Continuiamo con la pubblicazione di alcuni stralci del nostro studio sulla Liturgia della Parola nel sacramento della Penitenza. Oggi il primo paragrafo delle conclusioni: il testo forse non è del tutto appropriato per la pubblicazione in un post di un blog, ma può essere comunque utile.
Ricordiamo che esso è in continuità con questi post precedenti:
– https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/09/12/il-nuovo-rito-della-penitenza-paolo-vi-critico-dalla-carte-del-card-antonelli-unannotazione-da-approfondire/
– https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/09/16/la-parola-della-riconciliazione-1/
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Per una pluralità di problematiche e motivi che non si possono ricordare qui, la riforma liturgica, così come si è andata concretizzando negli anni del post-Concilio, sembra oggi essere messa in questione. Fra i vari libri liturgici riformati, il nuovo Rituale della Penitenza pare quello meno recepito e la celebrazione di questo sacramento si distingue per le difficoltà che incontra. Piuttosto che rimanere rassegnati di fronte alla realtà o, al contrario, spingere per una prassi che forzi le direttive del Rituale, ci si può lasciar provocare da una riflessione di Benedetto XVI.
Di fronte alle innegabili problematiche nella piena e corretta recezione del Vaticano II, il Papa invitava gli studiosi a «rileggere» le indicazioni conciliari con una ermeneutica ampia, per coglierne le ricchezze ancora non pienamente sbocciate. Applicando questi suggerimenti generali al caso concreto della riforma della penitenza, piuttosto che studiare il Rituale da prospettive e suggestioni teologico-dogmatiche non del tutto aderenti ai testi, si è preferito allargare l’orizzonte ai documenti della storia liturgica antica: a quella antica, dalle prime attestazioni fino alla solenne ritualità dei Pontificali, e a quella recente, dalla riforma tridentina fino a quella seguita al Vaticano II. C’era poi un altro vasto campo di investigazione da esplorare: se davvero si è certi della bontà delle intuizioni conciliari, non si può omettere l’approfondimento di tutto il lavoro che ha preceduto e ha seguito l’evento che più ha segnato la vita della Chiesa negli ultimi cinquant’anni. La ricerca svolta con la prospettiva dell’ermeneutica della continuità auspicata da Benedetto XVI, che suggeriva una verifica approfondita, ha sorprendentemente confermato la ricchezza di quanto il Concilio aveva intuito e stabilito, offrendo il portato della storia della liturgia. Nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, il Papa ribadiva un concetto analogo, nello specifico riguardante il sacramento dell’Eucaristia, ma che si può applicare validamente anche alla riforma del rito della penitenza:
«Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture» (SCar 3).
Il confronto con le fonti, sebbene talvolta incerte, o non comunque esplicite e chiare, rappresenta sempre un momento importante. Per cui, anche se nel caso dei riti della penitenza gli storici della liturgia generalmente hanno messo in maggior rilievo altri elementi rispetto a quelli che interessavano qui, i testi e i commenti studiati hanno permesso di affermare che quanto auspica OP 24 sia un dato presente nel corso della storia del sacramento. Non si tratta perciò di un fattore di discontinuità, nonostante ciò non appaia del tutto evidente, per la complessità della questione: il confronto fra il Rituale di Paolo VI e quello tridentino, a questo proposito, risulta abbastanza impattante e dà l’impressione di una netta cesura L’incursione nella storia liturgica di questo particolare elemento liturgico ha comunque mostrato come i periti del coetus XXIIIbis non abbiano inventato nulla né abbiano agito in base alla loro creatività.
