Una correzione che ci fa felici

Qualche giorno fa abbiamo ricevuto una mail da p. Antonio Montanari, patrologo, professore alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ora cappellano all’Abbazia  Notre-Dame de Bon-Secours in Provenza. Le sue note ci rimproverano una libertà che ci siamo presi con troppa leggerezza. Avevamo riportato un paragrafo di Pascher (1) senza verificarne attentamente ed integralmente il contenuto: troppo concentrati su un’aspetto che intendevamo enfatizzare, ci è sfuggita un’affermazione, attinta dall’articolo del liturgista tedesco, ma che nel testo del nostro post abbiamo fatta nostra con troppa disinvoltura.

Ora il nostro benevole lettore ci corregge, e noi siamo ben felici di accogliere le sue precisazioni, facendone occasione per imparare e fare tesoro dell’altrui sapienza. Una critica davvero costruttiva, e una correzione dallo sbocco positivo (cf. Eb 12,11)

Tali censori saranno sempre benvenuti! Anche a nome di tanti altri lettori, ringraziamo p. Antonio per il suo appunto.

Il post cui p. Montanari si riferisce è quello relativo all’antifona d’introito della Messa di Pasqua (cf. qui). Ma ecco il cuore della correzione:

Ho letto stamattina il suo articolo Apparuit Simoni? che rimandava a un testo del 26 marzo 2016, a proposito dell’introito pasquale “Resurrexi et aduc tecum sum” nel quale afferma che si tratta di «una versione corrotta del salmo138». A questo riguardo cita Pascher, il quale definisce l’Introito di Pasqua un’ «antifona, che conserva l’errore di traduzione».

Nella stessa pagina riporta due bei testi di Benedetto XVI, che di liturgia se ne intende, il quale, nel Messaggio per la Pasqua 2008 scrive: «“Resurrexi et adhuc tecum sum – Sono risorto e sono ancora e sempre con te”. Queste parole, tratte da un’antica versione del Salmo 138 (v. 18b)». Giustamente, come ricorda Benedetto XVI, il versetto del Salmo 138 utilizzato come antifona d’Introito è tratto da un’antica versione latina del Salterio, condotta sul testo greco della Settanta, rimasta in uso nella liturgia anche dopo la Vulgata di san Girolamo”.

Dunque, non si tratta di una «versione corrotta» e tanto meno di un «errore di traduzione» del Salmo. L’anomalia sta invece nella versione attuale del Salterio, ripresa dal testo masoretico, senza tener conto della lunga tradizione liturgica che l’ha preceduta. Fino alla riforma liturgica successiva al Vaticano II non solo i testi della liturgia, ma la stessa Bibbia cristiana non è mai stata quella ebraica, bensì la Bibbia greca dei Settanta, dalla quale sono state ricavate le versioni antiche e non solo quella latina. È a partire dal testo greco della Settanta che i Padri e i loro successori hanno elaborato la liturgia e la loro teologia. È noto inoltre che la versione del Salterio che san Girolamo ha tradotto dall’ebraico non è mai stata utilizzata nella liturgia, che si serviva invece del Salterio gallicano, tradotto dal greco. Come si intuisce, il problema sta nella mancanza di memoria di chi ha imposto una novità – la nuova traduzione dall’ebraico del Salterio – che ha reso incomprensibili le antiche riletture cristologiche, consentite dal testo greco, che aveva tradotto l’ebraico Messia con il termine Christos, predisponendo in questo modo una lettura cristiana.


(1)  J. Pascher, «Il nuovo ordinamento della salmodia nella Liturgia romana delle Ore», in Liturgia delle Ore. Documenti ufficiali e Studi (Quaderni di Rivista Liturgica 14), Leumann (TO) 1972, 161-184.

 

Ancora sul Salmo 86. Il mirabile tessuto di interpretazioni convergenti

I tempi liturgici cosiddetti “forti” sono assai interessanti agli occhi di un liturgista, perché in essi si contempla in modo eccelso la sapiente attenzione e maestria con le quali la tradizione della madre Chiesa li ha cesellati. L’ottava di Natale rimane, in questo senso, esemplare. Già ne avevamo mostrati alcuni aspetti, soffermandoci sulla salmodia (cf. qui). Ora ne riprendiamo un dettaglio, continuando le riflessioni sull’uso del Salmo 86, di cui abbiamo detto qualcosa nel post precedente.

