Il rituale della Penitenza: curiosità, contraddizioni (e soluzioni?)

Nella ricerca in archivio, anche pagine spurie e apparentemente di non primissima importanza, possono comunque offrire dettagli interessanti e preziosi, che giustificano la fatica di ore ed ore di ricerca: dalle pagine ingiallite e raccolte alla meno peggio possono scaturire considerazioni e riflessioni inaspettate, in modo particolare se si possono incrociare e confrontare con altri dati e documenti.

Vediamo allora di mettere in relazioni due pagine di genere, contesto e data del tutto diversi, ma con lo stesso oggetto: il rituale della penitenza riformato dopo il Vaticano II.

Il primo documento si tratta di una lettera riservata di Bugnini a Jounel, che abbiamo trovato appunto fra le carte del liturgista francese. Si tratta di una comunicazione passata a tutti i componenti della commissione che stava preparando il nuovo rituale della Penitenza – di cui mons. Pierre Jounel era parte attivissima, per metterli a parte di novità interessanti e, diciamo noi, per gratificarli un poco, dopo un lavoro difficile e delicato. Ecco il testo, per ciò che ci interessa ora:

Roma, 6 agosto 1973

Al gruppo di studio dell’«Ordo Paenitentiae»

Carissimi,

nell’Udienza concessami il 3 agosto u.s., il Papa mi ha parlato dell’Ordo Paenitentiae. Prima di tutto il Papa ha tenuto a sottolineare che lo schema gli è piaciuto moltissimo per la dottrina sicura, la cultura ampia che manifesta, la spiritualità molto accentuata, la profondità della ricerca. «Fa onore al Dicastero e alla Santa Sede» – ha detto. Ha poi consegnato e commentato al Segretario alcuni suoi appunti personali. […] Poiché alcuni ritocchi sono necessari (il Papa mi ha dato una lista di Sue osservazioni), vale la pena di rimandare un po’ la pubblicazione, ma limare ancora il bellissimo lavoro che avrà una incidenza formidabile sulla vita della Chiesa. […] Per la seconda volta, poi, mi ha fatto elogi del lavoro e mi ha detto: desidero che comunichi i miei voti e la mia particolare benedizione e il mio plauso a quanti vi hanno lavorato.

Poi ha voluto sapere i nomi di quelli che vi hanno lavorato: è stata la prima volta che il Papa mi ha chiesto i nominativi di un gruppo.

Tanto ho creduto bene di comunicarvi, per conforto e speranza. In autunno si terrà un’adunanza del gruppo. Saluti cordialissimi. (1)

 

Proviamo a confrontare tale documento con un articolo apparso nel 2010 in un fascicolo di Rivista di pastorale liturgica dedicato integralmente al sacramento della penitenza e alla sua pastorale:

  1. «La confessione è finita»

Così titolava un articolo apparso su Repubblica del 19 giugno 2009 a firma di Jenner Meletti, una notizia accolta subito con una certa soddisfazione dagli ambienti laicisti.

A parte il titolo a effetto, è una constatazione semplice, eppure incontrovertibile, che tanto la pratica quanto la comprensione del sacramento della Penitenza siano nella chiesa di oggi piuttosto in crisi. La riforma annunciata a suo tempo dal Vaticano II e attuata con la pubblicazione del Rito della Penitenza non è stata in grado di ravvivare l’interpretazione teologica e la prassi di questo sacramento.

(G. Venturi, «Dove stiamo andando?», Rivista di pastorale liturgica  4/2010, 32 (2)

Come si vede, l’assai favorevole apprezzamento del nuovo rituale da parte di Paolo VI e i suoi auspici positivi paiono essere del tutto smentiti dalla prassi successiva.

Cosa pensare di fronte a questa apparente contraddizione? Paolo VI in questo non fu davvero un buon profeta e gli esperti che si adoperarono per la riforma rituale della penitenza mancarono del tutto il loro obiettivo? La difficoltà e la stanchezza in cui giace la prassi celebrativa del quarto sacramento sono ai più evidenti, al di là dei titoli dei giornali (3): non è paradossale che proprio l’unico rituale che secondo il segretario del Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia – lui che seguì l’intera opera di riforma post-conciciliare – fu in tal modo apprezzato e lodato dal Pontefice, alla prova della prassi si sia rivelato quello dall’attuazione pratica più fallimentare?

La sintesi, ci pare, può essere trovata nel riconoscere che alcuni principi fondamentali del rituale non furono – e non lo sono tuttora! – compresi e recepiti. Oltre alla sterile lamentela o all’ormai ripetitiva richiesta di ulteriore riforma del rituale, sembra più saggio ritornare a studiare sul serio quanto Bugnini e Jounel avevano fra le mani, nell’agosto del 1973…

A tale argomento abbiamo dedicato diversi post e, come sapranno i lettori più attenti, la ricerca dottorale. Rimandiamo pertanto a tali pagine, senza appesantire oltremodo la presente. Prossimamente, invece, ci soffermeremo su altri aspetti presenti nella lettera  di Bugnini citata più sopra.


(1) Sacra Congregatio pro Culto Divino, Corrispondenza Bugnini – Jounel, Lettera riservata (prot. n. 1127/73): Fondo Jounel, Archivio del Centre National de Pastorale Liturgique (Parigi); tale era l’ubicazione del fondo all’epoca della nostra consultazione. In questi ultimi anni la documentazione è stata riversata presso il Centre National des Archives de l’Église de France, Issy-Les-Moulineaux, Paris.

(2) Cf. qui.

(3) Cf. il recente libretto di Aldo Maria Valli, C’era una volta la Confessione. Inchiesta su un sacramento in crisi, Milano 2016.

B&B, una sorprendente comunione.

Nell’omelia nella Solennità del Corpus Domini dell’anno 2012, Benedetto XVI iniziava affrontando una questione che a lui stava molto a cuore:

Cari fratelli e sorelle! Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato. Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. […] In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. (1)

Interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II, dunque. Senza dubbio, ci sarà stato chi dalle parole del Papa si sarà sentito confermato nella sua personale ostilità verso la riforma liturgica, in essa avrà individuato l’obiettivo del rilievo papale e, in generale, la causa di ogni male nella Chiesa dei nostri giorni. Non possiamo certo fare qui una sintesi della documentazione prodotta dagli esperti del Consilium a riguardo del culto eucaristico; sia sufficiente citare un brevissimo testo, che potrebbe far storcere il naso a qualcuno:

Non sarà fuori luogo ricordare che lo scopo primario e originario della conservazione nella Chiesa delle sante Specie al di fuori della celebrazione della Messa è l’amministrazione del Viatico; scopi secondari sono la distribuzione della comunione al di fuori della Messa e l’adorazione del Signore nostro Gesù Cristo, presente sotto quelle specie.

