In questo contesto di pasto preso insieme, Gesù offre in cibo il proprio corpo e in bevanda il proprio sangue: “Questo è il mio corpo dato per voi. Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue versato per voi”. Si tratta, dunque, di una comunione fraterna espressa nel modo più intimo e più perfetto possibile. Il sangue dell’alleanza è dato per essere bevuto e non soltanto asperso come era avvenuto nella prima alleanza nel Sinai. Il risultato è una interiorità reciproca: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Non è possibile attuare un’alleanza più stretta.
Notate che questo aspetto di comunione profonda tra Gesù e i discepoli presente nell’ultima cena non lo si ritrova più sul Calvario, dove si manifesta soltanto l’aspetto di completa rottura. Gesù sulla croce muore Solo. Muore per la moltitudine, però respinto dalla moltitudine.
5. La dimensione verticale nell’ultima cena è meno evidente, ma è essenziale e condiziona quella orizzontale. Dove si manifesta? Nella preghiera di ringraziamento che Gesù pronunzia due volte, prima sul pane e poi sul calice. Si tratta di una preghiera di una estrema importanza e la Chiesa l’ha capito perché ha chiamato il sacramento “Eucaristia”, che significa “ringraziamento”.
Durante la sua Vita, Gesù spesso assumeva spontaneamente l’atteggiamento filiale di amore riconoscente, atteggiamento che più corrisponde alla sua condizione di Figlio. Il Figlio riceve tutto dal Padre, perciò la sua reazione normale e quella di rispondere a questi doni con gratitudine filiale.
I vangeli ci riferiscono diversi casi in cui Gesù ha ringraziato pubblicamente il Padre. Qui ne vogliamo prendere in considerazione due che appaiono particolarmente significativi e che hanno un rapporto con l’Eucaristia. Si tratta di due situazioni nelle quali noi non avremmo pensato affatto di rendere grazie a Dio: una situazione di mancanza e una di lutto. La situazione di mancanza e quella che precede la moltiplicazione dei pani (Mt 14,14). In un luogo deserto ci sono 5000 uomini da sfamare e Gesù ha a disposizione soltanto cinque pani. Non sarebbe proprio il caso di rallegrarsi né di rendere grazie! Manca il necessario. Nell’Esodo, in situazioni simili quando mancava il cibo, il popolo non ringraziava certo, ma mormorava e si ribellava. Gesù, invece, ringrazia il Padre e cosi da inizio alla moltiplicazione dei pani. Ha aperto la via all’amore sovrabbondante del Padre.
La situazione di lutto è quella della morte di Lazzaro. Gesù si fa condurre presso la tomba del suo amico, la fa aprire e di fronte al sepolcro aperto si rivolge al Padre con questa preghiera completamente inaspettata nelle circostanze: “Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato… E, detto questo, gridò a gran voce: ‘Lazzaro, vieni fuori!’” (Gv 11,41-44).
6 Anche nell’ultima cena Gesù rende grazie come aveva fatto nel momento della moltiplicazione del pani e in un certo senso la situazione è simile e più normale. La preghiera di ringraziamento di Gesù si presenta in questo caso come fatto ordinario della vita quotidiana: la preghiera dell’inizio del pasti. Gli Ebrei prima del pasti benedicevano Dio, cioè ringraziavano Dio come facciamo nella preghiera dell’offertorio: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo perché ci hai dato questo pane”. Nell’ultima cena la moltiplicazione non è necessaria perché sono pochi i commensali. I discepoli sentono il ringraziamento di Gesù e il significato che percepiscono è questo: “Padre ti rendo grazie per questo pane che mi dai, tu che sei il creatore di ogni cosa, la sorgente di ogni vita, tu che nutri generosamente tutte le tue creature. Ti rendo grazie per questo vino, simbolo del tuo amore con il quale rallegri il cuore degli uomini”.
Gesù però sa benissimo che questo pasto non sarà un pasto ordinario. Sa che questo pane e questo vino non resteranno pane e vino materiali. Mentre rende grazie, sa ciò che farà subito dopo e vede che il Padre gli offre la possibilità di un dono incomparabilmente più grande, più sostanzioso e generoso: il dono di se stesso per comunicare agli uomini la vita divina e l’amore divino.
Un primo aspetto dell’Eucaristia è quello di essere un dono non di Gesù, ma del Padre. Nel discorso del pane di vita Gesù aveva detto: “Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo ma il Padre mio vi da il pane dal cielo quello vero” (Gv 6,32).
