Ancora sulle antifone

Sovente da queste pagine facciamo osservazioni e considerazioni sulle antifone che impreziosiscono la preghiera dei salmi come pure l’eucologia delle celebrazioni eucaristiche. A proposito dell’uso che ne fa la Liturgia delle Ore, è fondamentale la lettura degli articoli dei Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, dal numero 110 al 120. Pensiamo di fare cosa gradita nel proporre alcuni paragrafi di un domenicano francese, teologo e musicista. Perdonerete la lunga citazione, e il finale rinvio ad un post datato, ma adatto a questo tempo.

Posta prima e dopo il salmo, l’antifona è quel canto singolare che ne offre la chiave di lettura. Si tratta in questo caso di una vera e propria invenzione dei cristiani. Già nel IV secolo Ambrogio di Milano faceva pregare i suoi in questo modo per meditare la Parola di Dio. Ogni volta che veniva celebrata una festa erano molti i salmi da cantare; come fare per comprenderli, per intenderli? L’antifona, un pò come il ritornello di una canzone, conferiva al salmo l’atmosfera del giorno. A Pasqua, a Natale, o in occasione delle feste dei santi, lo stesso salmo poteva così assumere una dimensione differente.

Spesso breve, estremamente coincisa – talora anzi si tratta semplicemente di una frase del salmo un pò rielaborata -, l’antifona illumina di nuova luce un testo già conosciuto perché sovente ripetuto. Spesso tratta dalla Scrittura, ad esempio dal vangelo stesso, mostra in fin dei conti come si operava nella liturgia la sintesi tra l’antico e il nuovo, tra i testi «del passato» e la persona di Cristo. Non bisogna esitare a parlare qui di riappropriazione cristiana dell’eredità biblica. Da questo punto di vista, la letteratura liturgica è uno strumento che permette a ciascuno di dire «io», in chiave poetica e musicale. E’ esattamento in questo senso che bisogna intendere l’antifona: essa mette in sintonia un determinato canto con la festa che si sta celebrando. Le antifone venivano cantate sempre in piedi, abitudine che i religiosi hanno conservato. Prima e dopo il salmo, ma anche, talora, nel corpo del salmo: quando i cantori e le scholae ne avevano cantati i versetti, il popolo li riprendeva. L’antifona diventava così la risposta dell’assemblea che faceva eco al canto dei solisti. In questo si evidenzia un aspetto molto importante: l’antifona è la preghiera che si ripete a memoria. Breve, con una nota per sillaba o un passaggio sobriamente ornamentale – a differenza di altri brani della liturgia -,è uno sviluppo meditativo del testo, un teso cantato semplicemente, sobriamente, festosamente dall’assemblea in risposta all’ascolto del salmo. […] [I Salmi] Sono il tesoro di un popolo di credenti. Gli sono stati donati. E’ nella carne del popolo di Israele che questa parola biblica è stata rivelata. I cristiani seguono umilmente le orme dei figli della stessa promessa. Scrittura e liturgia sono le due mammelle della fede: prima ancora che nascesse un teologia, c’era un popolo che salmodiava, un popolo che ruminava la Parola, un popolo che custodiva la memoria.

A. Gouzes, La notte luminosa. Iniziazione al mistero della Pasqua, Magnano (BI) 2015, 46-47.49.

Sarà sufficiente usare l’opzione di ricerca per trovare vari post dedicati a diverse antifone: se ne indica uno in tema ai giorni attuali del triduo pasquale: vedi qui.

Le porte degli inferi, quelle che non hanno prevalso e quelle che non prevarranno

Che ci fosse qualcosa di parziale nell’interpretazione popolare e immaginativa delle parole del Signore a Pietro lo sospettavamo da un po’. Parrebbe che i più intendano una Chiesa in atteggiamento difensivo nei confronti delle forze degli inferi, le quali, nonostante tutto il loro dispiegamento di potenza e di forza, non riescono a vincere. Ma ad una lettura più attenta ci si accorge che le cose non possano essere solo così. Risulta infatti difficile concepire delle porte che si muovono in attacco: lo sfondamento deve essere a parti invertite! Sarebbe la chiesa, quindi, in attacco, ad abbattere le porte degli inferi…Non vogliamo invadere il campo degli esegeti italiani, che hanno reso, nella nuova traduzione, le antiche «porte» con più generiche «potenze», ma ci permettiamo di osservare che se così si è risolto un passo di difficile interpretazione, ci si è privati di un significato importante che, fra l’altro, è rimasto esplicitato nelle note della Bibbia di Gerusalemme (1). Potrebbe essere utile, anche se per il metodo storico-critico di esegesi scritturale ciò sarebbe un orrore, interrogare altri testi non biblici e altre discipline teologiche, a proposito delle porte degli inferi…

In un testo apocrifo attribuito a Nicodemo, si racconta di un momento in cui tali porte «non prevalsero» e, nonostante fossero state rinforzate per l’occasione, vennero infine abbattute.