Questa sorta di gerarchizzazione delle motivazioni della riserva eucaristica in effetti compare nel testo (al n. 49) dell’Istruzione post-conciliare Eucharisticum Mysterium (1967), e potrebbe sembrare una certa svalutazione dell’adorazione eucaristica. Ma se così fosse, la responsabilità non sarebbe da attribuire al Consilium. Si tratta infatti di un citazione di un’altra Istruzione precedente, la Quam plurimum, pubblicata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1949!

Se qualcosa invece nel 1967 cambiò furono alcuni aspetti della terminologia. Sentiamo, a tal proposito, la testimonianza di Bugnini: «Con “preghiera davanti al Sacramento” si sostituisce la terminologia devozione precedente, che parlava di “visita al SS.mo Sacramento”. Per qualche consultore essa indicava ancora bene l’atto di “andare pellegrinando al Signore”, ma alla maggior parte dava l’impressione di atti di cortesia o di conforto al “Divino prigioniero”. Tutti concetti che non hanno nulla a che vedere con la dottrina proposta sulla presenza reale. Perciò sono sembrati termini più appropriati: “prev” oppure “oratio”» (2). Sempre a riguardo di tale preghiera, Bugnini afferma ancora: «Porta alla familiarità e all’apertura del cuore con Cristo e insieme a considerare che la presenza di Cristo nel Sacramento è frutto del sacrificio e conduce alla comunione. Perciò spinge all’offerta di sé e all’intima comunione di sentimenti con il Signore morto e risorto» (3).

Scherzando un poco, prendendo in prestito le parole citate, se si leggerà con attenzione la continuazione dell’omelia, si potrà notare una sorprendente comunione di sentimenti e di concetti fra Bugnini e Benedetto XVI. In questo, almeno, non si può arruolare Ratzinger nella campagna contro il Segretario del Consilium.

L’ultima parola al Papa:

In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. […] Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale.


(1) Cf. Omelia del Santo Padre Benedetto XVI, 7 giugno 2012.

(2) A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae», «Subsidia » 30), Roma 1997, 827.

(3) Ibid.

A “bristled” Bugnini: unexpected notes from yellowed pages.

We have already welcomed the laudable project to make accessible online the entire collection of Notitiae, the review of the Congregation for Divine Worship (1). It may be useful to recall the prehistory of this prestigious and authoritative periodical.

In the very first period of activity of the Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, it was all to be organized, from the locals to staff, from the method of work to the legal configuration.

Right from the start that the Commission was characterized by different backgrounds of members and experts: the frequent plenary meetings were an opportunity to clear up the point of the various problems and issues; in addition to the reports, the talks and the oral meetings, the Secretariat had taken the use of draft sets of notes and notices, the directions and the progress of the work, as well as on new assignment and tasks. Those internal connecting sheets were, exactly, entitled “Notitiae” .

Of course, they are not on the same level of historical and scientific interest the “Schemata” have: the last, in fact, testify to more closely the work of reform in specific areas of the various study groups; but skimming through these old yellowed pages may hold significant surprises .

Not only critics of liturgical reform but, frequently, also advisers and experts of ecclesiastical affairs attribute, with the slight shallowness of those who repeat  granted interpretations, every liability to Msgr. Annibale Bugnini, the Secretary of the Consilium. Although in fact it was not he who operate directly and specifically in the actual revision of the liturgical books , he was accused of having allowed experts , liturgists and not, to put hand, impunity and disrespectfully, to the destruction of the building of the Catholic worship.

In a short note of one of the dossiers which are the antecedents of Notitiae, Bugnini proves himself very different from how somebody, in his imagination, wants to sketch the Consilium Secretary. To him, therefore, the turn to speak:

«Quo vadis, Liturgy?
Not rarely, about new initiatives in liturgy, disconcerting things are heard, disconcerting things are read in magazines, diaries, disconcerting things are seen in the photographs, disconcerting things are said in the conference, in declarations and talks.
Not infrequently, I sincerely admit, “the hairs of my body bristled” (Job 4:15).
Quo vadis, Liturgy? Or rather, where do you bring liturgy, you liturgists and pastoralists?
With courage, without conformity, we must resist the temptation of “experiments.” Without a doubt this is a temptation “from evil”; it is not an “inspiration” from on High.
The path of renewal is safe, bright, wide, vast, it is indicated by the Church, by the chief Shepherd; any other path is a false path.
And it is appropriate that the Directors of magazines may support the renewal effort, no one may yield to the temptation to do or say newness, so as to woo readers with empty delight: so the readers are deceived, and  not built up.
All, then especially the Consilium members and staff, may experience right now their responsibility».

This was our translation of the following latin original:

Quo vadis, Liturgia?
Non raro, circa inceptus in re liturgica, mira audiuntur; mira leguntur in foliis periodicis, in diariis; mira videntur in photographiis; mira dicuntur in conferentiis, in declarationibus, in colloquiis.
Non raro, candide fateor, “inhorruerunt pili carnis meae” (Iob 4,15).
Quo vadis, Liturgia? Vel potius, quo fertis Liturgiam, liturgistae vel pastoralistae?
Fortiter, absque ullo conformismo, resistendum est tentationi “experimentorum”. Est certissime tentatio “ex maligno”; non est “inspiratio” ex Alto.
Via renovationis, secura, luminosa, lata, spatiosa, indicatur ab Ecclesia, a summo Pastore; quaevis alia via est falsa via.
Periodicurum Moderatores sustineant oportet conatum renovationis, nulli cedant tentationi novum faciendi vel dicendi, ut lectores inani voluptate emulceant: lectores decipiuntur, non aedificantur.
Omnes, praecipue autem Consilii Sodales, sentiant hoc momento propriam “responsabilitatem”.
A. Bugnini

Notitiae n. 2, die 15 februarii 1965, III. Varia, 13: Cambrai Diocesan Archives (France), Fund Jenny, Series 3A2 – 5.1


(1) Cf. here.

 

Un Bugnini da far drizzare i peli: note inaspettate da vecchie pagine ingiallite

Abbiamo già salutato il lodevole progetto di rendere accessibile on-line l’intera collezione della rivista Notitiae (1). Può essere utile ricordare la preistoria di tale prestigioso e autorevole periodico.

