Nonostante tanti strumenti oggi a disposizione e l’ausilio dei supporti informatici, una della migliori forme di entrare nella liturgia e nella sua conoscenza profonda è senza dubbio quella di praticarla e viverla. Certamente, occorrerà aver sviluppato una sensibilità particolare ed un’attenzione vigile, ma un semplice cultore della preghiera e delle celebrazioni della Chiesa potrà assaporare sfumature e accorgersi di dati che talvolta sfuggiono ad esperti e competenti: specializzarsi e concentrarsi in un settore, può far perdere la visione dell’insieme dell’organismo che è la liturgia.
Vero è che per ciò che stiamo per dire è importante avere una certa familiarità con i testi originali e tipici, quindi in latino, nei quali – fino ad oggi – si è depositata la tradizione e la ricchezza delle riletture e delle interpretazioni biblico-patristiche e l’elaborazione teologica. Le assonanze fra il latino e l’italiano certamente possono aiutare molto di più rispetto ad altre lingue nazionali, ma questa potrebbe essere la controprova del fatto che un traduttore della Scrittura non debba essere solamente un fine biblista ma sarebbe quanto mai opportuno fosse anche profondo conoscitore della Liturgia. E questo non lo diciamo solamente perché uno dei nostri più grandi maestri è dottore in Liturgia e pure dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico!
Quello che intendiamo dire lo si capirà meglio a partire dall’esempio concreto che ha suscitato queste brevissime riflessioni.
Dall’inizio dell’Avvento fino al 17 dicembre, la Liturgia delle Ore propone, ai Vespri l’Inno Conditor alme siderum (1). Fortunatamente il Salterio italiano, nell’Innario del libro della Liturgia delle Ore ha mantenuto anche il testo latino, per cui anche quanti non sono esperti latinisti potrebbero dare uno sguardo all’originale, di certo non tutto scritto nel latino di un Cicerone. La seconda strofa recita: «Qui condolens interitu / mortis perire saeculum, / salvasti mundum languidum, / donans reis remedium». L’ultima parte è facilmente comprensibile: salvasti il mondo malato, donando ai rei il rimedio. Altro è la comprensione formale delle parole, altro è la comprensione del significato pieno e simbolico che soggiace ad esse. Mondus languidus, a cosa esattamente è riferito? All’interpretazione patristica delle età del mondo (2)?
Ebbene, ieri, lunedì della II settimana di Avvento, l’Ufficio delle Letture proponeva, come lettura biblica, un brano di Isaia, tratto dal capitolo 24 (24,1-18). Il titoletto che precede la pericope recita: «Il Signore si manifesterà nel suo giorno e la città del caos sarà distrutta» (nel testo latino della Liturgia delle Ore: Manifestatio Domini in die suo). La Bibbia di Gerusalemme, invece, appone al capitolo 24 e ad altri successivi il titolo di sezione «Apocalisse». Vediamo da vicino il versetto 24,4: «E’ in lutto, languisce la terra; è squallido, languisce il mondo, sono desolati il cielo e gli abitanti del mondo» (Luget, languet terra, marcescit, languet orbis…).
Ecco che i due testi, l’uno biblico e l’altro liturgico, la lettura biblica e l’inno dei vespri, si illuminano a vicenda, in un’integrazione mirabile e feconda. Non abbiamo la certezza che l’inno, di origine medioevale, derivi direttamente la sua espressione mondus languidus dal testo isaiano: per noi tuttavia è sicuramente un riferimento utile e prezioso.
La versione italiana dell’inno, in una riformulazione globale del testo, sembra ridire i nostri versetti in questo mondo: «Per redimere il mondo, travolto dal peccato…». In effetti qualche eco rimane ancora, con il testo biblico citato, che nel versetto successivo, il 25, dice: «La terra è stata profanata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, hanno disobbedito al decreto, hanno infranto l’alleanza eterna».
Sarebbe interessante verificare se e come in altre lingue volgari si è riusciti a mantenere questo legame. Non possiamo fare noi ora questa ricerca. Se eventualmente fra i nostri lettori, che stanno diventando sempre più numerosi e da ogni parte del mondo, ci sarà chi vorrà farlo, saremmo ben felici di pubblicarne i contenuti.
(1) Avevamo già scritto qualcosa a proposito dell’inno qui.
(2) Cf., sempre a proposito del nostro inno, qui.
Il rito ambrosiano ha una traduzione diversa, sicuramente meno letterale e più poetica, ma che forse riesce a garantire quel legame a cui fate accenno:
L’acerba sorte dell’uomo
ha toccato il tuo cuore:
sul mondo sfinito rinasce
il fiore della speranza.
“Mondo sfinito” mi pare una accettabile traduzione di “mundum languidum”.
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