Come precedentemente anticipato (https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/09/12/il-nuovo-rito-della-penitenza-paolo-vi-critico-dalla-carte-del-card-antonelli-unannotazione-da-approfondire/), avviamo oggi la pubblicazione di alcuni paragrafi della nostra ricerca dottorale, sull’introduzione della Liturgia della Parola nella celebrazione del sacramento della riconciliazione. L’apparato critico (note e riferimenti) è alquanto ridotto rispetto al testo orginale (http://www.eos-verlag.de/studia-anselmiana/analecta-liturgica/la-parola-della-riconciliazione)
Capitolo I
QUESTIONI INTRODUTTIVE
1. UN RITUALE ANCORA DA APPROFONDIRE
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, fra le norme generali che avrebbero dovuto guidare la riforma e l’incremento della stessa liturgia, affermava un principio assai chiaro:
«Massima è l’importanza della sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare, del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni. Perciò, per favorire la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali sia occidentali» (SC 24).
Se il primo dato di questo numero della SC sembra ormai acquisito, e un pieno recupero dell’importanza della Bibbia nella Liturgia è testimoniato anche dall’estesa produzione teologica a riguardo (1), la seconda indicazione di questo paragrafo della Costituzione non sembra essere stata recepita in modo similmente compiuto e radicato: nelle questioni relative alla riforma della liturgia, sia nel favorire il processo di approfondimento sia nel valutare il lavoro fin qui fatto, raramente ci si sofferma su quello che SC afferma come necessità (2). A pochi anni dal cinquantenario dell’approvazione della SC, rimane purtroppo lecito e giustificato dubitare dell’effettiva recezione del dettato conciliare: «Non c’è forse da chiedersi se non si sia ancora una volta relegato la Parola nella penombra, invece di metterla al centro di qualunque riforma, progresso e adattamento?»(3).
Un esempio palese ed evidente di tale difficoltà lo si ha nel caso particolare dell’Ordo Paenitentiae, riformato secondo le indicazioni conciliari e pubblicato da Paolo VI nel 1974. Infatti, nel caso di questo sacramento, se da un parte il libro liturgico rinnovato presenta il più ricco e abbondante lezionario biblico di tutti i rituali dei sacramenti della riforma del Vaticano II (4), d’altra parte proprio tale lezionario pare – paradossalmente – il meno usato nelle concrete celebrazioni della penitenza, specialmente nella modalità più diffusa, quella del rito per la riconciliazione di singoli penitenti (5). Con il nuovo Rituale della penitenza si è dunque ottemperato a quello che il Concilio auspicava, sia nel numero citato sopra, sia in un altro luogo – «In celebrationibus sacris abundantior, varior et aptior lectio sacrae Scripturae instauretur» (SC 35,1) – ma una piena recezione di tali auspici di riforma è ancora lontana dall’essere raggiunta. E simile difficoltà non si registra solamente a livello di pratica pastorale, nelle effettive celebrazioni di tale sacramento ma pure a livello di riflessione teologico-liturgica le indicazioni conciliari paiono poco studiate. Le attenzioni dei teologi e dei liturgisti, nel valutare le problematiche e nell’evidenziare gli spunti positivi della celebrazione della penitenza secondo il Rituale di Paolo VI, raramente mettono la Parola di Dio al centro delle loro osservazioni. La produzione scientifica, infatti, pare concentrata su aspetti più scottanti dal punto di vista teologico o più urgenti dal punto di vista pastorale, in un’alternanza di dati e statistiche sconfortanti (6), che registrano una quasi ineluttabile (7) crisi della confessione (8), e di auspici per ulteriori passi in avanti nella prassi liturgica, alla ricerca di modalità più corrispondenti – si dice – allo spirito del Vaticano II. La situazione pare bloccata (9) e avviluppata sempre più su posizioni inconciliabili e radicali: mentre vi è chi, convinto assertore degli errori e del fallimento della riforma liturgica conciliare, sembra desiderare un ritorno alla prassi liturgica anteriore, altri, al contrario, giudicano il Rituale di Paolo VI eccessivamente prudente o incompiuto, immaginando, ad esempio, una ben più ampia possibilità dell’assoluzione generale senza previa confessione individuale (10). L’empasse attuale sembra comunque screditare il lavoro di riforma conciliare, che apparve già da subito di problematica recezione (11), e aumentano le fila di chi, per opposte ragioni, ne è insoddisfatto.