Nel primissimo periodo di attività del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia era tutto da organizzare, dai locali al personale, dal metodo di lavoro alla configurazione giuridica. Fin da subito tale Commissione si caratterizzò per diversissima provenienza dei membri e dei periti: le frequenti riunioni plenarie erano l’occasione per fare il punto sulle varie problematiche e questioni; oltre alle relazioni, ai colloqui e agli incontri orali, la Segreteria aveva preso l’uso di redigere dei fascicoli di note e comunicazioni, sugli indirizzi e sull’andamento del lavoro, nonché sulle nuove nomine e incarichi. Tali fogli di collegamento interno erano, appunto, titolati «Notitiae».

Naturalmente non siamo sullo stesso livello di interesse storico e scientifico che possiedono invece gli «Schemata», che testimoniano più da vicino i lavori di riforma negli specifici ambiti dei diversi gruppi di studio; eppure, sfogliare queste vecchie pagine ingiallite può riservare notevoli sorprese.

Non solamente i critici della riforma liturgica, ma frequentemente anche divulgatori e cultori di vicende ecclesiastiche attribuiscono, con la leggera superficialità di chi ripete interpretazioni date ormai per scontate, ogni responsabilità ad mons. Annibale Bugnini, il Segretario del Consilium suddetto. Anche se di fatto non fu lui ad operare direttamente e nello specifico nella revisione concreta dei libri liturgici, lo si accusa di aver permesso a periti, liturgisti e non, di mettere mano, impunemente e irrispettosamente, alla distruzione dell’edificio intoccabile quale si riteneva fosse l’impianto della liturgia cattolica.

In una breve nota di uno di quei fascicoli che sono gli antecedenti della rivista Notitiae, Bugnini si rivela assai diverso da come lo si vuole tratteggiare nell’immaginario di alcuni. A lui, dunque, la parola:

«Quo vadis, Liturgia?
Non raramente, a proposito di nuove iniziative in ambito liturgico, si ascoltano cose incredibili, cose incredibili si leggono nelle pagine delle riviste, nei diari, incredibili cose si vedono nelle fotografie, cose incredibili vengono dette nelle conferenze, in dichiariazioni, in colloqui.
Non raramente, lo ammetto sinceramente, “si drizzarono i peli sulla mia pelle” (Gb 4,15).
Quo vadis, Liturgia? O piuttosto, dove portate la liturgia, voi liturgisti e pastoralisti?
Con coraggio, senza alcun conformismo, bisogna resistere alla tentazione degli “esperimenti”. Senz’alcun dubbio è una tentazione “dal maligno”; non è un’ispirazione dall’Alto.
La strada del rinnovamento è sicura, luminosa, larga, vasta, è indicata dalla Chiesa, dal sommo Pastore; qualsiasi altra strada è una falsa strada.
E’ opportuno che i Direttori delle riviste sostengano lo sforzo del rinnovamento, nessuno ceda alla tentazione di compiere o dire novità, così da blandire i lettori con vuota voluttà: i lettori sono ingannati, non edificati.
Tutti, specialmente poi il personale del Consilium, avvertano in questo momento la loro responsabilità».

Questa era una nostra traduzione dell’originale latino:

Quo vadis, Liturgia?
Non raro, circa inceptus in re liturgica, mira audiuntur; mira leguntur in foliis periodicis, in diariis; mira videntur in photographiis; mira dicuntur in conferentiis, in declarationibus, in colloquiis.
Non raro, candide fateor, “inhorruerunt pili carnis meae” (Iob 4,15).
Quo vadis, Liturgia? Vel potius, quo fertis Liturgiam, liturgistae vel pastoralistae?
Fortiter, absque ullo conformismo, resistendum est tentationi “experimentorum”. Est certissime tentatio “ex maligno”; non est “inspiratio” ex Alto.
Via renovationis, secura, luminosa, lata, spatiosa, indicatur ab Ecclesia, a summo Pastore; quaevis alia via est falsa via.
Periodicurum Moderatores sustineant oportet conatum renovationis, nulli cedant tentationi novum faciendi vel dicendi, ut lectores inani voluptate emulceant: lectores decipiuntur, non aedificantur.
Omnes, praecipue autem Consilii Sodales, sentiant hoc momento propriam “responsabilitatem”.
A. Bugnini

Notitiae n. 2 die 15 februarii 1965, III. Varia, 13: Archivio Diocesano di Cambrai, Fondo Jenny, Serie 3A2 – 5.1


(1) cf. qui.

 

“Annibale conquistò Roma”? Pillole di storia, documentate.

Di certo non si può leggere come un romanzo, nemmeno come un saggio, ma la pubblicazione del diario di monsignor Pericle Felici (1) costituisce un importante ed ulteriore passo in avanti nella ricostruzione critica e obiettiva della storia del Concilio Vaticano II.

Eravamo a conoscenza del ruolo avuto dall’allora Segretario del Concilio negli inizi della riforma liturgica, ma molti particolari possono solo ora essere documentati.

Un dettaglio, forse marginale, può essere. ad esempio, quello relativo al nome della speciale Commissione che Paolo VI  volle costituire per continuare quanto Sacrosanctum Concilium aveva auspicato.

Da alcune note si poteva finora intuire che non fosse stato Bugnini a scegliere la denominazione «Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia». Ma forse per alcuni critici non era sufficiente quanto lo stesso Bugnini scriveva: «Consilium…denominazione, se si vuole, di sapore barocco» (2), o quanto veniva riportato in un articolo di Marini: «In una lettera indirizzata al Card. Lercaro, P. Bugnini il 10 gennaio si poneva alcuni interrogativi: – Il nome della Commissione: egli riteneva opportuno evitare l’aggettivo “post-conciliare”. Tenendo presente che la Commissione di Pio XII si chiamava “Pontificia Commissione per la Riforma Liturgica”, proponeva il titolo di “Pontificia Commissio de Sacra Liturgia instauranda”, oppure: “Sacrae Liturgiae instaurandae”» (3). Ma, ora, dalle annotazioni personali di monsignor Felici, si può definitivamente chiarire almeno questo dettaglio: fu Paolo VI a decidere il titolo a questa speciale Commissione, rettificando quanto lo stesso Felici propose.