Così, prima di riporre il primo volume della Liturgia delle Ore – da domani riprende il Tempo Ordinario -, ne sfogliamo di nuovo le pagine, ritornando appunto all’Ottava di Natale: nello spazio di pochi giorni, il salmo in questione viene pregato due volte, entrambe nell’Ufficio delle Letture, a differenza del corso normale del salterio distribuito nelle quattro settimane, in cui il Salmo 86 è usato – come notavamo – per le Lodi.

La prima occorrenza è prevista nella domenica dopo il Natale, festa della Santa Famiglia. Essa si spiega con il fatto che la salmodia è tratta dal comune della Beata Vergine Maria, che prevede come terzo salmo dell’Ufficio appunto il nostro salmo. Sul perché quest’ultimo sia stato scelto per il comune delle feste mariane si dirà qualcosa dopo. Per il momento notiamo che l’antifona corrispondente è strettamente legata alla festa della Santa Famiglia, senza avere particolari aderenze al salmo: Giuseppe si alzò nella notte, prese con sé il bambino e sua madre, e si rifugiò in Egitto (Consurgens Ioseph accepit Puerum et Matrem eius nocte, et secessit in Aegyptum)».

Molto più significativa è la seconda occorrenza, nella solennità di Maria santissima Madre di Dio. In questo caso antifona e salmo sono intimamente connesse, rendendo evidente l’interpretazione cristologica, e mariana allo stesso tempo, del salmo. Ciò parrebbe indice di antichità; purtroppo non siamo in grado, ora, di approfondire quanto ci lascia intravedere la relazione della commissione incaricata della distribuzione dei salmi, citata nel nostro post indicato, che giustificava la presenza del Salmo 86 nell’Ottava di Natale con il fatto che tale salmo fosse tradizionale dell’Ufficio natalizio proprio della Basilica di Santa Maria Maggiore, il santuario romano legato al mistero di Betlemme. Una pista assai interessante, che qui possiamo solamente indicare. Tornando, invece, all’antifona, ne rimaniamo affascinati per la mirabile ed ispirata composizione, che naturalmente prende le mosse dal testo latino del salmo nella versione della Vulgata: «Un Uomo è nato in lei: l’Altissimo ha consacrato la sua dimora (Homo natus est in ea, et ipse fundavit eam Altissimus)». Ad una lettura cristiana e credente, quell’«homo» non poteva essere che il nuovo nato nella stirpe di Davide, il Messia promesso, il Figlio di Dio, di cui il Natale celebra l’Incarnazione.

Tornando infine alla presenza del salmo nel comune della Beata Vergine Maria, ci aiuta a capirne la motivazione ancora un’antifona, questa volta dell’Ufficio della Solennità dell’Immacolata Concezione, l’otto dicembre. Come terzo salmo dell’Ufficio delle Letture troviamo ancora il salmo 86, preceduto dal testo antifonale: «Meraviglie si cantano di te, città di Dio: il Signore ti ha costruita sulla santa montagna».

Si rimane davvero stupiti di come l’interpretazione mariana del salmo prevalga nel tempo proprio del Natale, completando e affiancando l’altro filone esegetico che ne fa un salmo ecclesiologico – così vedevamo a proposito della presenza di esso nell’Ufficio delle Lodi nella distribuzione quadrisettimanale. Con ciò si dimostra, anche nei testi della liturgia, la verità di quanto bene affermava Isacco della Stella: «quel che si dice in modo speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d’una delle due, può essere inteso indifferentemente dell’una e dell’altra. Anche la singola anima fedele può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. […] Eredità del Signore in modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ogni anima fedele. Nel tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi, nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele per l’eternità (Disc. 51)».


P.S. Queste brevi considerazioni hanno avuto il loro spunto nella preghiera personale del Salterio, ma hanno trovato conferma e fondamento grazie al sempre utilissimo lavoro di Felix M. Arocena e José A. Goñi, Psalterium Liturgicum. Psalterium crescit cum psallente Ecclesia, I, Roma 2005.