Qui ci si chiede, pertanto, – riferendosi a SC 24 – se non sia possibile un altro tipo di riflessione sulla riforma del sacramento della Penitenza. Senza attendere improbabili mutamenti nella disciplina penitenziale insieme a sconvolgenti novità e, allo stesso tempo, senza cadere in sterili nostalgie, si delinea un’altra questione: l’introduzione della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia della riconciliazione non è forse un elemento ancora non sufficientemente valutato e che, invece, se ben compreso e messo in pratica fedelmente, potrebbe rivitalizzare la celebrazione del perdono?
Una rinnovata e più profonda ermeneutica di OP è indirettamente suggerita anche dal Santo Padre, poiché risulta evidente che anche nella recezione della riforma del «quarto sacramento» si sia verificato qualcosa di simile a quanto Benedetto XVI tratteggiava, in generale, sull’attuazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II:
«Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovata a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti»(12) .
Ci potrebbe essere, allora, una lettura ed una applicazione del rituale della Penitenza di Paolo VI che porti frutti maggiori di quelli raggiunti finora? Una comprensione che non forzi la «lettera» del testo, alla ricerca di chissà quale «spirito», ma che sia ancora più concentrata sui testi, investigando ciò che la lettera asserisce seguendo il cammino che ha portato alla formulazione definitiva?
Sul tema dell’importanza della Parola di Dio nella celebrazione della penitenza, la lettera del Rituale è, per la verità, assai chiara. I Praenotanda dell’Ordo Paenitentiae affermano, al numero 24: «Sacramentum paenitentiae ab auditione verbi initium sumat oportet». La chiarezza e il generale apprezzamento per questo dato rischiano, pare, di rimanere lettera morta, senza un approfondimento, secondo l’ermeneutica della continuità, del cammino che ha portato alla redazione dell’Ordo Paenitentiae, soffermandosi in particolare su quel principio teologico-liturgico, formulato per il rito con più penitenti, ma applicabile – si vedrà – anche alle altre modalità celebrative. Varie ragioni sembrano convergere nel far ritenere utile, se non necessario, uno studio specifico sul tema.
Si accennava sopra al fatto che nella prassi celebrativa della riconciliazione l’importanza della Parola di Dio sia stata poco compresa. In effetti, al di là di comunità liturgicamente ben formate, sembra che ragioni «pastorali» giustifichino tranquillamente la abituale infedeltà alle indicazioni teologico-liturgiche del rituale(13). Da più parti giungono note di biasimo per la negligenza nell’applicazione del nuovo Rituale, ma tali interventi sono spesso generici e comunque non efficaci(14) .
Il Magistero spesso vi fa riferimento. Diversi interventi si sono succeduti (15), con diversi gradi di autorevolezza, fino ad un ultimo rilievo nell’Instrumentum Laboris del recente Sinodo dei Vescovi sulla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» (ottobre 2008): nel numero 36, su Parola ed economia sacramentale, viene detto esplicitamente:
«Si richiede una nuova coscienza circa l’annuncio della Parola di Dio nella celebrazione, specialmente individuale, del sacramento della Penitenza» (16) .
Quest’ultimo richiamo è assai significativo, ma si deve pur riconoscere che si rischia di rimanere nell’ambito dell’ideale sempre indicato e mai raggiunto e di ripetere affermazioni vagamente illusorie: occorre anche, si crede, una solida base storico-liturgica, perché davvero maturi una coscienza autenticamente rinnovata, che possa modificare una prassi consolidata e stancamente refrattaria ad arricchimenti e innovazioni.
Nella bibliografia su questo sacramento non mancano, certo, diversi e validi contributi che sviluppano il tema della presenza della Parola di Dio nella penitenza; lo fanno, tuttavia, con argomentazioni di ambito teologico-biblico o teologico-pastorale, senza centrare la questione dal punto di vista propriamente liturgico. Si vedano, ad esempio, alcune riflessioni di M. Magrassi o di P. Sorci : gli autori sembrano dare per scontata e acquisita la grande novità presente nel rituale, la quale, perciò, pare riemersa come per incanto da un indefinito passato o assunta così pacificamente da poter essere presentata senza fare alcuna parola del travaglio con cui si è giunti alla sua esplicitazione. La prassi, invece, dimostra come tale acquisizione non sia né scontata né pacifica.
