Siamo, evidentemente, fuori tempo, ma può essere utile – a titolo esemplificativo – tornare ad alcuni testi del proprio del tempo di Avvento e Natale, per mostrare la libertà che la liturgia si prende nell’usare e nel citare la Sacra Scrittura, dalla quale però è totalmente ispirata e imbevuta, assumendo da essa le parole che poi rielabora in proprio: il risultato è una mirabile ricchezza.
Il primo caso è la qualifica geografica di Betlemme. E’ celebre la profezia di Michea a riguardo, ripresa – rielaborata – dall’evangelista Matteo. Ebbene, quel processo di citazione riadattata inziato nel Nuovo Testamento si conclude nella liturgia, che riprende un testo di Prudenzio (1) e lo propone come Inno nella liturgia delle Ore. Così, Betlemme passa ad essere non solo non più così piccola nè, ancora, non davvero l’ultima, ma finalmente grande!
E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti [et tu Bethlehem Epurata parvulus es in milibus Iuda ex te mihi egredietur qui sit dominator in Israhel et egressus ius ab initio a diebus aeternitatis] (Mi 5,2)
E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te in fatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele [et tu Bethlehem terra Iuda nequaquam minima es in principibus Iuda ex te enim exit dux qui reget populum meum Israhel] (Mt 2,6)
Betlemme, tu sei grande fra le città di Giuda: in te è apparso al mondo il Cristo Salvatore [O sola magnarum urbium maior Bethlem, cui contigit ducem salutis caelitus incorporatum gignere] (Liturgia delle Ore, Inno dell’Ufficio delle Letture e Lodi per il tempo di Natale dalla solennità dell’Epifania)
Abbiamo evidenziato anche il verbo uscire, perché echeggia un altra strofa di un inno importante, strofa che però – un vero peccato -, non è stata conservata nell’attuale liturgia. Essa è parte dell’Inno, attribuibile con certezza al genio di sant’Ambrogio, Intende, qui regis Israel (cf. qui e anche qui). Nell’odierna Liturgia delle Ore una versione ridotta ci viene proposta come Inno per l’Ufficio delle Letture per il tempo di Avvento dopo il 16 dicembre. Il simbolismo del sole e del suo corso è rimasto comunque nell’Inno: si è perso invece il riassunto dell’intera opera salvifica di Gesù Cristo che Ambrogio sviluppa a partire dall’arco dell’orbita solare.
Basterebbe poco, tuttavia, perché la rilettura della Scrittura, di cui i Padri sono stati maestri, possa arrivare fino a noi, e non come testi lontani ed estranei, ma come ricchezze ricevute dalla tradizione da gustare e da far risplendere. Questo dovrebbero fare i liturgisti!
Sorge da un estremo del cielo e la sua orbita (corsa) raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore [a summo caeli egressio eius et occursus eius usque ad summum eius nec est qui se abscondat a calore eius] (Sal 18,7)
La sua uscita dal Padre, e il suo ritorno al Padre, la sua discesa fino agli inferi e il suo ritorno al regno di Dio [Egressus eius a Patre, regressus eius ad Patrem ; excursus usque ad inferos recursus ad sedem Dei]
(1) Cf. qui.
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