Adamo dovrà smetterla di scusarsi. In margine alla Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Più volte abbiamo riportato in questi brevi post alcuni brani tratti dalla produzione esuberante di autori orientali, più facili al lirismo e a una rilettura della Scrittura libera e arricchita di vivezza e immaginazione. Romano il Melode ne è un esempio preclaro. Ma anche in Occidente talvolta si raggiungono vette di preziosissima qualità.

San Bernardo e le sue Lodi alla Vergine Madre, ad esempio, ci offrono brani di gustosa dolcezza, oltre a profondità di dottrina e di spiritualità. Se, in passato, con i Padri dell’oriente tante volte è stata data la parola ad Adamo, o si è descritto – con le immagini di grandi scrittori ecclesiastici – le sue emozioni e il suo stato (1),  ora, a commento della prima lettura della Solennità dell’Immacolata (Gen 3,9-15.20) riportiamo un brano del grande doctor mellifluus. Di esso vorremmo qui sottolineare solamente un aspetto: Adamo non ha più scuse, nel senso che il maldestro e goffo tentativo di scaricare la responsabilità della sua colpa su Eva e, in ultima istanza, su Dio stesso, ormai non ha più senso ed è del tutto menzognero. Dio gli ha concesso graziosamente l’aiuto, la vicinanza e l’intercessione della Vergine Maria: con questa nuova donna a fianco, Adamo potrà  smettere di accampare futili pretesti per non assumersi la propria responsabilità. Ma proprio perché può finalmente riconoscere la verità della sua debolezza e la verità della misericordia di Dio, può – invece di chiudersi con una scusa iniqua – aprirsi al rendimento di grazie. Un altro tema assai interessante, da riprendere, sarebbe il parallelismo antitetico Eva – Maria, anch’esso ben frequentato dalla tradizione patristica, il cui eco si ritrova nell’Inno dei Vespri della Solennità (Sumens illud ‘Ave’ / Gabrielis ore, / funda nos in pace, / mutans (2) Evae nomen – L’Ave del messo celeste / reca l’annunzio di Dio, / muta la sorte di Eva, / dona al mondo la pace); lo spazio non ce lo consente adesso, per cui lasciamo volentieri la parola a san Bernardo:

Rallegrati, o padre Adamo, e più ancora tu, o madre Eva, esulta. Voi da cui tutti sono nati e per cui tutti sono morti, anzi (ed è più triste) voi che ci avete dato la morte prima ancora di darci la vita, consolatevi entrambi per questa figlia, e quale figlia! E più si consoli colei da cui prima si è originato il male e il cui disonore è passato a tutte le donne. E’ infatti giunto il tempo in cui ogni disonore viene abolito e l’uomo non ha più nulla da rimproverare alla donna, quell’uomo che mentre cercava imprudentemente di scusare se stesso, non esitò ad accusarla crudelmente, dicendo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Perciò, Eva, corri da Maria, tu, madre, corri dalla figlia; e la figlia risponda per la madre, ella della madre cancelli il disonore, paghi al padre il debito della madre, perché, ecco, se l’uomo è caduto a causa della donna, non viene ora rialzato se non a causa della donna?
Che cosa dicevi, Adamo? «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Queste parole sono piene di malizia, e con esse tu aumenti la tua colpa piuttosto che cancellarla. Tuttavia la Sapienza vince la malizia, quando trova un pretesto sufficiente al perdono nel tesoro della sua misericordia, che non viene mai meno; quel pretesto che, interrogandoti, Dio allora cercò di ottenere da te, senza riuscirci. Ora in realtà, per una donna ti viene data in cambio un’altra donna, in luogo della sciocca la prudente, in luogo della superba l’umile, che invece del frutto della morte ti offra il cibo gustoso della vita, e invece del cibo velenoso, con tutta la sua amarezza, ti prepari la dolcezza del frutto eterno. Muta dunque le parole della tua iniqua scusa in voce di rendimento di grazie, dicendo: «O Signore, la donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato, ed è diventato dolce più del miele alla mia bocca, perché con esso mi hai dato la vita» (2).

Bernardo, Lodi alla Vergine Madre (ed. C. Leonardi), Roma 1990, 35-36.


(1) Cf. alcuni post passati: qui e qui.

(2) «Muta ergo iniquae excusationis verbum in vocem gratiarum actionis, et dic: Domine, mulier, quam dedisti mihi, dedit mihi de ligno vitae, et comedi; et dulce factum est super mel ori meo, quia in ipso vivificasti me»: quel «muta» può essere messo in relazione alla stessa espressione dell’Inno, «mutans Evae nomen»: dal momento che il nome, la sorte di Eva (alcuni padri giocano anche sul binomio fra il nome della progenitrice e il saluto dell’angelo: Eva – Ave) è stata mutata, può mutare anche la risposta di Adamo; non più dunque scuse messe insieme in modo ridicolo, ma ringraziamento e lode.

Finalmente Adamo si lascerà trovare?