Anche gli stessi uomini che materialmente lavorarono alla redazione del nuovo Rituale, nella vastità delle questioni e degli aspetti toccati nelle presentazioni e negli articoli di commento, non si fermarono a focalizzare meglio il tema della presenza della Parola di Dio nella celebrazione. Così accadde, generalmente, con i contributi apparsi sulle riviste liturgiche in prossimità della pubblicazione del Rituale o in ricorrenze anniversarie: di quanto OP 24 riassume e indica, se ne parla en passant, fra tanti altri aspetti, che sembrano attirare di più, quali, ad esempio, la questione dell’assoluzione generale e la dimensione comunitaria della riconciliazione.
D’altronde non stupisce la scarsità di studi particolari su questo aspetto specifico, se già la produzione scientifica sulla liturgia di questo sacramento, in generale, è tuttaltro che ricca . Sarà questa un’eredità del passato, che concepiva la penitenza come un rito privato di quasi ogni parvenza liturgica?
Pure uno dei più notevoli lavori sulla riforma della penitenza del Vaticano II, lo studio di M. Busca , pubblicato presso il Centro Liturgico Vincenziano, sembra temere una considerazione esclusivamente liturgica del tema «riforma della penitenza». Il prestigio della collana, la mole del volume e il sottotitolo – Studio sulla riforma della riconciliazione dei penitenti – inducono aspettative che però vengono frenate già all’inizio, quando l’autore, con onestà, professa il taglio più dogmatico che liturgico della sua ricerca .
Compulsando la bibliografia sul tema, rimane l’impressione che di tanti, fra coloro che generalmente apprezzano l’inserimento della Parola di Dio nella celebrazione del sacramento della penitenza, pochi abbiano realmente compreso la sua importanza. Non se ne concepisce ancora chiaramente il ruolo strutturale, ed essa rimane come elemento quasi estrinseco e giustapposto al momento sacramentale . In questo senso paiono riduttivi anche alcuni commentari al lezionario del rito della penitenza, cui si deve comunque fare cenno : ad essi manca una riflessione previa sul senso della presenza di letture bibliche nella celebrazione del sacramento della riconciliazione. Altrettanto riduttivo pare il considerare la presenza della Parola di Dio nella celebrazione concentrando l’attenzione solamente sulle pericopi bibliche esplicitamente citate nel rituale. La storia della liturgia insegna che le modalità di presenza della Parola di Dio nella celebrazione non sono limitate al solo modo di proclamazione formale di letture, ma si differenziano in sfumature e gradi diversi e poliedrici , come del resto ricordava il numero della Costituzione citato all’inizio.
La potenza efficace della Parola di Dio sembra non essere ancora concepita come facente parte a pieno titolo della dinamica sacramentale del quarto sacramento. Non è forse limitante pensare alla proclamazione della Parola di Dio come semplice «preparazione» o alla Sacra Scrittura come «locus» dove rinvenire testi l’esame di coscienza? Si dimentica forse quanto la stessa Scrittura testimonia riguardo all’efficacia della Parola nel processo di conversione? Basti ricordare solo due citazioni:
«All’udire tutte queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. E Pietro disse loro: “Convertitevi e ciascuno si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati» (At 2,37-38) .
«Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
Senza indagare, in modo speculativo, sui motivi di questo strano senso di estraneità con cui si vive la presenza della Parola di Dio nella celebrazione sacramentale della penitenza, la presente ricerca vorrà documentare come l’inserimento di letture, salmi, e di altri linguaggi biblici sia uno dei punti di forza della riforma della penitenza, come del resto si può dire, in generale, di ogni celebrazione sacramentale nello spirito del Vaticano II. Non a caso, infatti, lo scritto più importante per lo studio della riforma post-conciliare, riporta, fra gli «altiora principia» che hanno guidato il cammino di revisione dei riti, un assioma formulato con parole aperte e chiare:
«Dopo secoli di trascuratezza ritorna vitale e vitalizzante la parola di Dio, in tutti i riti liturgici. Prima la parola, poi il sacramento o la benedizione. È una divina pedagogia, alterata nel corso dei secoli e giunta fino a noi mancante, deformata, scheletrita. Ora ritorna il principio: nessuna azione liturgica senza la parola» (17).