Gesù è pienamente consapevole che il dono che egli farà proviene dal Padre. Non pretende di avere lui l’iniziativa di tal dono, ma rende grazie al Padre perché gli dà la capacità di trasmetterlo: ‘Ti ringrazio, Padre, perché per mezzo di questo pane che ho nelle mie mani, io stesso diventerò pane per la vita del mondo. Ti ringrazio per avermi dato un corpo che posso trasformare in cibo spirituale, per avermi dato il sangue che posso versare e trasformare in bevanda spirituale. Ti ringrazio per avermi dato soprattutto un cuore pieno d’amore per poter effettuare questa offerta che desidero ardentemente fare. Ti ringrazio perche cosi posso stabilire l’alleanza nuova tra te e tutti i miei fratelli”. L’Eucaristia dono del Padre che vuole dare ai suoi figli un cibo eccellente. La Chiesa riceve effettivamente l’Eucaristia come dono del Padre e questo aspetto viene ribadito continuamente nelle orazioni liturgiche dopo la comunione. In queste orazioni la Chiesa non ci fa ringraziare Gesù, ma ci fa ringraziare il Padre che ci ha accolto alla sua mensa, il Padre che ci ha nutrito con il corpo e il sangue di Cristo. Nel discorso del pane di vita Gesu aveva detto: “Il pane che io darò è la mia came per la vita del mondo” (Gv 6,51). L’Eucaristia, dono per la vita del mondo. Gesù non limita il suo sguardo al piccolo gruppo che gli sta intorno, ma dicendo ai discepoli: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19) pensa a tanta altra gente… alle moltitudini.
Il suo ringraziamento viene cosi a trovarsi all’origine di una nuova moltiplicazione del pane, dell’unico pane; una moltiplicazione ancora più meravigliosa e più importante di quella avvenuta nel deserto. In effetti lo scopo di quest’ultima non era tanto quello di sfamare alcune migliaia di persone, quanto il prefigurare la moltiplicazione del pane eucaristico. Gli evangelisti hanno sottolineato il legame tra questi due episodi, usando nei due casi le stesse espressioni: Gesù prese il pane, levò gli occhi al cielo, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane e lo diede. Quando nell’ultima cena Gesù rende grazie al Padre, egli pensa a questa distribuzione infinita: “Padre, mi unisco a te con immensa gratitudine perché tu fai di me il pane vivo che è dato per la vita del mondo, moltiplicabile all’infinito per tutti gli uomini”.
7. Se ora mettiamo a confronto il ringraziamento pronunciato da Gesù nell’ultima cena con quello pronunciato davanti alla tomba di Lazzaro, in un primo momento è la differenza che ci colpisce, al punto che non ci viene affatto in mente di mettere queste due preghiere in relazione l’una con l’altra. Da una parte si tratta di una preghiera fatta all’aperto di fronte a un sepolcro, dall’altra si tratta di un pasto preso insieme nell’intimità del cenacolo. Riflettendo, possiamo però percepire una profonda somiglianza fra queste due preghiere: in entrambi i casi Gesù deve affrontare la morte e vincerla. Nel primo caso deve affrontare la morte del suo amico Lazzaro, nel secondo deve affrontare la propria morte. Nell’ultima cena Gesù esprime gli stessi sentimenti che aveva espresso davanti alla tomba di Lazzaro, quando aveva detto: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato”. Allora era sicuro di essere ascoltato dal Padre e di riportare la vittoria sulla morte dell’amico. Similmente, nell’ultima cena, egli ringrazia con pienezza il Padre per la vittoria che riporterà sulla morte: “Padre, ti rendo grazie, perché so in anticipo che mi dai la vittoria sulla morte per me e per tutti. Ti
rendo grazie, perché tu hai messo nel mio cuore tutta la forza del tuo amore, capace di vincere la morte, trasformandola nell’occasione del dono più completo e perfetto di me stesso. Grazie alla forza di questo amore, il mio corpo diventerà, attraverso la morte, il Pane della vita e il mio sangue versato diventerà sorgente di comunione, sangue di alleanza. Tutti potranno ricevere questo dono. Padre, ti rendo grazie per questa possibilità meravigliosa che mi dai”.
Proprio in quanto ringraziamento anticipato, che viene prima della vittoria, questa preghiera costituisce una rivelazione eccezionale della vita interiore di Gesù, della sua unione filiale con il Padre, della sua fiducia assoluta in lui e nello stesso tempo costituisce un’azione estremamente efficace, poiché quel ringraziamento determina tutti gli avvenimenti successivi. L’istituzione dell’Eucaristia, evidentemente, dipende da questo ringraziamento, ma anche la passione vittoriosa, la risurrezione gloriosa e la fondazione della nuova alleanza. Tutto dipende da questo rendimento di grazie, tutto dipende dal dono generoso del Padre ricevuto da Gesù con gratitudine perfetta.
8. Ora possiamo fare un confronto con l’Antico Testamento, per renderci meglio conto della novità dell’Eucaristia in quanto sacrificio di ringraziamento. L’AT conosceva i sacrifici di ringraziamento o sacrifici di lode, chiamati todà, parola ebraica che esprime la riconoscenza e che si usa ancor oggi, in Israele, per dire “grazie”.