Ecco le note:

9 gennaio 1964, giovedì

Consegno poi al Papa uno schema di M.P. per l’applicazione della Costituzione De Sacra Liturgia; sembra piacergli; gli piace anche la data: 25 gennaio, Conversione di S. Paolo, che ricorda il primo annunzio del Concilio Ecumenico. […] Scendo poi dal Segretario di Stato e gli suggerisco di procedere alla nomina dei membri e del segretario del nuovo organismo per gli studi per l’applicazione della Costituzione Liturgica. E’ favorevole. Gli suggerisco poi di chiamare il nuovo organismo: Consilium de coordinandis studio ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia. [368]

15 gennaio 1964, mercoledì

Ho poi un colloquio, in ufficio, con l’Em.mo Card. Lercaro; parliamo del nuovo Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia (così poi il Papa ha voluto chiamarlo).

V. Carbone, Il “Diario” conciliare di Monsignor Pericle Felici: Segretario Generale del Concilio Ecumenico Vaticano II (a cura di A. Marchetto), Città del Vaticano 2015, 368.

“Annibale ha conquistato Roma!”: così sentimmo, anni fa, dal prof. Scicolone, in una conferenza commemorativa: riportava l’espressione – se non altro geniale per colto e raffinato umorismo – coniata da quanti intendevano enfatizzare il ruolo e il peso di monsignor Annibale Bugnini nell’attuazione della riforma liturgica. Ma a ben vedere, abbiamo oggi un altro tassello che smonta il paragone fra il Segretario del Consilium e Annibale, il condottiero cartaginese che mise apprensione all’antica Roma.

Qualcuno potrà continuare a sostenere che Bugnini  fu il principale e di fatto unico responsabile delle azioni del Consilium, non solamente il coordinatore dei lavori di riforma ma l’artefice a cui ricondurre ogni decisione; tuttavia, perlomeno l’attribuzione del nome alla Commissione che attuò il dettato conciliare va ascritta a Pericle Felici e a Paolo VI.

In questo no, Annibale non conquistò Roma, come del resto capitò al suo antico omonimo cartaginese.

La foto della Segreteria del Concilio posta sulla copertina dell'edizione del diario conciliare di P. Felici

La foto della Segreteria del Concilio posta sulla copertina dell’edizione del diario conciliare di mons. Pericle Felici

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 (1) V. Carbone, Il “Diario” conciliare di Monsignor Pericle Felici: Segretario Generale del Concilio Ecumenico Vaticano II (a cura di A. Marchetto), Città del Vaticano 2015.

(2) A. Bugnini, «Presidente del “Consilium“», in Miscellanea liturgica in onore di Sua Eminenza il Cardinale Giacomo Lercaro, Tournai 1966, 11.

(3) P. Marini, «La nascita del “Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia” (Gennaio-Marzo 1964)», Ephemerides Liturgicae 106 (1992) 292.

Domus Sanctae Marthae: chi non vi entrò mai, e chi ne prese il posto

Può darsi che si tratti di un dettaglio pratico di minor conto oppure, invece, che sia un gesto simbolico significativo, dalle conseguenze non previste: sembra che la decisione di alloggiare o meno a Santa Marta sia stata già controversa parecchi anni prima che Papa Francesco rifiutasse l’Appartamento papale nel Palazzo Apostolico.

Ci spieghiamo.

Fra alcune carte spurie raccolte in un faldone dell’Archivio Lercaro, abbiamo avuto occasione di trovare alcune pagine dattiloscritte, indirizzate al Cardinale Lercaro con tutta probabilità da Bugnini, aventi come oggetto alcune ipotesi sulla Commissione che avrebbe dovuto essere costituita per trarre le conseguenze applicative dai principi generali esposti nella Costituzione Conciliare. Senza poter entrare adesso nella complessa storia – in parte ancora da studiare e scrivere – delle origini del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, registriamo solamente un passaggio interessante:

«Prima soluzione: Isituire ex novo la Commissione.

Avrebbe il vantaggio di poter scegliere i membri liberamente, con ampia facoltà e secondo le compentenze: ciò favorirebbe il lavoro dinamico e sicuro. La Commissione potrebbe aver sede a S. Marta dove sono gli Uffici di tutti le Commissioni Conciliari. La Commissione liturgica non ha mai occupato quegli uffici, preferendo restare alla SRC» (1)

Se questo documento dice il vero, la Commissione Liturgica Conciliare non si radunò negli Uffici predisposti a Santa Marta per tutte le Commissioni incaricate di rivedere gli schemi secondo le osservazioni e le proposte dei Padri Conciliari, ma preferì utilizzare i locali della Sacra Congregazione dei Riti. Una scelta che ha una sua logica e pure comprensibile in ordine di praticità. Il Presidente della Commissione e il Segretario, infatti, erano di casa alla Congregazione dei Riti, essendone il Prefetto, il primo, e Promotore generale della Fede, il secondo.  Tuttavia, occorre considerare che la nomina del segretario della Commissione Conciliare nella persona del padre. F. Antonelli, «suscitò stupore e apprensioni nei componenti la Commissione, come testimonia il P. Martimort: “La sua nomina inattesa suscitò timore e malumore non per la sua persona ma perché era preconizzato a quell’incarico il P. Bugnini, già Segretario della Commissione preparatoria, cosicché la mancata conferma di questi fu considerata un affronto e un’offensiva della Curia romana contro l’operato della Commissione preparatoria..”» (2)

Date queste premesse, la scelta di riunire gli esperti della Commissione Conciliare in uno dei Palazzi classici della Curia Romana, quando era stata prevista un’altra sistemazione, forse non fu una semplice decisione pratica e neutrale. Per di più, parrebbe che la Commissione Conciliare de Liturgia sia stata l’unica commissione conciliare a non stabilire a Santa Marta la sede dei suoi lavori. Di questo non abbiamo altri riscontri, mentre del fatto che le adunanze, almeno le prime, nello stesso edificio della Sacra Congregazione dei Riti non furono certo senza difficoltà e malumori: «Oggi, domenica, alle 10.30 si è riunita per la prima volta [21 ottobre 1962, ndr] la Commissione Conciliare di Sacra Liturgia, nella sala del Congresso, nei locali della Sacra Congregazione dei Riti. Il Card. Larraona ha nominato due Vice-Presidenti, il Card. Giobbe e il Card. Jullien. Ciò destò una certa sorpresa, specialmente per il fatto che ambedue erano membri della curia; però il Card. Lercaro, che era il solo Cardinale eletto direttamente dalla Congregazione Generale e che godeva di ottima stima come esperto liturgista, era stato ignorato. Ha comunicato poi la nomina del Segretario nella persona del sottoscritto e ha annunziato che chiamerà diversi periti, anche non liturgisti, ma giuristi e teologi..» (3).