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(1) Sia sufficiente ora segnalare solo alcuni contributi esemplificativi e rimandare alla bibliografia ivi indicata: cf. A. M. TRIACCA, «Bibbia e liturgia», in Liturgia, edd. D. Sartore – A. M. Triacca, C. Cibien, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 256-283; R. DE ZAN, «Bibbia e Liturgia», in Scientia Liturgica. Manuale di liturgia I, Introduzione alla liturgia, ed. A. J. Chupungco, Casale Monferrato (AL) 1998, 48-66. Cf. anche T. FEDERICI, «Parola di Dio e liturgia della Chiesa nella Costituzione Sacrosanctum Concilium», N 15 (1979) 684-722.
(2) «Questa affermazione fatta dal Magistero sembra essere in qualche modo lasciata, almeno per quest’ultimo periodo, in penombra. Forse ci sono problemi più urgenti da affrontare, ma è giusto notare come negli ultimi interventi magisteriali riguardanti la riforma il progresso e l’adattamento, non sia mai stato affrontato il problema da questo punto di vista così chiaramente indicato dal Concilio: senza il gusto vivo e saporoso della Scrittura proveniente dai riti delle tradizioni orientali e occidentali non c’è riforma né progresso né adattamento. Sicuramente questa affermazione conciliare non esclude che ci siano altri elementi da tener presente come la dimensione antropologica delle problematiche, ma il fondamento è solo nella Parola»: R. DE ZAN, «La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium e i suoi rapporti con la Dei Verbum», Liturgia (CAL) 41 (2007) 10. «Nella Sacrosanctum Concilium la Sacra Scrittura è stata assunta come norma e giudizio per comprendere la liturgia e riformare la sua prassi»: P. MARINI, Liturgia e bellezza. Nobilis pulchritudo, Città del Vaticano 2005, 56. Si può dire che sia stato completamente recepito questo dato? Sembrerebbe che ancora non sia stato fatto tutto il possibile, e che si debba costatare che «ancora oggi la Liturgia della Parola è considerata di fatto l’ancilla – nel senso più debole del termine – la serva povera e disprezzata del percorso di riforma della liturgia e nell’itinerario celebrativo»: G. MIDILI, «La Chiesa proclama la Parola e lo Spirito suscita la preghiera», CeF 95 (2010) 19.
(3) DE ZAN, «La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium», 13. Il paragrafo iniziava con altre domande assai interessanti: «La Liturgia sta perdendo in qualche maniera quello slancio che aveva subito dopo il Concilio? Se questo fosse vero, quali potrebbero essere i motivi? Basta affermare che certe scelte di adattamento e inculturazione quanto meno discutibili hanno costretto a interventi chiari del Magistero, frenando in qualche modo lo slancio?».
(4) I numeri 101-201 di OP riportano, fra letture dell’At, salmi responsoriali, letture del Nt e dei Vangeli, 101 brani biblici. A questa vasta gamma di letture da scegliere si possono poi aggiungere altre citazioni esplicite di testi biblici, come testi vari e formule con altre finalità (ad es. in numeri 67-71 presentano testi per invitare i penitenti alla fiducia in Dio). Cf. R. FALSINI, «La liturgia della parola nelle celebrazioni sacramentali», RPL 198 (1996) 34.
(5) Per la situazione dell’Italia, si veda la ricerca promossa dalla Conferenza Episcopale e curata da V. GROLLA, «La situazione della liturgia in Italia. Ricerca socio-religiosa», RL 69 (1982) 384-413. In particolare la pagina 402: «Da parte degli “esperti” c’è una duplice convergenza: anzitutto che era necessaria una riflessione teologica e pastorale più coraggiosa capace di rivedere tutto il quadro in cui si colloca il Rito della Riconciliazione e non solo i particolarismi celebrativi, per cui ora si avverte come il rito giaccia su un terreno teologicamente e pastoralmente incompleto con la aggravante di notevoli difficoltà culturali; in secondo luogo che nella prassi il nuovo Rito è stato quasi completamente disatteso (generalizzazione della prima forma, mantenimento della prassi precedente come modo e come luogo, estromissione della parola di Dio, mancato impegno nel far comprendere il nuovo stile della celebrazione, vanificazione della dimensione comunitaria e celebrativa della misericordia di Dio) per cui il Rito situa dei “perdonati” e non dei “convertiti”».
