“Esegesi liturgica”, risposta dovuta

Rimango positivamente sorpreso di ricevere un commento ad un mio post  [https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/10/30/esegesi-liturgica/] da parte dell’autore del saggio, di cui si aveva commentato alcune pagine. Considero un onore l’attenzione riservata a questo piccolo e modesto blog. Per garantire la giusta visibilità al commento ricevuto, lo riporto in evidenza qui sotto.

Non essendo firmata, immagino che l’osservazione critica ad un aspetto marginale del mio libro “Liturgia fonte di vita” sia del curatore di questo blog.
Ringrazio per l’attenzione prestata alla mia opera. Ritengo, però, che la critica non colga nel segno, perché esegesi liturgica è sì quello che indica il mio critico, ma è anche una rilettura della Scrittura per quanto può indicare a livello rituale. Simile esegesi liturgica è sempre stata operata ed ha avuto un influsso enorme sui riti.
Due anni dopo la pubblicazione del mio libro, Inos Biffi ha pubblicato un articolo sull’Osservatore Romano dal titolo “Il vento lieve dell’Eucaristia” (15.07.2011) in cui, tra le altre cose, riporta la lettura data da san Bonaventura del medesimo passo biblico, la cui interpretazione mi si contesta come scorretta. San Bonaventura aveva già letto l’episodio dell’Oreb in chiave eucaristica (cosa che ignoravo quando ho scritto il libro, come prova la differenza di accenti tra le osservazioni del grande Dottore e la mia povera proposta). Dunque, non deve apparire fuori luogo fare un’esegesi liturgica del brano che ha per protagonista Elia, se essa è stata già proposta da un Grande del calibro di Bonaventura. Si potrà, è chiaro, non essere d’accordo e argomentare il proprio disaccordo, ma non contestare la legittimità di tale procedere teologico. Ciò che mi rimprovera l’autore, ossia – con parole sue – ” usare la Parola di Dio a supporto di tesi prestabilite” è quanto di più lontano possa esserci dalle mie intenzioni e, spero, anche dai risultati del mio lavoro.
don Mauro Gagliardi

Cosa dire? Innanzitutto la prima cosa che da sottolineare è che non vorrei assolutamente che in questo blog si creasse un clima di polemica sterile e infruttuoso e, ancora più da evitare, irriverente e offensivo. Quello che dirò, quindi, non vuole assolutamente mancare di rispetto verso la persona.

Detto questo, anche dopo aver letto l’articolo di I. Biffi segnalato dal Gagliardi (si può trovare qui: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2011/161q01b1.html ) non si riesce a capire il nesso logico che lega la citazione del passo biblico con le considerazioni che la seguono: “magari si incontra la presenza del mistero di Dio molto meglio nel sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare”. Che si diano celebrazioni in cui ci siano “grandi luci colorate”, “forti rumori di tamburi”, così come ci siano “celebrazioni gridate” è assolutamente disdicevole e da correggere, qualora si verificassero tali abusi.

Ma cosa intende affermare l’autore? Che significa questa associazione fra la teofania ad Elia e il sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare? Quand’è che il sacerdote sussurra all’altare? L’autore non lo dice esplicitamente, ma credo che, considerato il senso generale del saggio, qui ci si riferisca alla preghiera del Canone recitata a bassa voce. E che ne si voglia insinuare una maggiore consonanza con l’essenza della liturgia.

Che si possa leggere una pagina della Scrittura in senso allegorico nessuno lo nega. Ma si ribadisce lo stupore per un’operazione curiosa: chiamare esegesi liturgica tale processo interpretativo. Sarebbe interessante, qui adesso non lo si può fare, studiare la dinamica che ha portato a silenziare il celebrante all’altare. Ci può essere un influsso di 1Re 19,11-14 su questa evoluzione? L’autore afferma che “Simile esegesi liturgica è sempre stata operata ed ha avuto un influsso enorme sui riti”. Si può dimostrare l’associazione fra la teofania ad Elia e il silenzio all’altare? Portare ad appoggio di questa tesi l’articolo di I. Biffi non pare un’operazione efficace, perchè lì non si parla di ritualità della celebrazion eucaristica, ma di considerazioni a carattere più spirituale: “se Dio si rivela in questo vento lieve, vuol dire che ‘egli non si trova nello spirito della superbia, o nell’agitazione dell’impazienza, o nel fuoco della cupidigia o della concupiscenza carnale, bensì nella quiete di una coscienza serena’.”

Per finire, viene in mente quanto afferma S. Giustino, nella sua descrizione della celebrazione eucaristica: “Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore – quantum potest / totis viribus – e il popolo acclama: Amen!” (Prima Apologia, 66-67). Non stride un pò questa descrizione con il “sussurro di una voce che celebra degnamente all’altare”?

Un pensiero su ““Esegesi liturgica”, risposta dovuta

  1. Rispondo sinteticamente per chiudere la questione e poi non interverrò più.
    1) non avendo io specificato a cosa mi riferivo con l’espressione “sussurro di una voce ecc.” le valutazioni che si possono fare da parte Sua restano legate alla Sua personale interpretazione di tali parole.
    2) non ho scritto che l’esegesi liturgica di 1Re 19 è storicamente alla base del Canone recitato in silenzio, come Lei mi attribuisce. Ho solo detto che l’esegesi liturgica ha sempre influito sui riti. Ciò avviene direttamente ma anche indirettamente. Si possono citare moltissimi casi simili, per esempio la lettura dell’episodio del vitello d’oro in Introduz. allo spirito della liturgia di Ratzinger o il testo di san Cipriano da me citato subito dopo il passaggio contestato del mio libro, ma che Lei non ha ripreso.
    3) perciò anche la citazione dell’articolo di Biffi è del tutto logica, visto che non voleva dimostrare una affermazione che Lei vede (influsso diretto di 1Re sul Canone in silenzio) ma che io non ho fatto.
    4) come Lei stesso ha riportato, comunque, nel libro proponevo l’esegesi liturgica in questione solo come una suggestione e non come una prova dimostrativa, quindi non si vede la necessità di soffermarcisi tanto.
    5) se Lei non vuole fare del Suo blog un luogo di polemiche – e su questo sono assolutamente d’accordo – avrebbe dovuto evitare di recensirmi ponendo nel titolo del post sia l’interrogativo che l’esclamativo, in funzione chiaramente ironica, e soprattutto avrebbe dovuto evitare l’espressione valutativa del mio lavoro “usare la Parola di Dio a supporto di tesi prestabilite”, o ancora “stupisce la libertà con cui si prendono brani della Scrittura come testi probanti di simili ragionamenti” (ripeto che non ho avuto alcuna velleità probante, come Lei stesso ha riportato – e allora perché criticarmi per questo?). È inoltre difficile non pensare che, senza dirlo esplicitamente, le seguenti Sue osservazioni siano rivolte sempre al sottoscritto: “Tale zelo, diciamo così un po’ “inquisitore”, dovrà di nuovo essere temperato anche ai nostri giorni? Apprezziamo la sensibilità liturgica di tanti e siamo anche noi turbati da scempiaggini che talora vediamo, in termini di abusi e fraintendimenti della riforma liturgica; allo stesso tempo pensiamo sia saggio temperare lo zelo, perché talora un eccesso di zelo non è tanto peggiore degli errori che si vorrebbero stigmatizzare”.
    5) da ultimo, a livello di dettaglio, Le segnalo un refuso nel titolo della Sua risposta (scritto “riposta”) e mi permetto di consigliarLe di firmare i suoi post, in modo che chi è chiamato in causa sappia con chi sta parlando.
    Don Mauro Gagliardi

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