Il secondo capitolo della ricerca è servito quindi a cogliere le strutture e intuire le dinamiche dello sviluppo delle forme celebrative del sacramento, che con diversa intensità e consapevolezza, è stato amministrato con la presenza di una qualche parola della Scrittura, o comunque ad essa ispirata, che ha accompagnato il gesto sacramentale. Nel corso dei secoli tale presenza ha assunto varie configurazioni: dal parallelismo con la catechesi catecumenale – i battezzati penitenti erano associati in certo qual modo ai catecumeni – e dalla correptio episcopale alla simbologia drammatica dei Pontificali, elaborata a partire da pagine bibliche, richiamate dai gesti talvolta quasi mimetici e da antifone; dalle parole ispirate della preghiera della salmodia alle catechesi morali dei confessori. La storia della penitenza conosce una svolta, nella riforma liturgica seguita al Vaticano II, a partire da una situazione in cui il Rituale tridentino e il diritto ecclesiale non sembravano pienamente adeguati alle istanze dei tempi moderni: le esigenze di rinnovamento ampiamente avvertite nel momento liturgico preconciliare si possono, in modo generalizzato, considerare verificate anche nello specifico caso del sacramento della penitenza. Sembra, perciò, particolarmente equilibrato e fondato l’autorevole commento di Vagaggini sul significato e la portata di quanto il Vaticano II afferma sulla necessità che nella Liturgia la Parola di Dio recuperi finalmente il posto che le spetta: senza rotture drastiche o giudizi totalmente negativi sul passato, il monaco camaldolese illustra il delinearsi dell’aspettativa che la liturgia e anche l’intera teologia fossero più direttamente e intensamente «kerigmatiche», portatrici dell’annunzio della parola di Dio, per risvegliare ed alimentare la fede(1). Tale esigenza sarà formulata nella preoccupazione della SC, che prospetta celebrazioni liturgiche con un equilibrio migliore tra sacramentalizzazione ed evangelizzazione, rispetto a quello conosciuto e praticato dalla Chiesa preconciliare:
«Se lo scopo della riforma liturgica doveva essere la partecipazione più plenaria e vitale possibile alle realtà della storia-sacra-mistero-di-Cristo, proclamate nella Scrittura, ma sempre presenti ed operanti in modo particolare nelle celebrazioni liturgiche: e se ciò doveva farsi con una maggiore accentuazione…: la conseguenza logica non poteva essere solo l’instaurazione della lingua viva del popolo invece del latino nella liturgia medesima, ma anche una più abbondante, varia e meglio scelta lettura della Scrittura stessa nella liturgia» (2).
Di rivoluzione, ma in senso solamente positivo, di nuovo senza distruzione o demonizzazione del passato, parla anche un altro eminente liturgista, fra l’altro professore di storia della penitenza, a riguardo della predisposizione per ogni celebrazione sacramentale di un «lezionario» biblico specifico:
«le nouveau Lectionnaire de la messe et des sacrements…constitue une véritable révolution dans le bon sens du terme, une révolution qui apporte non pas la destruction, mais positivement une richesse dont on n’a pas encore suffisamment sondé les profondeurs» (3).
Lo studio della documentazione relativa alla preparazione, redazione e approvazione della Costituzione liturgica del Vaticano II svolto nel capitolo III, ha permesso, grazie anche alla lettura di testi difficilmente reperibili, di intuire e cogliere il lento e graduale processo che ha riportato la Scrittura al posto che le spetta nella celebrazione cristiana. Nella Costituzione conciliare non è affermato esplicitamente che il sacramento della Penitenza avrebbe dovuto avere un Lezionario, tuttavia il fatto che nel nuovo Rituale siano presenti indicazioni di letture – fra l’altro il lezionario della penitenza è il più ricco fra quelli di tutti i rituali – discende in modo lineare e consequenziale da quanto SC intendeva (4). La ricostruzione analitica dei vari passaggi dell’iter redazionale di SC, sia a livello generale sia nello specifico dei numeri del testo che interessavano qui, consente una serena rilettura dei principi di riforma presenti nel nuovo Rituale, che appaiono in tal modo saldamente e coerentemente fondati nel grande alveo del magistero conciliare; principi che dovranno essere di nuovo approfonditi e compresi «ut fideles maneamus alto proposito liturgicae renovationis quam Concilium voluit Oecumenicum Vaticanum II, cunctam praeclaram magnamque Ecclesiae producens traditionem» (SCar 43). Solamente dopo aver ben approfondito i dati della «traditio» della storia liturgica e quelli della particolare «traditio» che è la documentazione relativa ai lavori dei gruppi di studio preposti alla riforma, si può guardare avanti con fiducia, liberi da dubbi e ripensamenti nell’applicare con coerenza e rinnovato entusiasmo i principi di riforma, convinti della loro bontà e aperti, allo stesso tempo, al necessario adattamento.