Cardinali curiali ed esperti giuristi, e non insieme agli altri periti e membri delle commissioni conciliari a Santa Marta, ma nel palazzo della Congregazione: un inizio alquanto singolare, per la Commissione liturgica.

Non tantissimi mesi dopo, un nuovo trasferimento e una nuova Commissione: «La prima adunanza generale del “Consilium” fu celebrata a Roma, l’11 marzo 1964, pochi giorni dopo la sua istituzione. Si tenne nel Palazzo S. Marta, in un corridoio del 1° piano….» (4).

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(1) Appunto riservato «Per la realizzazione della “Commissione postconciliare della Riforma Liturgica”, potrebbero prospettarsi tre soluzioni»,1: Archivio Lercaro, A. CCCXLVIII (1962-1968).

(2) N. Giampietro, Il Card. Ferdinando Antonelli e gli svilpuppi della riforma liturigca dal 1948 al 1970 (Studia Anselmiana 121 Analecta liturgica 21), Roma 1998, 106.

(3) Giampietro, Il Card. Ferdinando Antonelli, 107.

(4) A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 30), Roma 1997², 150.

Le carte di Mons. Bugnini: damnatio memoriae, omissione o mistero? Note sul Concilio inedito

E’ del tutto evidente di quanto la consultazione degli archivi sia imprescindibile per una ricerca storica seria e fondata. Tale principio vale anche per la storia del Concilio Vaticano II e per i suoi documenti. Il testo della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium ha un valore assoluto in sé, ed è il riferimento obbligato per ogni ermeneutica; ciò non sminuisce, però, l’importanza e l’utilità della consultazione delle carte e delle note dei vescovi e dei periti che lavorarono alla redazione del testo. In quest’opera di ricerca, nel mare magnum degli archivi istituzionali e dei fondi privati, strumento preziosissimo è lo studio, pubblicato a cura di Massimo Faggioli e Giovanni Turbanti, Il Concilio inedito. Fonti del Vaticano II. In esso si possono trovare, oltre ai riferimenti dei principali centri di raccolta dei documenti e della ricerca sul Vaticano II, i risultati di una davvero ampia consultazione sui fondi locali e sulle carte di numerosissimi attori dell’evento conciliare, vescovi e periti. Al nome della singola persona o istituzione è associata una breve descrizione del ruolo avuto al Concilio, cui segue l’esito dell’indagine sulla documentazione ed, eventualmente, l’indicazione dell’ubicazione del fondo archivistico.

Scorrendo il repertorio, di cui più sotto offriamo qualche esempio, non mancano le sorprese. Uno studioso della Sacrosanctum Concilium non può, infatti, trattenersi dall’andare a cercare, prima di tutto, indicazioni circa Annibale Bugnini, il segretario della commissione conciliare preparatoria. Ebbene, nello studio in questione non si troverà alcuna indicazione a proposito. Come interpretare tale lacuna: una sorta di damnatio memoriae? Una dimenticanza? Lo sgomento potrebbe aumentare notando che simile sorte è riservata anche per il segretario della commissione conciliare per la liturgia, Ferdinando Antonelli: pure di lui non vi è alcuna menzione. Rimane pertanto il mistero circa le carte di Bugnini. Per i due protagonisti principali, almeno in quanto coordinatori dei periti, della redazione della Costituzione liturgica, rimane ancora non accessibile la loro personale documentazione (1).

Repertorio delle fonti indagate per la storia del concilio Vaticano II

Botte Bernard o.s.b. (direttore dell’Istituto superiore di Liturgia di Paris; consultore della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti sono essere (sic!) conservati presso l’Abbazia di Keizersberg/Mont-César a Leuven.

[…]

Braga Carlo c.m (minutante della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti conciliare sono conservati presso il Collegio Leoniano a Roma; presso ISR è conservata copia di alcuni documenti. (p. 58)

[…]

Cannizzaro Giovanni Bruno o.s.b. (membro della commissione preparatoria per la liturgia): presso la biblioteca del monastero benedettino di Quarto Castagna (Genova) sono state reperite alcune lettere relative al breve periodo in cui partecipò alla commissione; alcuni suoi documenti sono presenti presso il “Centre National de Pastoral Liturgique” di Paris. Copia di alcuni documenti è conservata presso ISR.

Capelle Bernard o.s.b. (abate di Keizersberg/Mont-César – Leuven; consultore della commissione preparatoria per la liturgia): i suoi documenti dovrebbero essere conservati presso l’abbazia di Keizersberg/Mont-César a Leuven. (p. 61)

[….]

Daniélou Jean s.j. (perito conciliare): i suoi documenti sono conservati presso l’Archivio della Provincia francese dei gesuiti a Vanves. Presso ISR è disponibile un inventario parziale del fondo documentario. (p. 70)

[…]

Diekmann Godfrey o.s.b (consultore della commissione preparatoria per la liturgia, poi perito conciliare): le sue carte sono conservate presso la “Saint John’s University of Collegeville” (Minnesota – USA). (p. 75-76)

[…]

Jenny Henry (ausiliare, poi coadiutore con diritto di successione di Cambrai – Francia; membro della commissione preparatoria per la liturgia): le carte sono conservate presso l’archivio diocesano di Cambrai e in fotocopia presso il “Centre de Pastoral Liturgique” a Paris; un inventario parziale del fondo e copia di alcuni documenti sono presenti presso ISR

Jounel Pierre (consultore per la commissione preparatoria per la liturgia): le sue carte sono conservate presso il “Centre de Pastoral Liturgique” di Paris. Presso ISR si trova copia di alcuni documenti. (p. 97)

[…]

Martimort Aimé Georges (consultore della commissione preparatoria per la liturgia e poi perito conciliare): ha conservato presso di sé la documentazione personale. (p. 108)

Il Concilio inedito. Fonti del Vaticano II (Testi e ricerche di scienze Religiose, Fonti e strumenti di ricerca 1), M. Faggioli – G. Turbanti (edd.), Bologna 2001

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(1) Sono certamente fondamentali due studi: il primo, del Bugnini stesso, La riforma liturgica (1948-1975), Roma 1997², e il secondo, N. Giampiero, Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Roma 1998. Tuttavia crediamo che l’accesso diretto alle carte possa fornire ulteriori elementi e portare nuova luce su passaggi ancora non del tutto chiari. In questo campo non manca chi consideri l’opera del Bugnini una troppo sbilanciata apologia pro domo sua, e pure lo studio di Giampietro non pare immune da parzialità ed omissioni (cf., ad es., https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/03/24/commissio-conciliaris-de-liturgia-le-adunanze-con-un-convitato-di-pietra/).

