“Che tanto sforzo non sia vano!”: tentativi vani (?) intorno a questa preghiera.

Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. (1)

Abbiamo appena citato un passaggio dell’Omelia di Benedetto XVI nella solennità dell’Epifania del 2013. In essa viene citata una strofa del Dies Irae, e il Papa ne offre una traduzione in italiano. Una traduzione, potremmo dire, ufficiosa.

Un’altra ipotesi di versione italiana, più fedele al testo latino e per questo ricca di espressioni assai rare nell’italiano corrente, l’abbiamo trovata in un fascicolo spurio di un faldone (2) dell’archivio Lercaro. Si tratta di un testo, di cui non si può identificare l’autore, che propone al Cardinale una serie di tentativi di traduzione di testi biblici e innici usati nella liturgia. Il Cardinale Lercaro in quegli anni infatti era il Cardinale Presidente del Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra liturgia, e l’anonimo traduttore intendeva prestare il proprio contributo ai lavori di adempimento della riforma conciliare. Per ora non abbiamo trovato altri riscontri di questo tentativo, che riportiamo a testimonianza del fermento creativo e dello sforzo, a vari livelli, che in quegli anni si andava facendo, per offrire ai fedeli le ricchezze della liturgia della chiesa. Non sappiamo cosa il Cardinale rispose a questa proposta o con chi ne parlò e quale fu effettivamente l’esito di tale tentativo, che magari oggi possiamo apprezzare maggiormente, rispetto ad allora.

Già altre volte ci eravamo occupati del Dies Irae (3), per questo, ora, ne offriamo solamente quest’interessante traduzione in italiano.

[A Sua Eminenza il Cardinal Giacomo Lercaro, Bologna, nell’intento di essere utile per la versione italiana dei testi liturgici.]

Sequenza della messa dei defunti Dies Irae

Giorno d’ira a suon di squilla:
l’universo andrà in favilla:
scrivon Davide e Sibilla.

Qual tremore vi sarà:
quando il Giudice verrà,
tutto al fin giudicherà.

Spanderan le trombe i suoni
sui sepolcri e le nazioni:
tutti aduneranno al trono.

Stupiran Natura e Morte
al veder le genti morte
al giudizio in piè risorte.

Dal gran libro spalancato,
dove tutto è registrato,
tutto il mondo è giudicato.

Quando il Giudice verrà,
quanto è ascoso apparirà:
nulla impune resterà.

Miserello, che dirò?
Qual patrono invocherò?
Solo il giusto invidierò.

Re tremendo di maestà,
che gli eletti salverai,
salva me per tua bontà.

Oh ricorda, Gesù buono,
che per me ti festi uomo,
non negarmi il tuo perdono.

Stanco sei per me seduto,
croce e morte hai sostenuto,
tanto vuol non sia perduto.

Giusto Giudice d’ulzione,
fammi don di remissione
anzi il dì della ragione.

Versò lacrime quel rio,
colpa arrossa il volto mio:
salva il supplice, mio Dio.

Maddalena tua assolvesti,
al Ladrone ascolto desti:
anche a me speranza testi,

Per mie preci non son degno,
ma Tu, buono, dammi pegno
che non bruci in tetro regno.

Per gli agnelli un loco appresta,
e dai capri mi sequestra;
stabiliscimi alla destra.

Condannati i maledetti,
nelle fiamme por costretti,
chiama me coi benedetti.

Prego supplice e prostrato,
cuor contrito ed umiliato:
abbi cura del mio stato.

Lacrimevol dì sarà,
e dal fuoco sorgerà
al giudizio l’uomo rio.
Or me dunque salva, o Dio.

O Gesù, Signor pietoso,
da’ l’eterno a lor riposo.

____________

(1) Per il testo completo dell’omelia, cf. http://www.w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2013/documents/hf_ben-xvi_hom_20130106_epifania.html

(2) Si tratta del faldone classificato AGL.A. CCCXLVIII (1962-1968)

(3) Cf. http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/19/alla-destra-o-alla-sinistra-del-re-matteo-2531-46-e-alcuni-dettagli-liturgici/; http://www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/26/per-meta-o-per-un-terzo-il-dies-irae-e-la-gratuita-della-salvezza/; www.sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/12/03/dalla-memoria-viva-della-liturgia-elementi-che-ritornano-ancora-esempi/

Per metà o per un terzo? Il Dies irae e la gratuità della salvezza.

La perenne vitalità della Tradizione e della Liturgia si dimostra anche in circostanze curiose e disparate. Casi e ricorsi storici, associazioni e richiami di dettagli, apparentemente confusi e dispersi, ma che nell’insieme, cattolicamente, si illuminano in modo sorprendente, incrociandosi e sovrapponendosi in modo inaspettato.