Riguardo all’introduzione della Parola di Dio nelle celebrazioni sacramentali, Bugnini testimonia delle difficoltà, simili alle quelle registrate nel corso dell’analisi dei lavori del Coetus XXIIIbis, anche a proposito della riforma del rituale del battesimo dei bambini. Diversamente a quanto accadde per l’OP, nonostante le insistenze della Congregazione per la Dottrina della Fede nella redazione finale del rito del battesimo non venne accolta una modifica che avrebbe regolato la lettura della Parola di Dio «pro opportunitate». Nel rito della penitenza, invece, quel «pro opportunitate» – si parla del rito per la confessione di un solo penitente – è stato inserito. Ma aver avuto la possibilità di seguire il progressivo delinearsi dell’impianto strutturale del libro liturgico e averne documentato le limature finali, offre la possibilità di cogliere ancora più chiaramente l’auspicio che la Parola di Dio sia considerata parte integrante della celebrazione della riconciliazione sacramentale. Anche se non si trova nel Rituale una teologia dell’efficacia della Parola di Dio, le indicazioni sono chiare. Se tale dato era già evidente ad una seria ed onesta lettura sincronica del rituale, si crede che ora lo possa essere molto di più.
Questo è stato il portato del lungo e faticoso confronto con i testi del gruppo di studio. Si è trattato di un «solitario» e a tratti arido lavoro di analisi della documentazione: solitario perché nessuno prima d’ora ne aveva prodotto i fascicoli degli schemi né li aveva commentati in modo così dettagliato, arido perché non sempre gli schemi hanno offerto ricchi ed entusiasmanti elementi. All’analisi talvolta «asciutta», che però ha permesso di setacciare la mole impressionante della produzione degli esperti e le varie osservazioni al loro lavoro, ha poi seguito la composizione sintetica di conclusioni valutative sorprendenti, che finora non potevano essere desunte. Si crede, infatti, che non sia più possibile dubitare della centralità e della positività della Parola di Dio nelle celebrazioni sacramentali, elemento caratteristico della riforma liturgica generalmente intesa e assai più rilevante nella riforma della penitenza, considerando il fatto che nel rituale precedente la Parola di Dio era pressoché assente. Almeno su questo non si potranno più addurre veti, remore o giudizi ambigui: in questo particolare ambito della riforma della penitenza non si è tradito, superandolo, il Concilio. Non si potrà, quindi, tergiversare nell’applicazione di quanto il Concilio e la riforma post-conciliare indicano. L’urgenza di questo impegno si è manifestata nella breve incursione nella prassi pastorale, compiuta nel capitolo V. Talvolta, invece, si auspicano lentezze e si insinuano sospetti: «Il fatto che la riforma liturgica ancora oggi sia oggetto di valutazioni contrastanti, dovrebbe suggerire prudenza: per una verifica obiettiva ci vorrà del tempo e lo studio degli archivi». Lo studio degli archivi, per quel che riguarda questo settore della riforma della penitenza, è stato espletato, e sono emersi dati non inizialmente prevedibili. Tali dati si offrono alla comunità scientifica, con l’auspicio che si possa iniziare a colmare la sorprendente mancanza di studi che abbiano come tema il principio di OP 24 per un’analisi seria, approfondita e capace di aprire nuove prospettive.
La conclusione di questo studio coincide, poi, con l’invito del Papa Benedetto XVI che nella ricerca teologica si approfondisca il legame tra Parola e Sacramento: così nell’esortazione apostolica (5) successiva al Sinodo dei Vescovi, che nella sua XII Assemblea Generale Ordinaria (5-26 ottobre 2008) aveva riflettuto su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa:
«Affrontando il tema del valore della liturgia per la comprensione della Parola di Dio, il Sinodo dei Vescovi ha voluto sottolineare anche la relazione tra la sacra Scrittura e l’azione sacramentale. È quanto mai opportuno approfondire il legame tra Parola e Sacramento, sia nell’azione pastorale della Chiesa che nella ricerca teologica. Certamente «la liturgia della Parola è un elemento decisivo nella celebrazione di ciascun sacramento della Chiesa»; tuttavia nella prassi pastorale non sempre i fedeli sono consapevoli di questo legame e colgono l’unità tra il gesto e la parola. È «compito dei sacerdoti e dei diaconi, soprattutto quando amministrano i sacramenti, mettere in luce l’unità che Parola e Sacramento formano nel ministero della Chiesa». Infatti, nella relazione tra Parola e gesto sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante il carattere performativo della Parola stessa. Nella storia della salvezza infatti non c’è separazione tra ciò che Dio dice e opera; la sua stessa Parola si presenta come viva ed efficace (cfr Eb 4,12), come del resto lo stesso significato dell’espressione ebraica dabar indica. Al medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di fronte alla sua Parola che realizza ciò che dice. Educando il Popolo di Dio a scoprire il carattere performativo della Parola di Dio nella liturgia, lo si aiuta anche a cogliere l’agire di Dio nella storia della salvezza e nella vicenda personale di ogni suo membro» (VD 53).