Mentre Satana e l’Ade parlavano così tra loro, ci fu una voce grande come un tuono, che diceva: “Alzate le vostre porte, o prìncipi, aprite le vostre porte eterne ed entrerà il re della gloria”. L’Ade udì e disse a Satana: “Esci e resistigli, se puoi!”. Satana dunque venne fuori, e l’Ade disse ai suoi demoni: “Rafforzate bene le porte bronzee, tirate le spranghe di ferro, osservate tutte le chiusure, vigilate tutti i punti. Se egli entra qui, guai a noi!”. Udito ciò, i primi padri incominciarono a disprezzarlo, dicendo: “O tu che divori tutto e sei insaziabile, apri affinché possa entrare il re della gloria!”. Il profeta David disse: “Non sai, o cieco, che quando vivevo nel mondo profetai questa parola: “Alzate le vostre porte, o prìncipi”?”. Isaia disse: “Illuminato dallo Spirito santo io previdi e dissi: “I morti risorgeranno e coloro che sono nelle tombe saranno svegliati e si rallegreranno quanti si trovano sulla terra”; e: “Dov’è il tuo pungolo, o morte? Dov’è la tua vittoria, o Ade?”. Venne allora una voce che diceva: “Aprite le porte!”. Udita questa voce per la seconda volta, l’Ade rispose come se non lo conoscesse, dicendo: “Chi è questo re della gloria?”. Gli angeli del padrone gli risposero: “Un Signore forte e potente, un Signore potente in guerra!”. A queste parole, le porte bronzee furono subito infrante e ridotte a pezzi, le sbarre di ferro polverizzate, e tutti i morti, legati in catene, furono liberati e noi con essi. Ed entrò, come un uomo, il re della gloria e furono illuminate tutte le tenebre dell’Ade. (2)

Questa tradizione è passata nell’iconografia orientale: Cristo si rialza dagli inferi, trascinando con i sé gli antichi padri. Ai piedi di Cristo si notano generalmente due ante o battenti di porte e qua e là dei chiavistelli divelti, catenacci spezzati e cose simili, proprio ad indicare che è aperta la possibilità di uscire dalla prigionia infernale.

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C’è dunque un precedente!

Ma come ogni azione della vita di Cristo, anche questa continua ad opera del suo corpo che è la Chiesa. Se è vero che nella vita di ogni uomo esiste la possibilità che gli inferi richiudano le loro porte e lo rendano prigioniero, è vero che di nuovo potranno essere abbattute e non prevarranno: altre porte dovranno essere sfondate e cedere il passo…

Perché questo post non appaia troppo legato a testi e a tradizioni antiche, lasciamo la parola ad un autore contemporaneo, leggendo il quale abbiamo trovato l’occasione di questo post.

Nell’icona della discesa agli inferi compare questa meravigliosa simbologia: le porte della morte sono inchiodate. Chi la contempla viene in tal modo messo di fronte a quest’altra immagine della crocifissione, viene messo di fronte alla morte, in ultima analisi. Le chiavi della nostra prigione sono state messe fuori uso: il vero potere delle chiavi, di cui Cristo parla altrove a proposito del “potere” della Chiesa, è forse da ricercare qui, nel mistero assoluto della resurrezione (cf. Mt 16,17-19). Se la chiesa ha ricevuto un potere, non è altro che quello di incatenare la morte e il male, di liberare l’amore e la vita. Essa non ha altro potere che quello di liberare il povero, il peccatore e lo schiavo, il disgraziato, l’angosciato o il disperato, di aprire loro le porte della vita. Si può immaginare promessa più straordinaria di questa: impedire l’insorgere in ogni uomo di tutto ciò che aliena in profondità la vita umana? Non si tratta dunque né di un potere sulle persone o sui bene, né di un potere sulle cose o sulle idee, ma unicamente, grazie alla santità di Cristo, di esercitare il potere di inchiodare la morte, di legare o di sciogliere, come mostra quest’icona della risurrezione. È questa la forza all’opera nella pasqua. La chiesa ha senso solo quando perdona, quando dà il pane. E quando riflette o fa teologia deve ricordare sempre che ha null’altro da cercare di esprimere se non ha la potenza della resurrezione. Ogni parola detta deve aprire, liberare qualcuno, far accedere all’intelligenza di Dio, nel suo mistero più profondo, che è mistero dell’esistenza, dell’essere e dell’amore. (3)


(1) «In questo passo, le “porte” dell’Ade, personificate, evocano le potenze del male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatenarono definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” e risuscitato, la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale e soprattutto eterna, per farli entrare nel regno dei cieli».

(2) Vangelo di Nicodemo, 5; per il testo completo, cf. qui.

(3) A. Gouzes, La notte luminosa. Iniziazione al mistero della Pasqua, Magnano (BI) 2015, 124.