Scrivere sulla preghiera Colletta della VI domenica di Pasqua può essere pericoloso: tanti e tanti sono gli spunti che potrebbe offrire questo testo, che nel Messale ci appare come un solo testo, ma che in verità è la centonizzazione di altri tre testi, molto più antichi.
Può essere interessante affrontare questo testo da un dettaglio che non è proprio minimo, nonostante possa apparire secondario. Nella traduzione italiana, c’è una sfasatura temporale, in riferimento ai giorni di letizia. Vediamo:
Fac nos, omnipotens Deus, hos laetitiae dies, quos in honorem Domini resurgentis exsequimur, affectu sedulo celebrare, ut quod recordatione percurrimus semper in opere teneamus
Nel testo del Messale italiano, i giorni di letizia sono in onore “del Cristo risorto”, mentre nell’originale latino il participio presente suggerisce meglio una certa contemporaneità. Certamente, la traduzione non avrebbe potuto essere strettamente letterale – giorni di letizia in onore di Cristo risorgente -, ma non si vede la difficoltà di un’espressione italiana come la seguente: “giorni di letizia in onore di Cristo che risorge”.
Si tratta di sfumature, e forse non vale la pena di farne una questione di stato, ma può essere comunque utile notare queste piccolezze: siamo nel tempo pasquale, e l’unità della cinquantina poteva essere evidenziata anche in tale attenzione temporale. Quel participio dovrà essere passato o presente? Al di là delle regole grammaticali o dello stile linguistico, qui vale, prima di tutto, la regola liturgica e “lo stile di Dio”: l’azione pasquale di Dio è perennemente presente, e i miracoli di Cristo non passano con il passare degli anni, figuriamoci se passano con il passare dei giorni! Su questo dovremo tornare, per oggi (!) sarà sufficiente e bello ascoltare alcuni passaggi di san Massimo di Torino, tratti da un sermone nella festa dell’Epifania, in cui il brano evangelico era la pericope delle nozze di Cana:
I miracoli di Cristo, infatti, sono tali che non passano per la distanza di anni, ma acquistano vigore per la grazia; non vengono sepolti dall’oblio, ma si rinnovano quanto a efficacia. Dinanzi alla potenza di Dio in realtà niente risulta abolito, niente risulta passato. In rapporto alla sua grandezza tutto è per lui al presente. Per lui tutto il tempo è oggi [totum illi tempus est hodie] e di conseguenza il santo profeta dice: Mille anni ai suoi occhi come un giorno solo. E se tutto il tempo di secoli è un giorno solo per il Signore, nello stesso giorno in cui il Salvatore operò meraviglie per i nostri padri le operò anche per noi. Perciò anche noi come i nostri antenati vediamo i miracoli del Signore, quando li guardiamo con stupore pari al loro. Anche noi come loro abbiamo dolcemente bevuto dalle stesse idrie: essi vi hanno attinto una coppa di vino, mentre noi ne abbiamo ricavato il calice di salvezza.
San Massimo di Torino, Sermone 102,2.
edizione: Massimo di Torino, Sermoni liturgici (Letture cristiane del primo millennio 28) (ed. M. Mariani Puerari), Milano 1999, 350; cf. CCL 23, 406