Dalla memoria viva della Liturgia, elementi che ritornano: ancora esempi.

Pensavamo di aver detto abbastanza sul tema “destra” nella liturgia, cf. i precedenti post:

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/19/alla-destra-o-alla-sinistra-del-re-matteo-2531-46-e-alcuni-dettagli-liturgici/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/21/rigore-o-misericordia-due-grandi-pastori-suggeriscono/ ; – https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/11/26/per-meta-o-per-un-terzo-il-dies-irae-e-la-gratuita-della-salvezza/ ;

Eppure, la traduzione italiana dell’inno per l’Ufficio delle Letture del tempo di Avvento fino al 16 dicembre ci fa ravvedere.
Ecco di nuovo che spunta un altro riferimento: “Quando verrai come giudice, fra gli splendori del cielo, accoglici alla tua destra nell’assemblea dei beati”. La strofa originale latina recita invece: “Iudexque cum post aderis rimari facta pectoris, reddens vicem proo abditis iustisque regnum pro bonis” (1) ed una traduzione più fedele potrebbe essere questa: “Quando verrai come giudice per investigare sull’operato dell’uomo, renderai il contraccambio per le azioni nascoste e ai giusti il regno per le azioni buone”.

E’ davvero curioso notare che dove nell’originale vi era il riferimento alla “destra” matteana, esso non è stato poi reso nell’italiano, mentre dove era assente nel testo latino, il traduttore italiano ha ritenuto utile riproporre quel riferimento (cf. gli articoli citati sopra).
Pare come se la Liturgia avesse una memoria viva, capace di far riaffiorare, in modalità nuove e inaspettate, dati ed elementi che appartengono alla grande tradizione, nonostante istanze di riforma od esigenze di traduzione e di stile talvolta ne abbiano suggerito l’omissione o la rivisitazione.

Ciò è vero anche nel caso della sequenza Dies Irae, dalla quale eravamo partiti per questa serie di post sulla “destra”.

In effetti, il gruppo di periti che predispose la riforma del rito delle esequie, considerò che alcuni testi, sebbene venerabili per uso e tradizione, non avrebbero aiutato ad imprimere ai riti funebri, ora più connessi con la messa esequiale, un maggiore senso pasquale. Più che la voce del defunto di fronte al giudizio di Dio, nel nuovo rituale si è preferito far risuonare la voce della Chiesa che raccomanda il defunto alle mani di Dio, della comunità dei santi e degli angeli: è evidente questo cambio di orientamento del momento liturgico, dall’absolutio alla valedictio.
Il Segretario del Consilium, nelle sue memorie, offre una valutazione del lavoro di riforma dei funerali, enfatizzando il carattere della liturgia funebre inteso come celebrazione del mistero pasquale di Cristo nei suoi fedeli: “Ciò è stato una delle principali preoccupazioni della revisione attuata, traendo dal tesoro della tradizione eucologica i testi che meglio esprimono questa dimensione ed eliminando quelli che risentivano di una certa spiritualità negativa di sapore medioevale. Per questo sono stati tolti dei brani, conosciuti e anche amati, come il Libera me Domine, il Dies Irae e altre preghiere troppo insistenti sul giudizio, il timore, la disperazione, preferendo quelli che invitano alla speranza cristiana ed esprimono in modo più efficace la fede nella risurrezione” (2).
La considerazione negativa del Dies Irae che sembra trasparire da queste righe è però poi contraddetta dal fatto che la sequenza, con l’accorgimento della divisione in tre sezioni, sia stata riproposta come Inno per la liturgia delle Ore, in un particolare momento dell’anno liturgico che sottolinea il secondo avvento, glorioso e definitivo, del Signore Gesù e il conseguente giudizio finale. In tale contesto, il Dies Irae pare assai adatto e utile.
Sembra da rivedere, quindi, il parere che vi sia stato un giudizio sul contenuto stesso della sequenza: la riforma liturgica, piuttosto, ne ha riconsiderato l’uso, inserendola in un altro contesto.

E’ pur vero che se nella celebrazione delle esequie non si è attenti a conservare il senso pasquale, nella sua globale interezza – quindi anche come Mistero con il quale ogni vita umana, e in particolare quella del defunto, dovrà essere confrontata e giudicata – si rischia di scadere in un generico rito di commemorazione delle qualità e delle virtù del caro estinto.
Ecco perché “apologie” del Dies Irae non sono affatto fuori luogo o semplici nostalgie, proprio nel momento in cui la predicazione del Papa sulla misericordia rischia di essere banalmente travisata o volutamente ridotta ad indifferenziato e semplice buonismo. Anche nelle esequie, quindi, non dovrebbe mancare un accenno al giudizio di Dio

«La predicacion y la catequesis son pocos proclives a insistir sobre este tema, por temor a dar una impresión de “miedo de Dios” en la vita cristiana. Sin duda, “el Padre es misericordioso”, pero hay que estar atento para non formar paulatinamente una imagen de Dios mas light que misericordiosa, un Dios que simplemente da “el pase” al hombre, sin decir nada sobre su vida, porque difícilmente se concibe que exista “la ira/reprobación” de Dios. […] Las exequias non resuenan más el misterio pascual, sino que pierden su dimensión de plegaria por el difunto, para convertirse en un simple “adiós”, que es más un adiós intracomunitario, “personalizado a la carta”, que el echo eclesial de poner el difunto en manos de la misericordia de Dios. […] Esto no es una llamada a la prática medieval, pero sí quiere ser un interrogante sobre nuestra predicación, y sobre la oportunidad de reconsiderar el lenguaje y las referencias de la liturgia exequial, para que en ella aparezcan con suficiente presencia todos los elementos del misterio pascual en relación con la muerte del cristiano» (3).

Se è da considerare il rischio che le esequie cristiane talvolta possano non esprimere l’integrità della fede, si deve pure riconoscere che ciò non debba essere del tutto imputato alla nuova liturgia dei funerali, ai suoi riti e ai suoi testi: nello slittamento stigmatizzato da p. Tena paiono molto più determinanti pratiche extra-liturgiche. Ci riferiamo, ad esempio, all’uso di lasciare la parola ad amici o parenti, per testimonianze o discorsi di addio nei quali, di certo, scompare ogni riferimento al giudizio di Dio, perché il sentimentalismo o una sorta di morale orizzontale, civica e buonista hanno già del tutto giustificato il defunto. Purtroppo diventa difficile correggere questi abusi quando casi particolari ed eccezionali, sia per la persona in questione sia per la presidenza liturgica di quel funerale, vengono poi resi manifesti al grande pubblico dall’enfasi dei mezzi di comunicazione.

