Ultimo festivitatis dies. Interferenze sull’ultimo giorno della cinquantina pasquale

Con questo breve post, vogliamo continuare a mostrare esempi, seppur minimi, di quanto la liturgia goda di una sorprendente libertà nell’usare la Sacra Scrittura. Già molte altre volte siamo rimasti quasi spiazzati dai criteri e dalle modalità che la tradizione liturgica ha messo in atto, nel selezionare brani e citazioni bibliche ricollocandoli in contesti anche apparentemente lontanissimi.

Sebbene siamo abituati a tenere ben fermo il principio ermeneutico espresso nella Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione al paragrafo 12, questa volta – lo confessiamo – ci stupiamo non poco, e ci arrendiamo sorpresi di fronte a tanta licenza. Ci viene in mente piuttosto, visto che – lo vedremo immediatamente – si tratta di un formulario della solennità di Pentecoste, un’altra citazione: «Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2Cor 3,17).

Dunque, dicevamo, se guardiamo i testi liturgici per la Solennità di Pentecoste, notiamo che nella Messa della Vigilia, il Messale riporta, come antifona per la comunione, il tradizionale testo tratto da Gv 7,37: «Ultimo festivitatis dies, stabat Iesus et clamabat dicens: Si qui sitit, veniat ad me et bibat, alleluia [L’ultimo giorno della festa, Gesù si levò in piedi ed esclamò a gran voce: “Chi ha sete, venga a me e beva”. Alleluia]».

In effetti, il testo pare del tutto appropriato. Si ricorderanno facilmente le prime parole del brano degli Atti degli Apostoli che ci rivela l’evento della Pentecoste storica: dum complerentur dies Pentecostes [mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste (2)]. Abbiamo evidenziato il plurale della forma verbale, perché tramite esso si intenderebbe meglio il senso di compimento e di chiusura delle sette settimane iniziate dalla Pasqua. Il prefazio, inoltre, parla di compimento del mistero pasquale [sacramento paschale consummans]. Quell’ultimo festivitatis dies risulta centrato.

Nell’odierno lezionario Gv 7,37-39 è anche il brano evangelico proclamato nella liturgia della Parola, per cui l’antifona alla comunione ora ne riecheggia il testo. Tuttavia, il versetto di Giovanni usato come antifona non è stato scelto perché nella messa ne veniva proclamato il brano: nel messale precedente l’antifona era già presente, e il brano evangelico era invece Gv 14,15-21.

Sembrerebbe che la liturgia, per la vigilia della Pentecoste, abbia voluto mettere in evidenza quella notazione temporale: si tratta dell’ultimo giorno della festa, siamo alla fine della cinquantina pasquale.

Peccato, però, che in Gv 7, l’«ultimo giorno della festa» sia l’ultimo giorno della festa delle Capanne, e non della festa di Pentecoste!!

La liturgia, considerato che Gesù in quel giorno pronunciò quella frase così importante sul dono dello Spirito Santo, ha cooptato quel versetto, cambiandone il contesto originale. C’è da dire che il testo della Vulgata recita diversamente: «in novissimo autem die magno festivitatis….». Non possiamo verificare ora se esista una lezione latina del passo giovanneo che riporti invece «ultimo festivitatis dies», o se sia proprio la liturgia ad aver adattato il testo biblico. Nel qual caso, la licenza liturgica sarebbe addirittura maggiore: stravolto il testo e stravolto il contesto temporale!!

Ma, contrariamente ai moderni stravolgimenti, non stona assolutamente, anzi!!

Altro è improvvisarsi novatori e creatori artificiali di presunte migliorie, altro è aver respirato, per secoli, «lo stesso Spirito».


(1) «Però, dovendo la Sacra Scrittura essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con cui fu scritta, per scoprire con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenendo debito conto della viva tradizione di tutta la chiesa e dell’analogia della fede (Dei Verbum, 12)».

(2) Si dovrebbe dire qualcosa sulla traduzione italiana: così espresso, il dato temporale potrebbe indurre un ascoltatore semplice ad intendere che l’effusione dello Spirito accada verso la sera del giorno della Pentecoste; sappiamo invece, dal discorso di Pietro, che siamo intorno alle nove del mattino!

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