Nella solennità della comunione trinitaria, una preghiera che separa? Sì, ma solo in Italia…

Quest’oggi focalizziamo la nostra attenzione sulla preghiera sulle Offerte del formulario della solennità della Santissima Trinità. Come al solito, senza pretendere di essere esaustivi, ci soffermiamo solamente su qualche aspetto, ed in modo neanche troppo sistematico. Ci ha incuriosito infatti un’espressione, che dovrebbe riecheggiare nelle orecchie di molti: la super oblata parla di trasformazione dei presenti in «sacrificio perenne a te gradito». Nella III Preghiera Eucaristica vi è la stessa espressione, almeno in italiano. Attirati da tale assonanza, se ci si avvicina al testo originale della preghiera, si nota subito che nella versione italiana manca qualcosa, mentre viene aggiunto qualcos’altro.

Sanctifica, quaesumus, Domine Deus noster, per tui nominis invocationem, haec munera nostrae servitutis, et per ea nosmetipsos tibi perfice munus aeternum.

Invochiamo il tuo nome, Signore,  su questi doni che ti presentiamo: consacrali con la tua potenza e trasforma tutti noi in sacrificio perenne a te gradito.

L’aggiunta viene con tutta probabilità appunto dal Canone III, nel quale l’espressione «a te gradito» connessa con «sacrificio perenne» pare un legittimo sviluppo interpretativo del dativo «tibi» dell’originale latino [Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito (Ipse nos tibi perficiat munus aeternum)].  Manca invece la traduzione del sintagma pronominale «per ea» (più letteralmente: …e mediante essi fa’ di noi per te un dono eterno). Si tratta solamente di sottigliezze e pignolerie? Vediamo meglio.

La prima petizione sembra anticipare quella che sarà l’epiclesi del Canone e la sua consacrazione dei doni, mentre la seconda petizione chiede la trasformazione interiore dei presenti. La versione italiana suona alquanto generica, alludendo ad un dinamismo non precisato, eppure la preghiera afferma, nell’originale latino, che il dinamismo è propriamente sacramentale: è attraverso i doni offerti e divenuti Corpo e Sangue di Cristo che può avvenire perfettamente la piena conformazione a Lui da parte di chi partecipa all’Eucaristia sacramentale. Per ea, mediante essi.

Nella versione italiana i due segmenti della petizione paiono quasi estranei l’uno all’altro. E’ una scelta, un’opzione fatta dal traduttore, che si distacca, oltre che dall’originale latino, anche da altre versioni in alcune lingue europee, versioni che mantengono unite le due consacrazioni, quella dei doni e quella degli offerenti o partecipanti alla liturgia. Il testo francese pare leggermente più generico, allargando l’orizzonte all’Eucaristia intesa anche come intera celebrazione; l’inglese e lo spagnolo mantengono invece ben evidente il riferimento diretto al pane e al vino da consacrare nella richiesta di trasformazione degli oranti in sacrificio offerto a Dio.

Sanctify by the invocation of your name, we pray, O Lord our God, this oblation of our service, and by it make of us an eternal offering to you. Through Christ…

Sanctifie, Seigneur notre Dieu, le sacrifice sur lequel nous invoquons ton nom très saint; et, par cette eucharistie, fais de nous-mêmes une éternelle offrande à ta gloire. Par Jésus..

Por la invocación de tu santo Nombre, santifica, Señor, estos dones que te presentamos  y transfórmanos por ellos  en ofrenda perenne a tu gloria.  Por Jesucristo…

XVI settimana: una preghiera sulle offerte dagli orizzonti sconfinati.

Nel post precedente abbiamo visto come la preghiera delle Offerte della Domenica XVI del tempo Ordinario ci inviti a contemplare in unità le tante tipologie di vittime e di sacrifici del culto di Israele e dell’Antico Testamento. Ma lo sguardo che la liturgia permette di allargare arriva ancora ben più giù, fino ad Abele:

O Dio, che nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo hai dato valore e compimento alle tante vittime della legge antica, accogli e santifica questa nostra offerta come un giorno benedicesti i doni di Abele, e ciò che ognuno di noi presenta in tuo onere giovi alla salvezza di tutti [Deus, qui legalium differentiam hostiarum unius sacrifici perfectione sanxisti, accipe sacrificium a devotis tibi famulis, et pari benedictione, sicut munera Abel, sanctifica, ut, quod singuli obutlerunt ad maiestatis tuae honorem, cunctis proficiat ad salutem].