Queste indicazioni non sono in modo assoluto una novità; considerazioni simili non è raro riscontrarle negli odierni studi sulla celebrazione eucaristica. Assai interessante, invece, è il fatto che il Pontefice applichi tali principi a tutte le celebrazioni sacramentali, e in modo esplicito – qui sta la felice novità – alla celebrazione della penitenza:
«Se al centro della relazione tra Parola di Dio e Sacramenti sta indubbiamente l’Eucaristia, tuttavia è bene sottolineare l’importanza della sacra Scrittura anche negli altri Sacramenti, in particolare quelli di guarigione: ossia il sacramento della Riconciliazione o della Penitenza, e il sacramento dell’Unzione degli infermi. Spesso il riferimento alla sacra Scrittura in questi Sacramenti viene trascurato. È necessario, invece, che ad essa venga dato lo spazio che le spetta. Infatti, non si deve mai dimenticare che «la Parola di Dio è parola di riconciliazione perché in essa Dio riconcilia a sé tutte le cose (cfr 2 Cor 5,18-20; Ef 1,10). Il perdono misericordioso di Dio, incarnato in Gesù, rialza il peccatore». La Parola di Dio «illumina il fedele a conoscere i suoi peccati, lo chiama alla conversione e gl’infonde fiducia nella misericordia di Dio». Affinché si approfondisca la forza riconciliatrice della Parola di Dio si raccomanda che il singolo penitente si prepari alla confessione meditando un brano adatto della sacra Scrittura e possa iniziare la confessione mediante la lettura o l’ascolto di una ammonizione biblica, secondo quanto previsto dal proprio rito. Nel manifestare la sua contrizione, poi, è bene che il penitente usi «una formula composta di espressioni della sacra Scrittura», prevista dal rito. Quando possibile, è bene che, in particolari momenti dell’anno o quando se ne presenti l’opportunità, la confessione individuale da parte di più penitenti avvenga all’interno di celebrazioni penitenziali, come previsto dal rituale, nel rispetto delle diverse tradizioni liturgiche, in cui poter dare ampio spazio alla celebrazione della Parola con l’uso di letture appropriate» (VD 61).
Se da una parte la riscoperta dell’importanza della Parola di Dio nella liturgia è un portato che la recezione del Concilio Vaticano II ha generalmente acquisito e che nella liturgia eucaristica è passato in modo ormai scontato, dall’altra nella celebrazione della penitenza rimane ancora faticoso pensare il rapporto, quand’anche si dia, fra proclamazione della Scrittura e sacramento; per articolare questo rapporto, il Rituale offre solamente alcune espressioni sintetiche, da approfondire ulteriormente. Potrebbe essere interessante, perciò, assumere come analogatum princeps il rapporto che c’è fra Parola di Dio e sacramento nella celebrazione dell’eucaristia e poi verificare in che modo si possa applicare al sacramento della penitenza(6). Non si può qui riscrivere la storia dell’avanzamento teologico della questione dei rapporti fra Bibbia e Liturgia. La teologia liturgica ha fatto notevoli passi in avanti e a livello teoretico il dato è chiaro: vale per ogni sacramento, sebbene in modo proprio e relativo alle singole celebrazioni, quanto si dice a proposito della Parola di Dio nella celebrazione dell’eucaristia. Anche nel Magistero è evidente un progresso e una maggiore ricchezza in questo ambito della riflessione teologico-liturgica. A livello di declinazione celebrativa e pastorale si registra, invece, una sorta di difficoltà ad articolare il rapporto fra Parola di Dio e celebrazione sacramentale. A livello generale il dato pare acquisito e ben argomentato:
«La liturgia della Parola, allora, in quanto prima parte della celebrazione sacramentale, non può essere considerata soltanto preambolo o preparazione a quanto avviene dopo. Essa stessa nella fede è già comunione con Cristo sotto l’azione dello Spirito Santo, il quale soltanto può far capire ciò che ha ispirato all’inizio (cf. DV 8.12.126). D’altra parte al centro dell’atto sacramentale, in quella che si precisa come forma sacramenti, si pronuncia o si ubbidisce a una Parola-comando di Cristo che diventa efficace in virtute Spiritus Sancti.
