Ci si perdonerà se torniamo, ormai fuori tempo, sulla festa dei santi Pietro e Paolo. D’altronde, pure in secoli passati, non bastava un giorno per adempiere una così grande ricchezza di ritualità: la messa solenne nella basilica di S. Paolo veniva celebrata la mattina del 30, al termine della veglia che ripeteva quella analoga vissuta dal Papa, dalla corte papale e dalla folla dei fedeli la notte precedente, a San Pietro. Interessante la libertà e il prevalere di un criterio di pratica comodità, per cui si alleggerì il ricchissimo programma liturgico del giorno 29. In effetti, questo dies bifestus (!) prevedeva una liturgia distribuita in tre stazioni, tre luoghi legati strettamente alle memorie e alle reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo. Ovviamente, le grandi basiliche di San Pietro e di San Paolo sulla via Ostiense, e – dato assai tradizionale ma di assai più problematica giustificazione, per i nostri occhi moderni – la Basilica Apostolorum (1), sulla via Appia, più tardi intitolata a san Sebastiano, e così a noi nota. Al pellegrinaggio a questi tre luoghi si riferisce con tutta probabilità la VII strofa dell’Inno Apostolorum passio, di cui abbiamo detto qualcosa nel post precedente.
Tantae per urbis ambitum / stipata tendunt agmina: / trinis celebratur viis / festum sacrorum martyrum (Folle stipate procedevano facendo il giro di sì rinomata città; in tre vie si celebra la festa dei santi martiri)
Testimonianze liturgiche, storiche, archeologiche e letterarie si intrecciano a formare un quadro che solo a grandi linee si può ricostruire. Se cercassimo una precisione sicura e certa di un rituale attestato e costante, rimarremmo inevitabilmente frustrati. Le fonti testimoniano una ricchezza lussureggiante di uffici e orazioni, di riti stazionali e di devozioni popolari: assai arduo incasellarli in uno schema rigido, valido per diverso tempo. Chi affermasse di poter descrivere, per questa festa, l’uso romano antico, dovrebbe di certo specificare di quale secolo stia parlando, e di quale fonte si serva per giustificare quanto afferma, tanto fluidi appaiono i dati.
Vale la pena soffermarsi un momento in più sulla memoria degli Apostoli sulla via Appia, per riportare in un sunto veloce e semplificato, quanto è stato raccolto in un saggio, ancora oggi molto interessante, seppur datato:
In effetti, il culto liturgico legato a Pietro e Paolo è per gli archeologi e gli storici un vera e propria crux da interpretare: la basilica precedente a quella dedicata poi a san Sebastiano ha custodito veramente o no le spoglie degli Apostoli? Le varie ipotesi possono essere schematizzate in 4 teorie: a) Pietro venne inizialmente sepolto nelle catacombe dell’Appia, e successivamente le spoglie vennero traslate presso il luogo del suo martirio; b) (probabilmente la più accreditata e plausibile, pur con qualche lato oscuro da chiarire) Pietro venne sepolto al Vaticano, ma nel 258 le sue reliquie vennero trasferite nelle catacombe, per poi di nuovo essere traslate dove poi Costantino costruì la basilica. La ragione della traslazione sarebbe la persecuzione di Valeriano, negli anni 257-8, durante la quale i cristiani non poterono più recarsi nei cimiteri. Il culto Ad catacumbas si attesta in effetti nella seconda metà del terzo secolo. Terminata la persecuzione, Gallieno restituì i cimiteri sequestrati, e le reliquie di Pietro tornarono nella necropoli vaticana. Il culto sull’Appia tuttavia continuò, nonostante che le reliquie non vi fossero più; c) le spoglie degli Apostoli non sarebbero mai state nelle catacombe, tuttavia a causa della persecuzione suddetta, i cristiani – impossibilitati a recarsi al Vaticano e sull’Ostiense per venerare le tombe – trovarono un luogo dove comunque riunirsi per celebrare il culto dei due martiri Pietro e Paolo; d) presso le catacombe non vi fu mai la tomba degli Apostoli, quanto piuttosto la memoria ricordava una loro permanenza in vita, in un’abitazione della zona.
Tutte le 4 ipotesi hanno il loro punto debole.
Ma non spaventi tale vicenda intricata: ci sono degli aspetti interessanti da cogliere anche in un ginepraio simile, e se forse ci fa difficoltà avere delle questioni aperte ed in sospeso, il tesoro esuberante della liturgia della Chiesa ci offre spunti e dettagli ricchissimi. Da gustare in una sinfonia che pervade i tempi e gli spazi, più che incasellare in un ipotetico modello esemplare. Finalmente, lo diciamo: preferiamo questa lussureggiante ridda di dati, che testimoniano una vitale e fecondissima creatività, ad una rigida e precisa descrizione sistematica.
(1)