Al proposito, prima di eventuali altre considerazioni, pensiamo sia interessante riprendere alcuni brani di una più articolata riflessione di J. Danielou, sul significato di Abele, nella Scrittura e nella liturgia.

Ora questo Abele, di cui la Scrittura e la Tradizione proclamano la santità, non appartiene al cristianesimo e nemmeno al giudaismo, ma a quel lontano periodo dell’umanità che ha preceduto l’uno e l’altro, e che, secondo l’espressione di san Paolo, Dio “non ha lasciato senza testimonianza” (At 14,17) della propria esistenza.

[…]

Abele non ha discendenti. Egli appare come estraneo alle varie generazioni che costituiscono la città terrena; e così prefigura Melchisedech, che pure è senza generazione. Egli appartiene a un’altra città. Costituisce un altro ordine. Mentre Caino inaugura la lunga serie dei persecutori, egli inaugura quella delle vittime, di coloro la cui prosperità non è carnale, ma spirituale. E’ il primo martire. Cristo stesso gli ha reso questa testimonianza e lo ha designato come prefigurazione, così come ha mostrato in Caino il prototipo dei persecutori della sua Chiesa: “Io vi invio profeti, dottori e scribi. Voi li ucciderete e crocifiggerete, affinché ricada su di voi tutto il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barcaccia (Mt 23,34-35). […] La morte di Abele introduce nella storia il mistero del sangue versato. La voce del sangue infatti parla: “La voce del sangue del tuo fratello grida a me dalla terra” (Gen 4,10). Questa voce del sangue reclama vendetta, non in nome della legge del clan, della vendetta della razza ma in nome del diritto di Dio violato. Il sangue appartiene infatti a Dio, e il sangue innocente, attraverso tutti i secoli, innalza a Dio la sua protesta. Abele morto continua a parlare, come dice la Lettera agli Ebrei (11,4). Questa voce si amplifica attraverso i secoli, è “quella di tutti coloro che sono stati immolati per la parola di Dio. Essi gridano con voce decisa: Fino a quando, o Maestro Santo e Venerabile, non farete giustizia e non richiederete il nostro sangue a tutti coloro che abitano sulla terra? (Ap 6,10). Tutto il sangue innocente versato “da quello di Abele fino a quello di Zaccaria” richiede l’espiazione. Questa espiazione si realizzerà alla fine dei tempi, per il sangue che sarà versato in riparazione di tutti i peccati degli uomini, “per il sangue dell’aspersione la cui voce coprirà la voce del sangue di Abele (Eb 13,24) e che otterrà il perdono del castigo dovuto ad ogni sangue versato dalle origini del mondo. Ma già la voce del sangue di Abele era la prefigurazione di questa voce, solo che essa nn giungeva che a Dio. Essa non attirava su Caino la vendetta, ma la grazia, perché gli strappava un grido di pentimento. La Scrittura attesta dunque che Abele è il primo di coloro che “hanno dato la vita per i loro fratelli” (1Gv 4,16).

Così alle origini della storia umana, in un mondo che è già quello del peccato, che non è ancora quello dell’alleanza giudaica, la Scrittura ci mostra che Dio ha già suscitato dei santi.  Con la sua elezione, Abele è già la prima espressione della libertà delle scelte divine che accompagneranno tutta la storia della salvezza; con la sua morte egli appare come il primo martire e prefigura il sacrificio del Cristo. La liturgia ha dunque ragione di accordare un posto a colui il cui esempio attesta che Dio non ha mai lasciato senza soccorso, perché è dalle origini dell’umanità che appare questa misteriosa protezione che continuerà durante gli immensi periodi dell’alleanza cosmica e dell’umanità pagana.

J. Daniélou, I santi pagani dell’Antico Testamento,  Brescia 1988,  37-48.

Valorizzazione, compimento o superamento: come tenere insieme queste dinamiche?

La preghiera sulle Offerte della XVI domenica del tempo Ordinario è un gioiello di teologia liturgica e un esempio senza pari di come la liturgia possa aiutare a compendiare in una sintesi mirabile numerose pagine della Sacra Scrittura.