Qual è lo schema abituale dei sacrifici di ringraziamento nell’AT? E’ uno schema molto naturale. Una persona si trova in pericolo di morte, invoca Dio con intensa preghiera e promette di offrire un sacrificio di ringraziamento se scamperà alla morte. Questa condizione si verifica, la persona si reca nel Tempio per offrire in mezzo all’assemblea festosa il sacrificio di ringraziamento, sacrificio che si conclude con un pasto nel quale tutti mangiano parte della vittima immolata e a questo banchetto sono invitati specialmente i poveri. Questo schema e ancora vigente ai nostri giorni. Una persona che si trova in grave difficoltà fa una richiesta a Dio e la accompagna con un voto; se verrà esaudita si recherà in qualche santuario per ringraziare Dio. E’ uno schema che ritorna continuamente nei salmi. Ad esempio nel salmo 21(22), il salmo della passione, viene descritto innanzitutto il pericolo con molti dettagli, la situazione disperata del giusto perseguitato: “Mi circondano i tori di Basan, spalancano contro di me la loro bocca, come un leone che ruggisce…”. Poi viene la supplica: “Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto”. Quindi, la promessa del sacrificio di ringraziamento: “Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea ti loderò”.
I versetti seguenti riferiscono in anticipo ciò che l’orante dirà dopo essere stato salvato, quando scioglierà i suoi voti come dice il salmo: “Lodatelo, glorificatelo, perché non ha disprezzato ne sdegnato l’afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito”. Alla fine, viene annunciato anche il pasto di comunione: “Mangeranno i poveri e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano”. Altri salmi esprimono il rendimento di grazie del fedele scampato al pericolo, come il salmo 137 (l38): “Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca. A te voglio cantare davanti agli angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo…”. Altri salmi ancora esortano i fedeli esauditi ad offrire i sacrifici di ringraziamento, ad esempio il 106 (107) che elenca diversi casi di pericoli estremi, la prigione con la minaccia di essere messo a morte, il deserto col pericolo di morire di fame e di sete, la tempesta sul mare, la malattia mortale. E ogni volta il fedele viene invitato a ringraziare il Signore il quale lo ha liberato: “Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi a favore degli uomini. Offrano a lui sacrifici di lode, narrino con giubilo le sue opere”. Pertanto, secondo lo schema abituale, il sacrificio di ringraziamento viene naturalmente alla fine, come felice conclusione di una vicenda che minacciava di finire molto male.
Ciò che è straordinario nel caso di Gesù è che egli ha anticipato il ringraziamento, mettendolo all’inizio, assieme al pasto di comunione. Nell’ultima cena sappiamo bene che Gesù ha anticipato la sua morte, l’ha resa presente in anticipo. Ma non viene abbastanza evidenziato il fatto che Cristo ha anticipato anche il ringraziamento finale per la vittoria sulla morte, ottenuta attraverso la morte stessa. Ha messo cosi per primo l’elemento che di solito viene messo per ultimo, il rendimento di grazie con il banchetto offerto ai fedeli. Nel suo caso il sacrificio di ringraziamento è strettamente legato al sacrificio di alleanza, perché egli ringrazia poter fondare la nuova alleanza, trasformando il suo proprio corpo in cibo di comunione e il suo sangue versato, segno di morte violenta, in sangue di alleanza.
9. Possiamo fare un’ultima osservazione. Di solito si distinguono chiaramente tre elementi successivi: la situazione di pericolo, la liberazione, il rendimento di grazie. Nel caso di Gesù, questi tre momenti successivi sono uniti in modo sorprendente, si compenetrano a vicenda: il rendimento di grazie comincia nella situazione di pericolo. Questo perché il pericolo non è stato soppresso dall’esterno da un intervento miracoloso; Gesù non è stato preservato dalla morte, la morte non è stata miracolosamente evitata.
La morte è stata trasformata dall’interno in strumento di vittoria sulla morte, in strumento di liberazione di alleanza. Cosi la morte stessa suscita sin dall’inizio il rendimento di grazie, perché si tratta di una morte vittoriosa; una morte che vince la morte per mezzo dell’amore che Gesù riceve dal Padre mediante il rendimento di grazie. Ecco perché, mentre in tutti gli altri casi una persona ringrazia dopo l’evento, nel caso di Gesù il ringraziamento precede l’evento e lo accompagna sino alla fine: perché tutto l’evento è un dono positivo di Dio, il dono di un sacerdozio esistenziale.
Tutte queste osservazioni ci aiutano a comprendere la profondità del mistero e soprattutto la forza dell’amore che proviene dal Padre, passa attraverso il cuore di Cristo e trasforma un avvenimento tragico e scandaloso in sorgente di grazie infinite.
Quando celebriamo l’Eucaristia e ci comunichiamo, riceviamo in noi questo intenso dinamismo di amore capace di trasformare tutti gli eventi in occasione di progresso e di vittoria.
Ne dobbiamo prendere meglio coscienza, per diventare effettivamente capaci di superare ogni difficoltà con la forza dell’amore, in un continuo ringraziamento a Dio. Il ruolo principale del sacerdote è quello di comunicare meglio ai fedeli questo dinamismo splendido dell’Eucaristia.