Pensavamo di aver detto abbastanza sul tema “destra” nella liturgia, cf. i precedenti post:
– https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/19/alla-destra-o-alla-sinistra-del-re-matteo-2531-46-e-alcuni-dettagli-liturgici/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/21/rigore-o-misericordia-due-grandi-pastori-suggeriscono/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/26/per-meta-o-per-un-terzo-il-dies-irae-e-la-gratuita-della-salvezza/ ;
Eppure, la traduzione italiana dell’inno per l’Ufficio delle Letture del tempo di Avvento fino al 16 dicembre ci fa ravvedere.
Ecco di nuovo che spunta un altro riferimento: “Quando verrai come giudice, fra gli splendori del cielo, accoglici alla tua destra nell’assemblea dei beati”. La strofa originale latina recita invece: “Iudexque cum post aderis rimari facta pectoris, reddens vicem proo abditis iustisque regnum pro bonis” (1) ed una traduzione più fedele potrebbe essere questa: “Quando verrai come giudice per investigare sull’operato dell’uomo, renderai il contraccambio per le azioni nascoste e ai giusti il regno per le azioni buone”.
E’ davvero curioso notare che dove nell’originale vi era il riferimento alla “destra” matteana, esso non è stato poi reso nell’italiano, mentre dove era assente nel testo latino, il traduttore italiano ha ritenuto utile riproporre quel riferimento (cf. gli articoli citati sopra).
Pare come se la Liturgia avesse una memoria viva, capace di far riaffiorare, in modalità nuove e inaspettate, dati ed elementi che appartengono alla grande tradizione, nonostante istanze di riforma od esigenze di traduzione e di stile talvolta ne abbiano suggerito l’omissione o la rivisitazione.
Ciò è vero anche nel caso della sequenza Dies Irae, dalla quale eravamo partiti per questa serie di post sulla “destra”.
In effetti, il gruppo di periti che predispose la riforma del rito delle esequie, considerò che alcuni testi, sebbene venerabili per uso e tradizione, non avrebbero aiutato ad imprimere ai riti funebri, ora più connessi con la messa esequiale, un maggiore senso pasquale. Più che la voce del defunto di fronte al giudizio di Dio, nel nuovo rituale si è preferito far risuonare la voce della Chiesa che raccomanda il defunto alle mani di Dio, della comunità dei santi e degli angeli: è evidente questo cambio di orientamento del momento liturgico, dall’absolutio alla valedictio.
Il Segretario del Consilium, nelle sue memorie, offre una valutazione del lavoro di riforma dei funerali, enfatizzando il carattere della liturgia funebre inteso come celebrazione del mistero pasquale di Cristo nei suoi fedeli: “Ciò è stato una delle principali preoccupazioni della revisione attuata, traendo dal tesoro della tradizione eucologica i testi che meglio esprimono questa dimensione ed eliminando quelli che risentivano di una certa spiritualità negativa di sapore medioevale. Per questo sono stati tolti dei brani, conosciuti e anche amati, come il Libera me Domine, il Dies Irae e altre preghiere troppo insistenti sul giudizio, il timore, la disperazione, preferendo quelli che invitano alla speranza cristiana ed esprimono in modo più efficace la fede nella risurrezione” (2).
La considerazione negativa del Dies Irae che sembra trasparire da queste righe è però poi contraddetta dal fatto che la sequenza, con l’accorgimento della divisione in tre sezioni, sia stata riproposta come Inno per la liturgia delle Ore, in un particolare momento dell’anno liturgico che sottolinea il secondo avvento, glorioso e definitivo, del Signore Gesù e il conseguente giudizio finale. In tale contesto, il Dies Irae pare assai adatto e utile.
Sembra da rivedere, quindi, il parere che vi sia stato un giudizio sul contenuto stesso della sequenza: la riforma liturgica, piuttosto, ne ha riconsiderato l’uso, inserendola in un altro contesto.
E’ pur vero che se nella celebrazione delle esequie non si è attenti a conservare il senso pasquale, nella sua globale interezza – quindi anche come Mistero con il quale ogni vita umana, e in particolare quella del defunto, dovrà essere confrontata e giudicata – si rischia di scadere in un generico rito di commemorazione delle qualità e delle virtù del caro estinto.
Ecco perché “apologie” del Dies Irae non sono affatto fuori luogo o semplici nostalgie, proprio nel momento in cui la predicazione del Papa sulla misericordia rischia di essere banalmente travisata o volutamente ridotta ad indifferenziato e semplice buonismo. Anche nelle esequie, quindi, non dovrebbe mancare un accenno al giudizio di Dio
«La predicacion y la catequesis son pocos proclives a insistir sobre este tema, por temor a dar una impresión de “miedo de Dios” en la vita cristiana. Sin duda, “el Padre es misericordioso”, pero hay que estar atento para non formar paulatinamente una imagen de Dios mas light que misericordiosa, un Dios que simplemente da “el pase” al hombre, sin decir nada sobre su vida, porque difícilmente se concibe que exista “la ira/reprobación” de Dios. […] Las exequias non resuenan más el misterio pascual, sino que pierden su dimensión de plegaria por el difunto, para convertirse en un simple “adiós”, que es más un adiós intracomunitario, “personalizado a la carta”, que el echo eclesial de poner el difunto en manos de la misericordia de Dios. […] Esto no es una llamada a la prática medieval, pero sí quiere ser un interrogante sobre nuestra predicación, y sobre la oportunidad de reconsiderar el lenguaje y las referencias de la liturgia exequial, para que en ella aparezcan con suficiente presencia todos los elementos del misterio pascual en relación con la muerte del cristiano» (3).
Se è da considerare il rischio che le esequie cristiane talvolta possano non esprimere l’integrità della fede, si deve pure riconoscere che ciò non debba essere del tutto imputato alla nuova liturgia dei funerali, ai suoi riti e ai suoi testi: nello slittamento stigmatizzato da p. Tena paiono molto più determinanti pratiche extra-liturgiche. Ci riferiamo, ad esempio, all’uso di lasciare la parola ad amici o parenti, per testimonianze o discorsi di addio nei quali, di certo, scompare ogni riferimento al giudizio di Dio, perché il sentimentalismo o una sorta di morale orizzontale, civica e buonista hanno già del tutto giustificato il defunto. Purtroppo diventa difficile correggere questi abusi quando casi particolari ed eccezionali, sia per la persona in questione sia per la presidenza liturgica di quel funerale, vengono poi resi manifesti al grande pubblico dall’enfasi dei mezzi di comunicazione.
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(1) Cf. Inno Verbum supernum prodiens.
(2) A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 30), Roma 1997, 747.
(3) P. Tena, «Apología del “Dies Irae”», Phase 53 (2013) 678-679.