Da qui si può capire l’importanza di una costante, per cui nei nuovi libri liturgici postconciliari non si propone più una celebrazione dei sacramenta fidei, come li chiamava san Tommaso, senza una specifica liturgia Verbi. Verbum et sacramentum se materialmente si susseguono nella celebrazione, nella realtà più profonda si compenetrano e assicurano perennemente il contatto salvifico tra il Cristo, sempre vivo e operante nello Spirito, e la sua comunità» (7).
Quando si entra nello specifico, tuttavia, non si riesce a mantenere alta la consapevolezza del considerare la lettura della Sacra Scrittura non semplicemente come preparazione, come momento rituale di preambolo o, peggio, come scritto da cui attingere indicazioni per l’esame di coscienza(8), ma come parte integrante della celebrazione, parte che entra «nella stessa struttura sacramentale» (9). Pare che su questo aspetto si debba, allora, concentrare l’attenzione se si vuole tentare di risolvere la questione ed offrire un contributo valido ed efficace. Infatti, il generale apprezzamento del valore della presenza della Parola di Dio non si è dimostrato sufficiente per un vero ed efficace rinnovamento della celebrazione del sacramento nella globalità della vita ecclesiale. Non basta, quindi, ritenere la proclamazione della Scrittura elemento valido per la preparazione, per l’esame di coscienza, come generico sprone alla conversione – dimensioni che la Parola di Dio certamente possiede – quando, poi, questo elemento lo si consideri in se stesso, a sé stante, e non nella dinamica e con le caratteristiche di una vera azione liturgica (10).
Si dovrà dunque approfondire il nesso intrinseco tra liturgia della Parola e celebrazione sacramentale, partendo da quanto, dopo il Vaticano II, è già stato formulato, a proposito della Messa (cf. OLM), come principio-base che vale, tuttavia, anche per gli altri sacramenti.
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(1) L’autore sostiene infatti che sia comprensibile l’atteggiamento generale della Chiesa post-tridentina, in cui «prevalse cioè la preoccupazione che oggi si chiama di sacramentalizzazione su quella non certo dispensabile della evangelizzazione, intesa a suscitare ed alimentare la fede….sia prima sia durante la celebrazione dei sacramenti, con lo scopo che questa stessa celebrazione sia più fruttuosa possibile in coloro che vi partecipano, tanto in se stessa che nei suoi riflessi in tutta la vita», atteggiamento che, fra l’altro, comportava questi fenomeni: «la Scrittura, oltre che ad essere letta in latino, presentata in modo non idealmente vario ed abbondante; la predicazione non abbondante – quando non notevolmente deficiente – e non di rado assai distaccata dalla spiegazione diretta della Scrittura e della celebrazione liturgica. […] Fintanto che durò il cattolicesimo “sociologico”, in cui cioè, la società come tale – la famiglia, il villaggio o la piccola città artigianale d’origine medievale, l’insieme della cultura e del sentire e la legislazione stessa – trasmettevano valori religiosi cristiani, il predetto stato in cui la sacramentalizzazione era di molto privilegiata rispetto alla evangelizzazione, poté reggere in qualche modo. Ma con la disparizione sempre più larga e irreversibile di questo cristianesimo sociologico per l’impiantarsi e il diffondersi della “società moderna”, ormai già netto nella seconda metà del secolo XIX e nei primi decenni del XX: la situazione dal punto di vista religioso si mostrò sempre più intollerabile esigendo inderogabilmente un migliore equilibrio tra sacramentalizzazione ed evangelizzazione, cominciando dal campo stesso della liturgia»: C. VAGAGGINI, «La liturgia rinnovata e le esigenze dell’annunzio della Parola di Dio», Seminarium 19 (1979) 89-90.
(2) VAGAGGINI, «La liturgia rinnovata», 96-97. Ancora: «Infatti, la realtà liturgica non è altro che l’ultima realtà biblica resa a suo modo presente ed operante lungo i secoli fino alla fine della storia, in ogni individuo e in ogni comunità, anzitutto proprio nelle celebrazioni liturgiche, massimamente nella celebrazione dell’eucaristia», ibid., 97.
