Per ricordare il 4 dicembre 1963, il giorno dell’approvazione solenne della Sacrosanctum Concilium, prendiamo in prestito un testo del Cardinale Ratzinger, scritto per la prestigiosa rivista tedesca Liturgisches Jahrbuch. La versione italiana è stata pubblicata nel volume XI della sua Opera Omnia.
Si tratta di un testo di qualche anno fa, scritto per commemorare i 40 anni della Costituzione, ma che pure conserva la sua attualità e la sua autorevolezza. Ne riprendiamo le prime righe, per poi passare alle pagine in cui Ratzinger presenta a suo modo una delle categorie fondamentali della riforma, la comprensibilità dei riti.
1. Accadde 40 anni fa.
Fu un grande giorno per il Concilio Vaticano II e per la Chiesa in generale, quando, il 4 dicembre 1963, fu approvata quasi all’unanimità la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Il Concilio aveva preso delle decisioni di grande portata che, in seguito, avrebbero cambiato il volto della Chiesa in modo decisivo. I Padri erano consapevoli che avevano messo a frutto una lunga storia precedente, avendo convogliato le varie tendenze, conoscenze ed esperienze maturate nel movimento liturgico in una visione complessiva destinata ad aprire un nuovo capitolo nella storia della liturgia. Il testo stesso esprime così il nesso con la storia che lo precedeva: “L’interesse per l’incremento e il rinnovamento della liturgia è giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio (transitus) dello Spirito Santo nella sua Chiesa” (SC 43).
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3. Le categorie fondamentali della riforma: comprensibilità – partecipazione – semplicità
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E allora, che fare? Si potrebbero inserire sempre più spiegazioni, e così far diventare la liturgia un fiume di parole, trasformandola in una lezione scolastica; e con quale successo? Inoltre così potrebbero essere anche banalizzatele sue grandi espressioni – cosa che, purtroppo, succede abbastanza spesso -, i passaggi difficili della Scrittura potrebbero essere accantonati, e le parole della liturgia potrebbero essere ridotte a ciò che si ritiene comprensibile da tutti. Ma in questo modo, nella liturgia, alla fine, non accade più nulla, si dissolve. Non c’è da stupirsi, poi, di fronte al calo della frequenza in chiesa. E che finalmente si ricorra a “ingredienti” di altre religioni per ridare, in qualche modo, a tutto il brivido del mistero. Da qui risulta che la comprensibilità è qualcosa di complesso e di esigente. Non a caso la Chiesa antica conosceva il catecumenato, nel quale le persone alla ricerca di Dio venivano introdotte pian piano nella vita e nel pensiero della Chiesa, facendo sì che la loro sensibilità, la loro mente e i loro cuori lentamente si aprissero. L’accessibilità della liturgia non va confusa con la comprensibilità immediata di ciò che è banale. E non la si può produrre semplicemente fornendo traduzioni migliori e gesti più comprensibili. La si acquista soltanto per un cammino interiore – essa richiede “eruditio“, apertura d’animo, nella quale le supreme dimensioni della ragione si schiudono, dando inizio a un processo nel quale si acquista la facoltà di vedere e di ascoltare.Temo che i Padri conciliari abbiano realmente sottovalutato questa complessità della “comprensibilità”, presupponendo ancora una coscienza comune che non c’è più.La liturgia stessa non deve essere trasformata in lezione di religione, e non la si può salvare con la banalizzazione.Ci vuole una formazione liturgica, o piuttosto una formazione spirituale generale, e il grande compito delle commissioni liturgiche e delle conferenze episcopali dovrebbe essere proprio quello di trovare le strade e le forme di essa. Gran parte dei cristiani di oggi si trova de facto nello stato catecumenale, e questo, nella pratica, dobbiamo prenderlo finalmente sul serio.
J. Ratzinger, “I 40 anni della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Retrospettiva e prospettiva”, in Id., Opera Omnia, XI, Città del Vaticano 2010, 769.782-783.