Crediamo che a partire da questa preghiera si possano scrivere interi trattati; qui, in questi prossimi giorni, cercheremo di offrire qualche semplice elemento per apprezzarne meglio il significato e la portata.

Cominciamo dalla lettera stessa del testo. Ma non sembri facile la questione, perché sull’interpretazione e traduzione di un solo verbo si decidono comprensioni delicate. Ecco la prima parte del testo latino: «Deus qui legalium differentiam hostiarum unius sacrifici perfectione sanxisti, …»

La versione italiana ufficiale recita: «O Dio, che nell’unico e perfetto sacrificio di Cristo hai dato valore e compimento alla tante vittime della legge antica…». Il traduttore italiano, quindi, riconosce la complessità di quel «sanxisti», tanto da renderlo con una duplice espressione. La soluzione però apre altre domande: se una realtà deve essere portata a compimento perché abbia valore, allora che senso può avere in sé stessa? Il compimento, che è una realtà altra, come può avvalorare la prima realtà, senza  manifestarla come passata e, quindi, ormai caduca? Eppure, non sembra che nella liturgia abbia spazio una sorta di marcionismo, ossia la negazione in toto degli elementi anticotestamentari dall’ambito della fede cristiana (1). Prima di continuare, vediamo pure le traduzioni in alcune altre lingue europee:

F. Dans l’unique et parfait sacrifice de la croix, tu as porté à leur achèvement, Seigneur, les sacrifices de l’ancienne loi…

S. Oh Dios, que has llevado a la perfección del sacrificio único los diferentes sacrificios de la antigua alianza..

P. Senhor, que levastes à plenitude os sacrifícios da Antigua Lei no único sacrifício de Cristo..

I. O God, who in the one perfect sacrifice brought to completion various offerings of the law..

Al momento non riusciamo a reperire la versione tedesca. Una nota interessante l’abbiamo tuttavia trovata in alcune riflessioni del benedettino Burkhard Neunheuser, in un articolo sul sacrificio. Lui introduce un termine tedesco: su wikipedia si trova una definizione interessante: «Aufheben o Aufhebung è una parola tedesca che assume diversi significati, alcuni dei quali sembrano contraddittori, tra cui “sollevare”, “sopprimere”, o “sublimare”. Il termine può anche essere tradotto con “preservare” e “trascendere.”». Di nuovo troviamo l’apparente contraddizione: sopprimere e trascendere….

Ci aiuteranno a trovare una pista per la soluzione sia il testo di Neunheuser sia, poi, una riflessione magistrale di Benedetto XVI, che pur nel nascondimento del recinto di San Pietro, continua a dispensare sintesi eccezionali: anche se il discorso è più generale sulla missione e sui rapporti fra cristianesimo e religioni, la profondissima sintesi del Papa emerito ci aiuterà a trovare una strada. Le osservazioni qui riportate sono solo spunti iniziali, ma hanno tutto il loro valore già da ora! Potrebbero essere certamente meglio approfondite e ampliate, ma sono di per sé assai gustose.

..tutti questi sacrifici hanno trovato il loro ultimo compimento e di conseguenza anche il loro superamento (Aufhebung) nella morte sacrificale di Gesù Cristo, come afferma in termini classici la preghiera sulle offerte della domenica XVI per annum del nuovo Messale Romano: “O Dio, che alla tante vittime della legge antica hai dato valore e compimento nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo…” […] Nella visuale di questa interpretazione “il sacrificio di Gesù sulla croce segna il compimento e l’abolizione di tutti i sacrifici antichi”. Abolizione, qui, significa certamente la fine, il superamento definitivo del culto sacrificale anteriore, ma contemporaneamente e soprattutto il suo più vero compimento. Quel che in tale culto era prefigurato in maniera vaga, ora è verità e realtà perfetta. Noi perciò possiamo già sentire e presagire quel che il sacrificio di Cristo è, guardando alle prefigurazioni umbratili che Dio che ce na ha dato nella storia del popolo di Israele

B. Neunheuser, «Sacrificio», in D. Sartore – A. M. Triacca (edd.), Nuovo Dizionario di Liturgia, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 1200-1201.