(3) A. NOCENT, «La Parole de Dieu et Vatican II» in Liturgia opera divina e umana, 145. Poco prima scriveva: «Il est cependant légitime de penser que l’introduction d’une liturgie de la parole, liée à chaque sacrement célébré même en dehors de la messe, est une nouveauté qui ne peut passer inaperçue. Elle donne à la valeur de la proclamation de la parole un nouvel appui, et tout à la fois permet de comprendre mieux en quoi consiste un sacrement.. […] Le Lectionnaire, qui est désormais attaché au sacrement célébré en dehors de la messe, préserve la célébration sacramentelle de tout aspect magique. La parole comporte une réalité de présence et d’actualité qui va devenir présence sacramentelle. […] Cette composition d’une célébration de la parole, jointe intimement à la célébration sacramentelle, comme ce fut toujours le cas pour la messe, offre à tous les fidèles une théologie sacramentaire qui est, hélas, encore loin d’être assimilée»: ibid., 144.
(4) «Parola di Dio e celebrazione sacramentale. Il collegamento tra questi due elementi nella celebrazione sacramentale non è sviluppato in modo del tutto sistematico e ampio nella SC. Ma non mancano gli accenni. […] È tutto un programma che doveva avere la sua attuazione nel libro liturgico, sulla base di indicazioni molto generiche (SC 35, 51, 92a)»: C. BRAGA, «Attuazione della “Sacrosanctum Concilium” nei libri liturgici», RPL 120 (1983) 21.
(5) BENEDETTO XVI, Adhortatio Apostolica postsynodalis Verbum Domini (30/09/2010) (=VD), AAS 102 (2010) 681-787.
(6) Cf. FALSINI, «La liturgia della Parola», 31: «La differenza tra la liturgia della Parola nell’eucaristia e quella di altri sacramentali non è affatto di tipo strutturale… […] ma soltanto dalla peculiarità dell’eucaristia e dalla relazione più stretta tra le due parti».
(7) P. VISENTIN, «Celebrazione ecclesiale e dinamismo della Parola. Prospettive teologiche», in Dall’esegesi all’ermeneutica attraverso la celebrazione. Bibbia e Liturgia – I («Caro Salutis Cardo», Contributi, 6), ed. R. Cecolin, Padova 1991, 188-189. Cf. anche, oltre all’articolo nella sua globalità, la sintesi degli altri contributi presenti nel volume offerta da R. DE ZAN, «La Parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata (2Ts 3,1). Presentazione», in Dall’esegesi all’ermeneutica, 7-18.
(8) Pare sempre attuale il rischio che si riaffacci l’ambigua distinzione preconciliare separante il sacramento, che dona la grazia ed è efficace nell’ordine dell’azione, e la Parola di Dio, che è rilevante per la dottrina e si trova sul piano dell’insegnamento: cf. R. DE ZAN, «Punti salienti dei “Praenotanda” dell’“Ordo Lectionum Missae” 1981», RL 70 (1983) 691-703.
(9) «Così la parola di Dio già presente in forma limitata nella Messa e nei sacramentali e spesso identificata con la formula sacramentale, è entrata nel ritmo della celebrazione non solo come momento proprio (liturgia della Parola) – ove è proclamata, venerata, acclamata, applicata o attualizzata – ma percorre l’intero cammino rituale, ridonando pieno significato al rito, anzi entrando nella stessa struttura sacramentale per cui il rito sacramentale mediante la Parola biblica si inserisce nella serie degli eventi biblici, è proclamazione dei mirabilia Dei, appare come compimento degli eventi salvifici ritrova la sua dimensione storico-salvifica, liberandosi dalla concezione di atto isolato e puntuale. Non si può ormai concepire una celebrazione liturgica senza la proclamazione della Parola»: R. FALSINI, «Le grandi acquisizioni teologico-pastorali della riforma liturgica», RPL 157 (1989) 21-22.
(10) «Non si sfugge però all’impressione che la proclamazione della parola di Dio sia vista non come una vera azione liturgica, incontro con Cristo morto e risorto, contenuto delle Scritture e interprete di esse, presente nella sua Parola, che interpella personalmente i fedeli annunciando la misericordia, smascherando il peccato, infondendo fiducia, chiamando alla conversione, assicurando il perdono, quanto piuttosto un espediente catechetico, utile ma non indispensabile, per preparare il penitente all’incontro con Cristo che avviene nella confessione e nell’assoluzione. […] Nel n. 22, poi, si dice che “quando più penitenti si riuniscono per ottenere la riconciliazione sacramentale, è bene che si preparino con una celebrazione della parola di Dio”. Quindi per il rituale la liturgia della Parola non fa parte della celebrazione, ma è semplice preparazione ad essa»: SORCI, «Il lezionario», 845.