Abbiamo più volte presentato la Quaresima come un viaggio, il viaggio che Adamo dovrà fare per tornare dal suo esilio verso il Paradiso:

cf. – http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/02/26/sulla-soglia-della-quaresima-con-adamo-in-viaggio-si-ritorna-in-paradiso/ ; – http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/03/i-miei-progenitori-seguii-nella-loro-rivolta-eccoci-di-nuovo-con-adamo/

La liturgia del Triduo pasquale ci rivela che questo viaggio di ritorno è possibile solamente perché è preceduto dal viaggio del Nuovo Adamo, che scende agli inferi alla ricerca del progenitore e lo trae con sè nel regno dei cieli. Dal nascondimento e dall’estraneità Adamo può ora passare alla comunione con Dio, come afferma uno dei testi più mirabili della letteratura patristica: “Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura…Io non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono” (1)

Accoglierà Adamo questo invito, o nella sua superbia preferirà rimanere nascosto, eludendo ancora una volta quell’antica e sempre nuova domanda: “Dove sei?”(2) ? A giudicare dall’inconografia, il primo Adamo ha saputo approfittare di questa grazia, slanciandosi verso Cristo trionfante, accogliendo le mani di Lui, protese per strapparlo fuori dagli inferi.

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L’antico padre ha quindi imparato che la domanda ascoltata nel primo Eden non celava una condanna già decisa, non era retorica accusatoria: l’interrogare di Dio non è mai sterile né fine a se stesso, tantomeno un rinfacciare la colpa; quella domanda non era curiosità maliziosa, non serviva a Dio, ma all’uomo, come dice Ruperto di Deutz: “E a ciò tendeva la benignità di Colui che lo cercava: che chi era cercato trovasse se stesso, e si rendesse conto di che cosa aveva perduto [Hoc enim benignitas quaerentis intendebat, ut is qui quaerebatur seipsum inveniret et sciret, quid perdidisset, quid commeruisset] (3). Nella liturgia della Veglia pasquale è risuonata una domanda analoga: “Perché, Israele? Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera?” (Bar 3,10; VI lettura).

Ora, secondo l’anonimo omileta, nel profondo degli inferi è risuonata la stessa parola, ma con un diverso effetto: Adamo non si nasconde più: “Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: ‘Sia con tutti il mio Signore’. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: ‘E con il tuo spirito’. E, presolo per mano, lo scosse dicendo: ‘ Svegliati, tu che dormi…[…] A te comando: Svegliati tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui!”.

Adamo ha trovato se stesso, come il Figliol prodigo (4); può abbandonare il nascondimento e l’esilio. L’antica paura è dissolta, l’amore vince il timore!

La liturgia della cinquantina pasquale ci aiuterà affinché il vecchio Adamo che è in noi si convinca finalmente ad abbandonare la superba e infantile protesta di innocenza e il ridicolo tentativo di giustificarsi incolpando altri ma si lasci denunciare dalla verità, riconoscendo nell’amorevole rimprovero divino il segno del suo amore di Padre e non piuttosto l’accusa che inchioda, tipica invece del Nemico.

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(1) Sabato Santo, Ufficio delle Letture, Seconda lettura: Da un’antica ‘Omelia sul Sabato santo’. L’aver collocato questo testo nella liturgia del sabato santo è un indubitabile e ineguagliabile arricchimento della Liturgia delle Ore riformata dopo il Vaticano II. Con tutto il rispetto per sant’Agostino, di cui nel Breviario Romano in questo giorno veniva letta una pagina del Commento al Salmo 63, non è proprio paragonabile la ricchezza e l’appropriatezza liturgica dell’Antica Omelia.

(2) cf. Gen 3,9; Cf. anche Sant’Agostino, La Genesi alla lettera, XI, 34-35: «Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: “Dove sei”. Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora (Increpantis vox est, non ignorantis) . […] Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. […] E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell’albero e io ne ho mangiato”. Quale superbia! Disse forse: “Ho peccato”? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l’umiltà della confessione. Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d’insegnamento. Esse mirano a farci riflettere su quale [grave] malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare. La donna – rispose – che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell’albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio! Allora Dio, il Signore, disse alla donna: “Perché hai fatto ciò?”. La donna rispose: “Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato”. Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l’altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia. Da essi tuttavia nacque – ma non l’imitò – uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: “Abbi pietà di me, Signore; guarisci l’anima mia, poiché ho peccato contro di te”. Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori. Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l’afflizione che non devono presumere di se stessi», cf. http://www.augustinus.it/italiano/genesi_lettera/index2.htm.

(3) Ruperto di Deutz, In Genesim III, 14; Edizione: Ruperti Tuitiensis De Sancta Trinitate et operibus eius, ed. H. Haacke, Turnholti 1971, CCL Continuatio Mediaevalis XXI, 250.

(4) E’ da notare che la versione italiana dell’inno Haec est dies verus Dei (Ufficio delle letture del tempo di Pasqua) traduce, interpretando, in tal modo l’originale latino Fidem refundit perditis/ caecosque visu illuminat; / quem non gravi solvit metu / latronis absolutio: Torna alla casa il prodigo / splende la luce al cieco; / il buon ladrone graziato / dissolve l’antica paura. Cf. anche http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2015/02/09/adamo-dove-sei-la-prima-chiamata-di-misericordia/.