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(1) Cf. Inno Verbum supernum prodiens.

(2) A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» «Subsidia» 30), Roma 1997, 747.

(3) P. Tena, «Apología del “Dies Irae”», Phase 53 (2013) 678-679.

Paolo VI e la riforma liturgica. Dalla beatificazione una nuova luce

Con una provvidenziale tempistica, sull’ultimo numero della rivista Ecclesia Orans, è apparso un articolo assai significativo su Paolo VI e la riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II: I. Scicolone, «Paolo VI, “interprete” della riforma liturgica», Ecclesia Orans 30 (2013) 335-362. Padre Scicolone, noto liturgista, è autore, su richiesta del postulatore della causa di beatificazione, di una particolare positio durante l’iter della causa. Il valore dell’articolo è dunque rilevante e, a pochi giorni dalla beatificazione, la lettura di questo testo può essere un modo interessante per riconsiderare l’importanza di Papa Montini.
Riproduciamo il decimo paragrafo dell’articolo di Scicolone, in cui si tratta della soppressione dell’Ottava di Pentecoste (pp. 356-358).

L’ottava di Pentecoste

Una parola a parte merita la questione della soppressione dell’ottava di Pentecoste. Dopo l’approvazione del nuovo calendario, con la Costituzione apostolica Mysterii paschalis del 14 febbraio 1969 (1), e nonostante la spiegazione delle motivazioni di tale soppressione, data nel Commentarius: “Octava Pentecostes, ut dictum est, supprimitur; attamen feriae currentes inter sollemnitatem Ascensionis et sollemnitatem Pentecostes peculiare momentum acquirunt formulariis enim propriis ditantur quibus in mentem revocantur promissiones Christi relate ad effusionem Spiritus Sancti “(2) il papa personalmente, nei giorni seguenti la Pentecoste del 1970, avvertiva il disagio di trovarsi, ex abrupto, nel tempo ordinario, e ne scriveva, con biglietto autografo, al P. Bugnini, chiedendogli di fare qualcosa per “ripensarvi, e trovare il modo di ristabilire un culto liturgico che contiene in se’ la profonda radice di tutte le altre sue manifestazioni nella Chiesa di Dio, animata dallo Spirito Santo» (3)

Proprio il 1970 fu l’anno in cui entrò in vigore il nuovo calendario universale, ma non era ancora stato pubblicato il nuovo messale. Per cui, i formulari dell’antica ottava erano tolti, ma non erano in uso i formulari nuovi per le ferie che vanno dall’Ascensione alla Pentecoste. Da qui il disagio avvertito da tanti e dallo stesso pontefice. Alla lettera del papa rispose il P. Bugnini, allegando un “Promemoria sulla soppressione dell’ottava di Pentecoste”, di 11 pagine, in cui puntigliosamente espone le ragioni storiche e teologiche, favorevoli non alla soppressione della ottava, ma al ripristino della “Cinquantina” pasquale, che ovviamente si chiude il cinquantesimo giorno.

Qui, oltre le testimonianze di storici della liturgia, quali Schuster, Chavasse, Righetti e Cabié, ricordate dal Bugnini, che affermano giustamente che, all’origine e fino a Leone Magno, la Pentecoste chiudeva la cinquantina e non aveva un’ottava, basti ricordare i testi dei più antichi sacramentari.

Il SacramentarioVeronese (o Leoniano) non presenta l’ottava. Nella settimana successiva alla Pentecoste si celebrava il digiuno del quarto mese (ossia le Quattuor tempora). Ora era impensabile un digiuno nel tempo pasquale. Anzi il prefazio n. 229 dice espressamente:
post illos enim laetitiae dies, quos in honorem a mortuis resurgentis et in coelos ascendentis exegimus, postque perceptum sancti spiritus donum necessariae nobis haec ieiunia sancta provisa sunt, ut pura conversazione viventi bus quae divinitus ecclesiae sunt collata permaneant (4).

L’ottava fu aggiunta in seguito, a somiglianza della Pasqua, dato che nella veglia di Pentecoste si celebravano i battesimi, per coloro che non avevano potuto celebrarlo a Pasqua. In seguito essa rimase, facendo considerare la Pentecoste come la celebrazione dell’evento della discesa dello Spirito Santo, staccato però dalla Pasqua.

Il Bugnini ricorda ancora che già la Commissione piana, nel 1950 aveva proposto l’abolizione dell’ottava di Pentecoste. Nel Consilium la questione è stata ampiamente discussa e votata a grande maggioranza, senza problemi. La Congregazione della dottrina della fede, pur facendo alla riforma del calendario molte osservazioni, non ha trovato nulla da dire contro la soppressione dell’ottava di Pentecoste, anzi l’ha incoraggiata:

«Questa sacra Congregazione non vede motivi di principio contro l’abolizione di tale Ottava, perché in tal modo risulterebbe più efficace il simbolismo antichissimo del 50° giorno. Inoltre l’Ottava nella sua attuale struttura, benché di antica istituzione (attorno al sec. VI per Roma), è meno organica per la sovrapposizione delle Tempora d’estate. Pastoralmente poi è certo più sentita la Novena di Pentecoste che non l’Ottava come continuata celebrazione della Pentecoste. I testi chiaramente allusivi al battesimo, poi, oggi sono più anacronistici, mentre potrebbero trovare la loro sede nel tempo che precede la Pentecoste. Questa sacra Congregazione, tuttavia condiziona l’abolizione dell’Ottava di Pentecoste al fatto che siano conservate le Messe dell’Ottava, anticipandole nella Novena di preparazione (che una volta era l’ottava dell’Ascensione)» (5).

Oggi, a distanza di 40 anni, con il nuovo messale già alla terza edizione, non credo che tale soppressione faccia problema. Nelle nazioni dove sono giorni festivi il lunedì e il martedì dopo Pentecoste, è stato provveduto, come allora si era previsto nello stesso Consilium. Il caso dell’abolizione dell’ottava di Pentecoste dimostra che Paolo VI non ha subito le pressioni del Consilium o del P. Bugnini, ma — da persona intelligente e saggia qual era — ha compreso le ragioni teologico—storiche e le ha accolte. Basti pensare al fatto che ha più senso invocare lo Spirito Santo (Veni, Creator Spiritus…) al Vespro dei giorni che precedono, anziché nei giorni che seguono la venuta dello Spirito Santo.