(6) «Con altrettanta evidenza la ricerca della CEI rivela la mancata accoglienza della dimensione celebrativa del sacramento, che è uno degli aspetti portanti del nuovo Ordo..[…]. Sembra addirittura non essere stata percepita nel suo dinamismo interiore la struttura della stessa azione celebrativa articolata attorno al raduno-accoglienza, proclamazione della Parola, evento sacramentale, missione»: G. COLOMBO, «Prassi pastorale-rituale del sacramento della Penitenza. Lettura dei dati della ricerca da parte di un teologo liturgista», RL 70 (1983) 568.
(7) Si veda, ad es., il titolo provocatorio del libretto curato da Associazione Italiana «Noi siamo Chiesa», Confessione addio?, Molfetta (BA) 2005, nel quale appaiono contributi di autori conosciuti quali R. Falsini, C. Collo, P. Sorci, etc. Cf. anche J. A. FAVAZZA, «The Fragile Future of Reconciliation», W 71 (1997) 236-244; ID., «The Efficacy of Ritual Resistance: the Case of Catholic Sacramental Reconciliation», W 72 (1998) 210-220.
(8) «Sacramentum Paenitentiae in discrimine versatur»: il sacramento della penitenza è in crisi. L’espressione possiede il crisma dell’ufficialità, essendo ripresa ed affermata in un documento del Magistero: GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia 28, in AAS 77 (1985) 251.
(9) «Il bilancio generale, se non erriamo, ci sembra possa esprimersi in inerzia, passività, speranza di chissà quali cambiamenti della situazione, attesi non si sa da quale parte. Intanto è più comodo tirare avanti con la solita routine. E la confessione così, per costatazione generale, viene a trovarsi sempre più in crisi tra il clero e i fedeli. C’è una via di uscita?»: P. VISENTIN, «Il “Rito della penitenza” e la confessione della fede», RPL 96 (1979) 7. Il liturgista spagnolo P. Farnés intitola un paragrafo di un suo studio sulla prassi penitenziale in modo assai significativo: «¿Decepción ante el fracaso?»: P. FARNÉS, «Sobre el sacramento de la penitencia en el tiempo de la penitencia», LE 31 (2000) 57.
(10) Cf. le questioni sollevate da alcuni passaggi di GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Misericordia Dei, AAS 94 (2002) 452-459: cf. A. GRILLO, «Più del diritto. Il motu proprio “Misericordia Dei” su alcuni aspetti della celebrazione del sacramento della penitenza», Il regno-attualità 47 (2002) 379-381; R. BARILE, «Confessare durante la messa», RPL 258 (2006) 45-49. Cf. D. FERNÀNDEZ, Dio ama e perdona senza condizioni, Brescia 2001. Cf. una panoramica di differenti posizioni a proposito in P. SORCI, «L’assoluzione collettiva: un problema posto male», RPL 126 (1984) 21-26.
(11) Si veda a titolo di esempio due contributi complementari apparsi sotto il titolo «Dibattito su “Il rito della penitenza”»: A FERRUA, «Dall’epinicio alla geremiade (nel terzo genetliaco dell’Ordo Paenitentiae)», RPL 84 (1977) 30-34 e F. SOTTOCORNOLA, «Rinnovare il rito o la prassi pastorale?», ibid. 35-37.
(12) XVI, Allocutio Ad romanam curiam ob omina natalicia (22/12/2005), AAS 98 (2006) 45-46.
(13) D’altra parte, era fatale che ciò accadesse: per giustificare l’omissione, nella prassi liturgica, di OP 24, si può sempre addurre la rubrica inserita con maestria esperta che, a riguardo del rito con un singolo penitente, dice al numero 43: «Tunc sacerdos, pro opportunitate, legit vel memoriter recitat aliquem textum sacrae Scripturae, quo misericordia Dei annuntiatur et homo ad conversionem vocatur». Appena sopra si è ritenuto di accompagnare il titoletto «Lectio verbi Dei» con una precisazione significativa: «(ad libitum)».