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L’opinione comune è che le religioni stiano per così dire una accanto all’altra, come i Continenti e i singoli paesi sulla carta geografica. Tuttavia questo non è esatto. Le religioni sono in movimento a livello storico, così come sono in movimento i popoli e le culture. Esistono religioni in attesa. Le religioni tribali sono si questo tipo: hanno il loro momento storico e tuttavia sono in attesa di un incontro più grande che le porti alla pienezza. Noi, come cristiani, siamo convinti che, nel silenzio, esse attendano l’incontro con Gesù Cristo, la luce che viene da Lui, che sola può condurle alla loro verità. E Cristo attende loro. L’incontro con Lui non è l’irruzione di un estraneo che distrugge la loro propria cultura e la loro propria storia. E’, invece, l’ingresso in qualcosa di più grande, verso cui esse sono in cammino. Perciò quest’incontro è sempre, a un tempo, purificazione e maturazione. Peraltro, l’incontro è sempre reciproco. Cristo attende la loro storia, la loro saggezza, la loro visione delle cose. Oggi vediamo sempre più nitidamente anche un altro aspetto: mentre nei Paesi della sua grande storia il cristianesimo per tanti versi è divenuto stanco e alcuni rami del grande albero cresciuto dal granello di senape del Vangelo sono divenuti secchi e cadono a terra, dall’incontro con Cristo delle religioni in attesa scaturisce nuova vita. Dove prima c’era solo stanchezza, si manifestano e portano gioia nuove dimensioni della fede.

La religione in sé non è un fenomeno unitario. In essa vanno sempre distinte più dimensioni. Da un lato c’è la grandezza del protendersi, al di là del mondo, verso l’eterno Dio. Ma, dall’altro, si trovano in essa elementi scaturiti dalla storia degli uomini e dalla loro pratica della religione. In cui posso rinvenirsi senz’altro cose belle e nobili, ma anche basse e distruttive, laddove l’egoismo dell’uomo si è impossessato della religione e, invece che in un’apertura, l’ha trasformata in una chiusura del proprio spazio.

Per questo, la religione non è mai semplicemente un fenomeno solo positivo o solo negativo: in essa l’uno e l’altro aspetto sono mescolati. Ai suoi inizi, la missione cristiana percepì in modo molto forte soprattutto gli elementi negativi delle religioni pagani nelle quali s’imbattè. Per questa ragione, l’annuncio cristiano fu in un primo momento estremamente critico della religione. Solo superando le loro tradizioni che in parte considerava pure demoniache, la fede poté sviluppare la sua forza rinnovatrice. Sulla base di elementi di questo genere, il teologo evangelico Karl Barth mise in contrapposizione religione e fede, giudicando la prima in modo assolutamente negativo quale comportamento arbitrario dell’uomo che tenta, a partire da se stesso, di afferrare Dio. Dietrich Bonhoeffer ha ripreso questa impostazione pronunciandosi a favore di un cristianesimo “senza religione”. Si tratta  senza dubbio di una visione unilaterale che non può essere accettata. E tuttavia è corretto affermare che ogni religione, per rimanere nel giusto, al tempo stesso deve anche essere sempre critica della religione. Chiaramente questo vale, sin dalle sue origini e in base alla sua natura, per la fede cristiana, che, da un lato, guarda con rispetto alla profonda attesa e alla profonda ricchezza delle religioni, ma, dall’altro, vede in modo critico anche anche ciò che è negativo. Va da sé che la fede cristiana deve sempre di nuovo sviluppare tale forza critica anche rispetto alla propria storia religiosa. Per noi cristiani Gesù Cristo è il Logos di Dio, la luce che ci aiuta a distinguere tra la natura della religione e la sua distorsione.

Benedetto XVI, Messaggio per l’Intitolazione dell’Aula Magna a Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI,

Città del Vaticano, 21 Ottobre 2014, I.

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(1) In uno studio di solito molto preciso e valido, troviamo una versione alquanto differente di una possibile traduzione italiana: «Dio, che ponesti fine alla molteplicità delle vittime della Legge antica con la perfezione di un unico sacrificio..»: M. F. T. Lovato, Messale Romano. Le orazioni proprie del tempo, nuova versione con testo latino e fonti, Reggio Emilia 1991, 401.