Segnaliamo il giudizio assai duro espresso da L. Bouyer nelle sue memorie, sulle quali già abbiamo detto qualcosa: «Je préfère ne rien dire ou si peu que rien du nouveau calendrier, oeuvre d’un trio de maniaques, supprimant sans aucun motif sérieux la Septuagésime e l’octave de Pentecote, et balançant les trois quarts des saints n’importe où, en fonction d’idées à eux» (6).

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(1) PAOLO VI, «Litterae apostolicae motu proprio datae Mysterii paschalis (14 februarii 1969)», AAS 61(1969) 222-226.
(2) Calendarium romanum ex decreto sacrosancti oecumenici concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pp. Pauli VI promulgatum, Città del Vaticano 1969, 57.
(3) Mi piace riportarne il testo integrale: «(confidenziale) Al caro e veneratissimo Padre Annibale Bugnini, Segretario della Sacra Congregazione per il Culto Divino, non sappiamo nascondere, durante questa settimana, che succede alla Pentecoste, il nostro senso di afflizione spirituale, per la mortificazione inflitta dalla riforma liturgica al culto dello Spirito Santo, quando la festa, dedicata al fatto strepitoso e al mistero della missione del medesimo Spirito Divino nella Chiesa nascente e tuttora vivente per sua soprannaturale virtù, sembra per intrinseca ragione richiedere d’esser protratta nella meditazione e nella celebrazione, come appunto era splendidamente (e non mai abbastanza), prima della presente abolizione dell’Ottava. Non definisce S. Giovanni Crisostomo la Pentecoste “metropolim festorum”? (PG 50, 463, hom. II). Non ha il recente Concilio dato grande e nuovo risalto alla teologia dello Spirito Santo? Perché il rinnovamento liturgico dovrebbe talmente impoverire il culto dovuto al Paraclito? Noi sappiamo che molti ottimi Ecclesiastici e Fedeli sono meravigliati e addolorati per simile costrizione. Non sarà forse opportuno ripensarci, e trovare il modo di ristabilire un culto liturgico, che contiene in se la profonda radice di tutte le altre sue manifestazioni nella Chiesa di Dio, animata dallo Spirito Santo? Ecco una delle questioni successive alla riforma liturgica, degna di memoria. Alla sua intanto la affidiamo, e invocando per Lei e per i suoi Collaboratori il lume dello Spirito, di cuore La benediciamo. Paulus Pp. VI. 21 maggio 1970», (copia della lettera è in possesso della postulazione della causa di beatificazione).
(4) Sacramentarium Veronense (Cod. Bibl. Capit. Veron. LXXXV[80]), ed. L. Einzenhofer – P. Siffrin – L.C. Mohlberg (Rerum ecclesiasticarum documenta, Series maior – Fontes I), Roma 1994, 29.
(5) Prot. D.F. 2134/ 67 del 27 maggio 1968. (Copia della lettera è in possesso della postulazione della causa di beatificazione).
(6) L. Bouyer, Mémoires, Paris 2014, 199-200.

Memorie su memorie, per superare pregiudizi.

 SAMSUNG

In attesa di un esame più approfondito, necessario e interessante per le questioni coinvolte, ci permettiamo di evidenziare una piccola svista nelle memorie autobiografiche di L. Bouyer. Effettivamente, come ci suggerisce nella quarta di copertina il card. Lustiger, si tratta di un personaggio davvero anticonformista: i giudizi e le valutazioni che il Bouyer lascia nel suo scritto sono inconsueti. Forse nella foga del suo scrivere si è lasciato un poco prendere la mano: su Bugnini abbiamo sentito e letto di tutto, ma che fosse “napoletano”, non lo si era mai insinuato. Forse, almeno su questo, conviene dare credito al Bugnini; sentiamolo:

«Sono nato a Civitella del Lago, Provincia di Terni e allora di Perugia, unica provincia dell’Umbria, diocesi di Todi. Venni al mondo il venerdì 14 giugno 1912, alle 10 del mattino. Alla ‘festa’, come nei nostri paesi si soleva chiamare la domenica, fui battezzato in parrocchia con i nomi di Annibale, Nazareno, Erminio, dal parroco don Perseo Morelli. Fecero da Padrini Pietro Giontella di Montecchio e Clelia Bacci. Ero quinto di sette figli. Tre ci consacrammo al Signore: Fidenzio, converso dei Servi di Maria (Fra Filippo); Celestina tra le Figlie della Carità (Sr. Agnese) e chi scrive tra i Missionari Vincenziani. Gli altri, tranne una, si accasarono onestamente. […] Mio padre, Giobbe, era d’animo semplice e pio. Era attaccato alla terra e al lavoro. Dalle prime ore del mattino alla sera passava la vita nei campi con la zappa o all’aratro. La domenica, vestito a festa, saliva invariabilmente al paese per la Messa. ‘Saliva’ perché eravamo mezzadri i poderi della famiglia Gradoli che sono nella zona sottostante al paese nel versante di Orvieto. […] Mia madre, Maria Agnese Ranieri, era una buona donna del popolo…» (1).

Come si vede, non si evincono influssi napoletani: forse Bouyer si riferiva ad ascendenti? O forse, semplicemente, quell’annotazione ‘napolitain’, non è intesa in senso geografico stretto, ma significa qualcosa di più? Oppure è un semplice errore?

«Je ne voudrais pas être trop dur pour les travaux de cette commission. Il s’y trouvait un certain nombre de savants authentiques et plus d’un pasteur averti et judicieux. Dans d’autre conditions, ils auraient pu accomplir un excellent travail. Malheuresement, d’une part, une fatale erreur de jugement plaça la direction théorique de ce comité entre les mains d’un homme généreux et courageux, mais peu instruit, le cardinal Lercaro. Il fut complètement incapable de résister aux manœuvres du scélérat doucereux qui ne tarda pas à se révéler en la personne du lazariste napolitain, aussi dépourvu de culture que de simple honnêteté, qu’était Bugnini» (2)

Per ora, ci si ferma qua. Le altre questioni non possiamo risolverle in pochi giorni e in poche righe (3).

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(1) «Liturgiae cultor et amator, servì la Chiesa». Memorie autobiografiche, G. Pasqualetti (ed.), Roma 2012, 25-26.
(2) L. Bouyer, Mémoires, Paris 2014, 197-198.

(3) Cf. https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/09/21/l-bouyer-memorie-tutte-da-leggere-e-da-gustare-ma-con-attenzione/SAMSUNG