Studiare e scrivere di questi tempi non è mai facile: il caldo opprime e le biblioteche hanno già orari ridotti. Tuttavia, con questo post, possiamo rinfrancarci un poco; intendiamo, infatti, tornare sulla prima lettura di domenica 3 luglio, la XIV del tempo Ordinario, secondo il ciclo C del Lezionario: Isaia 66,10-14c. L’immagine ricorrente, si ricorderà, è quella di bambini allattati al seno, saziati e coccolati. La profezia parla poi di un fiume prospero e pieno di acqua, che ridà vigore e freschezza.
Ci dobbiamo fidare della nuova traduzione, presumibilmente più precisa e fedele al testo originale, ma con tutta sincerità alcuni dettagli non ci paiono fra i più riusciti. Vediamo un attimo, per poi passare ad altro, più interessante.
Versione CEI 2008: Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria (?)… Le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba..
Versione CEI 1971: Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete, deliziandovi, all’abbondanza del suo seno…. Le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca…
Ci sarebbe da dire che di questi tempi «erba fresca» è un immagine più nitida, rispetto alla più generica «erba» della nuova traduzione, che, ed è più rilevante, teme di qualificare il seno della personificazione femminile di Gerusalemme: la precedente affermava sicura la prosperosità delle mammelle. In effetti, per gli antichi latini, al termine uber, uberis (mammella) era associata l’idea di grande abbondanza, di fertilità e fecondità (ubertas); non era concepito, evidentemente, un seno sterile e non ricco di prezioso latte.
«Deliziarsi al petto della sua gloria»: questa traduzione sarà forse tecnicamente più esatta, ma come liturgisti ci piace sottolineare la fortuna di un’altra espressione, che ci permette di mostrare come per gli antichi gli intrecci fra citazioni e riferimenti alla Scrittura si sovrapponevano con libertà e maestria tale, che per noi risulta difficile tracciarne con precisione la storia.
Facciamo riferimento ad un segmento rituale della riconciliazione dei penitenti secondo il cosiddetto Pontificale di Poitiers, cui avevamo già accennato qui. Quando si devono far rientrare in chiesa i peccatori da riconciliare, il diacono pronuncia alcune frasi, che di fatto sono centonizzazioni e adattamenti della Bibbia, fra i quali il curatore dell’edizione critica del Pontificale riconosce un riferimento ad Isaia: «Et post haec clamat dyaconus: Redite reconciliandi ad sinum matris vestris eternae sapientiae, sugite larga ubera pietatis Dei [cf. Is 66,11]. Entrate portas eius in confessione, atria eius in hymnis confessionum [cf. Sal 99,4]…. (Dopo ciò il diacono esclama: Ritornate, voi che dovete essere riconciliati, nel seno dell’eterna sapienza della vostra madre, succhiate agli abbondanti seni della misericordia di Dio. Varcate le sue porte confessando)…». Il seno era dunque abbondante, grande (larga ubera).
Da veloci confronti testuali, pare di poter affermare con buona probabilità che di questa espressione se ne possa indicare la paternità; si tratta, per giunta, di un padre «grande» anch’esso: San Gregorio magno! In una delle sue 40 omelie sui vangeli (1) si può infatti leggere:
Contaminati dal peccato dopo le acque battesimali della salvezza, cerchiamo, ciononostante, di rinascere mediante le lacrime e, seguiamo la parola del Pastore che dice: Come bambini appena nati bramate il latte puro, tornate come tenere creature al seno della vostra madre, che è l’eterna Sapienza; attingete alle fonti abbondanti della compassione di Dio (sugite larga ubera pietatis); piangete le colpe commesse; evitate quelle che potreste compiere ora. Il nostro Redentore consolerà con la gioia eterna le nostre lacrime momentanee.. (Omelia XXV,10).
L’estensore del Pontificale di Poitiers recupera quest’espressione e ne fa un’immagine eloquente per invitare i peccatori a godere della riconciliazione sacramentale, il giovedì santo. Ricordiamo che siamo nel contesto della penitenza solenne, con pubblica esclusione dei peccatori gravemente colpevoli. Eppure, con questo rigore, che noi oggi considereremmo esagerato e scandaloso, coesiste la consapevolezza della grande e consolante abbondanza della misericordia di Dio, espressa con immagini forti ed esplicite. Molto prima dell’odierno giubileo.
(1) Gregorio Magno, Le Quaranta Omelie sui Vangeli, II, Roma 1994, 325-327.