Giorni fa, Papa Francesco affermava un dato inequivocabile della fede cristiana, che tuttavia è stato – nella risonanza mediatica – quasi del tutto sopraffatto da aspetti secondari.
“Ma perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro? Perché la redenzione è gratuita; la gratuità di Dio Lui viene a portarci, la gratuità totale dell’amore di Dio. E quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che … eh, non è tanto gratuita, la salvezza …”

Ebbene, proprio in questi giorni è possibile pregare con un antico testo, che la riforma liturgica ha ricollocato nella Liturgia delle Ore dell’ultima settimana dell’anno liturgico: la sequenza Dies Irae.
In una delle strofe si dice: Rex tremendae maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis.

Il messale tridentino aveva riservato tale sequenza per la liturgia dei defunti. La riforma liturgica del Vaticano II ha optato secondo altri criteri, di cui magari si parlerà in un prossimo post. Per ora sia sufficiente notare la sorprendente coincidenza temporale: Papa Francesco – la cui predicazione è improvvidamente e pretestuosamente presentata come una dirompente novità rispetto al passato – pochi giorni prima che la Liturgia ne abbia riproposto il testo, si dimostra assolutamente in linea con l’antica sequenza.

Un altro dettaglio curioso: si noterà che nell’uso odierno – indicato come facoltativo – l’antica sequenza è riproposta in tre sezioni, offerte come Inni per l’Ufficio delle Letture, Lodi e Vespri. Dividere un testo originalmente unitario è sempre un’operazione rischiosa e discutibile; tuttavia non deve essere stata la prima volta in cui il Dies Irae è stato diviso. Infatti, da un sonetto del poeta romano Gioacchino Belli (1)si può evincere che era in uso recitare solo una parte della sequenza. Tale consuetudine non sembra motivata da criteri propriamente liturgici, quanto da ben più prosaiche questioni di risparmio. Nel caso particolare dell’avaro stigmatizzato dal Belli, non si vorrebbe spendere nemmeno quanto basta alla recita di metà della sequenza: “e ppe nun spenne l’arma d’un quadrino nun ze farebbe dì mezza diasilla” (2).

Un tempo se ne poteva recitare una metà, ora se ne può recitare un terzo!!

Non cambia il valore del testo e la ricchezza del suo contenuto, anche se alcuni riferimenti e immagini non sono più facilmente comprensibili: già ai tempi del Belli c’era un po’ di confusione….

_________

(1) http://it.wikisource.org/wiki/Sonetti_romaneschi/L%27avaro_I

 (2) Probabilmente il Belli fa riferimento alla consuetudine popolare di beneficiare con qualche piccola ricompensa chi si offriva per recitare questa preghiera come suffragio per i morti. Il testo era visibilmente storpiato, con improbabili travisamenti dell’originale latino e assonanze fantasiose. Lungi da noi, tuttavia, deridere la fede del popolino romano: al contrario, è davvero impressionante come questa versione del Dies Irae abbia avuto diffusione e persistenza. Eccone una versione:

Diasilla diasilla
tutti secoli in favilla,
scrisse Davide e Sibilla.

Giorno trema, giorno scuro
il Giudizio sarà duro,
giorno senza più futuro.

Soneranno quattro trombe,
scapparanno dalle tombe
brutte facce e brutte ombre

e ripiglia la figura
che gli tolse la natura,
lasciarà la seppoltura.

Libro scritto e tribbunale
pesaranno bene e male,
come e quanto, tale e quale.

Ce sarà pena e dolore:
a giudizio il peccatore
della colpa e dell’errore.

Ce sarà pena e tormenti:
pure il giusto batte i denti,
‘un contaranno i pentimenti.

La tremenda maestà,
salva per bontà,
Tu sei fonte di pietà.

Mi cercasti in ogni chiasso,
mi seguisti passo passo,
salva me da Satanasso!

Ci creasti e ci salvasti,
nel legno della Santissima Croce ci ricomprasti.
Fa’, Dio mio, che questo basti.

Giusto Giudice in funzione,
dacci Tu la remissione,
della pena la razione.

Arrossisco come rio
pe la colpa e ‘l fallo mio
e così m’aiuti Iddio!

A Maria li giorni tristi
e a Ladrone compatisti,
pure a me t’impietosisti.

O Signore, non so’ degno,
ma la Croce, il santo legno…
dammi un posto nel tuo Regno.

Non c’è in giro anima onesta:
scegli quella e scegli questa,
io mi siedo alla tua destra.

Contristati maledetti
stanno al fuoco e stanno stretti,
chiama me fra i benedetti.

Nello giorno spaventoso,
Gesù Cristo pietoso,
dàtece pace e riposo.

Lacrimosa diasilla
quando tutto va in favilla,
giudicando l’uomo rio
ci perdona e assolvi Iddio.
Diasilla lacrimosa
in eterno ci riposa.
Amen.

Qui invece, il testo latino con una traduzione italiana:http: //liturgiadefunti.blogspot.it/2009/11/dies-irae-con-traduzione-e-musica.html

Alla destra (o alla sinistra) del re: Matteo 25,31-46 e alcuni dettagli liturgici.