(14) Anche gli affondi più critici e taglienti rischiano di passare quasi come «sfoghi», archiviati senza che si presti ad essi la dovuta attenzione: cf. P. VISENTIN, «Il nuovo “Ordo Paenitentiae”: genesi –valutazione – potenzialità», in La celebrazione della penitenza cristiana. Atti della IX Settimana di studio della Associazione Professori di Liturgia. Armeno (Novara) 25-29 agosto 1980, Torino 1981, 77: «L’assioma delle “Premesse” sopra citato che suppone tutto il processo penitenziale prendere l’avvio dall’ascolto della Parola, poteva avere molta più applicazione, almeno nelle comunità più preparate e impegnate spiritualmente. Ma quanto si è fatto, anche da parte dei responsabili, perché le cose camminassero su questa linea, secondo la preziosa indicazione, teologica e pastorale, dell’OP? Forse qualcosa si è realizzato o si è tentato in certi gruppi, e magari in quelli che sono sospettati o accusati di essere “poco ecclesiali”. Ma le comunità che si ritengono ecclesialmente a posto, hanno capito e si sono convertite affidandosi alla potenza della parola di Dio? C’è molto da meditare qui per i pastori e le guide del popolo di Dio. Forse si ha più fiducia nelle nostre parole su Dio, che sull’ascolto diretto della parola di Dio».
(15) Pochi mesi dopo l’editio typica del Rituale, i Vescovi italiani pubblicano un documento pastorale tutto centrato sulla necessità di evangelizzare la pratica sacramentale, in cui si insiste notevolmente sul raccordo fra Parola di Dio e autentica ed efficace celebrazione della riconciliazione. Il documento dà anche giudizi espliciti sul nuovo Rituale e sul precedente: «Nella stessa celebrazione del sacramento della penitenza, fino all’entrata in vigore del nuovo rito, era carente la proclamazione della parola di Dio. La fretta, anzi, che non di rado contraddistingue questa celebrazione, non permetteva né permette nella maggior parte dei casi che brevi e generiche ammonizioni da parte del sacerdote ministro. […] Sarebbe deleterio, se ricorrendo a facili pretesti di ordine pratico, si sorvolasse con leggerezza su questo particolare del rito provvidenzialmente innovativo»: CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi (12/07/1974), 21.96, in Enchiridion della Conferenza episcopale italiana, II (1973-1979), Bologna 1994, 461-512. Quasi trent’anni dopo la pubblicazione del Rituale, il Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera ai sacerdoti per il giovedì santo, ribadiva l’importanza della Parola di Dio come orizzonte in cui deve essere celebrato l’incontro con il perdono, registrando allo stesso tempo la problematicità della recezione di questo dato: «Guai se tutto si riducesse a espedienti comunicativi umani! L’attenzione alle leggi della comunicazione umana può essere utile, e non deve essere trascurata, ma tutto dev’essere fondato sulla Parola di Dio. Per questo il rito del sacramento prevede anche che al penitente si proclami questa Parola. È un particolare da non sottovalutare, anche se di non facile attuazione»: GIOVANNI PAOLO II, Letter of HIs Holiness Pope John Paul II to Priests for Holy Thursday 2002 7, AAS 94 (2002) 438-439 (traduzione mia). Per una panoramica più generale, si veda anche P. ROUILLARD, «Indicazioni teologico-pastorali sul Rito della Penitenza negli interventi delle Conferenze Episcopali», in La celebrazione della penitenza cristiana, 112-122; il Catechismo della Chiesa Cattolica sembra non recepire quanto affermano i Praenotanda di OP: all’importanza della Parola di Dio nella celebrazione del sacramento fa solo un cenno: «È bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli Apostoli: il Discorso della Montagna, gli insegnamenti apostolici» (CCC 1454). Cf. E. MAZZA, «Il sacramento della Penitenza. Un confronto tra il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Rito della Penitenza», RL 81 (1994) 782-797.
(16) SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI, XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Instrumentum Laboris, 36, Città del Vaticano 2008. Si veda anche J. J. FLORES, «La Palabra de Dios: una encarnación continua en la celebración litúrgica. A propósito del Sínodo sobre la Palabra de Dios», Phase 48 (2008) 9-15.
(17) A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 30), Roma 21997, 59.