La predicazione, di un testo come quello che sarà proclamato domenica prossima (Mt 25,31-46), sottolinea comprensibilmente – a torto o a ragione – alcuni aspetti più immediatamente comprensibili e traducibili in termini esistenziali e morali, tralasciando generalmente i dettagli della narrazione. La liturgia, invece, si dimostra più attenta ai particolari, riprendendo ed elaborando immagini e dettagli pur minini.
Ci riferiamo alle coordinate spaziali dell’inizio del brano evangelico: “Davanti a lui….alla sua destra…alla sinistra”.

La liturgia della penitenza, nell’antica celebrazione solenne e pubblica, anticipava quel giudizio escatologico, proclamando il testo di Matteo durante la celebrazione di ingresso in penitenza dei peccatori pubblici, ai quali veniva imposto il cilicio di lana caprina (cf. i capri del testo di Matteo) e assegnato un locum paenitentiae. Alcuni ordines medioevali, poi, notano esplicitamente che la porta attraverso la quale i penitenti vengono espulsi è quella del lato sinistro.

Una colletta nel messale tridentino citava l’immagine del giudizio di Mt, fra i formulari delle messe votive:

Domine Iesu Christe, qui de caelis ad terram de sinu Patris descendisti, et sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti: te humiliter deprecamur; ut in die iudicii, ad dexteram tuam audire mereamur: Venite, benedicti: Qui cum eodem Deo Patre et Spritu Sancto vivis et regnas Deus, per omnia saecula saeculorum.
[Missae Votivae. Feria VI. Missa de Passione Domini]

Anche se le usanze e i simbolismi legate all’antica penitenza pubblica non sono più conosciuti, la liturgia conserva echi e reminiscenze della sottolineatura di quel particolare dettaglio matteano: ancora oggi, nell’innodia della Liturgia delle Ore, il tema della “parte sinistra” è ben presente, anche se di fatto poi la versione italiana lo trascura.

Nel Tempo Ordinario, per l’Ufficio delle letture sono assegnati due Inni, a seconda del momento in cui si celebra quell’Ora, o nel cuore della notte, o in ore diurne (tale differenziazione vale sono per i testi latini: la versione italiana degli inni non contempla questa duplice possibilità). Ebbene, negli Inni assegnati – per la celebrazione diurna – al mercoledì e al sabato, si trovano due riferimenti espliciti al testo di Matteo 25,31-34.

Mercoledì: Scientarum Domino

[…]
Ne terror irae iudicis affinché il terrore del giudice
nos haedis iungat reprobis,non ci congiunga ai capri reprobi
sed simul temet iudice ma avendo proprio te come giudice
oves aeternae pascuae. possiamo essere pecore dell’eterno pascolo.

May dread of the judge’s wrath not join us with the condemned goats, but may you, our judge, join us to the sheep of the eternal pasture.
Ne permets pas que l’effrayante colère du Juge nous fass rejoinder les chèvres réprouvèes mais que nous soyons avec toi, ô juge, les brebis du pâturage éternel.

Sabato: Auctor perennis gloriae

Septem dierum cursibus Nel corso di sette giorni
nunc tempus omne ducitur; ora trascorre tutto il tempo;
octavus ille ultimus quell’ultimo ottavo
dies erit iudicii. sarà il giorno del giudizio

In quo, Redemptor, quaesumus, nel quale, o Redentore, ti chiediamo
ne nos in ira arguas, non accusarci con ira,
sed a sinistra libera, ma liberaci dalla sinistra
ad dexteram nos colloca. e collocaci alla tua destra

For week by week, and year by year, the end of time is drawing near; the day will come, the eight and last, the day for judgment to be passed. Redeemer, on that dreadful day, Reject us not in wrath, we pray. Let us not with the wicked stand; Give us a place at your right hand.

Forse perché particolarmente adatto al sabato, quest’Inno è stato mantenuto per l’Ufficio delle Letture del sabato anche nella versione italiana del Salterio. La traduzione ufficiale sembra unire in una sola le due strofe, rendendole però più vaghe e generiche: “E quando verrà il giorno del tuo avvento glorioso, accoglici, o Signore, nel regno dei beati”.

Ma assai più interessante è una strofa dell’antica sequenza Dies Irae, che ora può essere usata, divisa in tre parti, come Inno per le Ore della XXXIV settimana del Tempo Ordinario

Inter oves locum praesta Offrimi un posto tra le pecore
et ab haedis me sequestra e separami dai capri,
statuens in parte destra mettendomi al lato destro.

Il verbo latino “sequestro” forse dice di più che semplice separazione: non è certo del tutto assimilabile al senso comune dell’italiano “sequestrare”. Ci piace pensare a questo giudice che fa di tutto per sottrarre la preda all’inferno, e che, fra l’altro, ha offerto se stesso come “riscatto”.

Questi sono gli scherzi che fa la liturgia. Liturgia semper admirabilis!