…eppure anche quest’anno verrà proclamato, per due volte, il versetto enigmatico di Apocalisse 3,19. La prima volta, nella Liturgia delle Ore, come lettura biblica dell’Ufficio del giovedì della II settimana di Pasqua, mentre la seconda sarà nella messa del martedì della XXXIII settimana, il 15 novembre, vicinissimi dunque alla conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia.
Ecco il testo, secondo la tradizione italiana ufficiale: «Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti». [Nella versione del Salterio, non ancora aggiornata, si legge: «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti»].
Lasciamo la parola ad un giovane biblista (1), che propone una diversa e interessante traduzione, in una lettura di questo testo in dialogo con Gv 15,1-11. Si tratta di allargare gli orizzonti, in una lettura in continuità con l’Antico Testamento e con i Vangeli: la parola di accusa, talvolta anche dura, introduce la possibilità del riaccadere della relazione originaria, qualora essa sia stata tradita. «C’è bisogno di questa parola che, denunciando e accusando, faccia prendere coscienza del peccato perché il riconoscimento della propria colpa è l’elemento imprescindibile per il ristabilimento della giustizia all’interno dei rapporti tra uomo e Dio e tra uomo e uomo. Ma tale riconoscimento, nella Bibbia, non trova il suo momento di origine in una operazione di introspezione, di autoanalisi; è un avvenimento di rivelazione».
Con il v. 19 siamo nuovamente condotti ai principi operativi enunciati in Gv 15,1-1, perché Cristo afferma: Io tutti quelli che amo (φιλῶ) li accuso (ἐλέγχω) e li castigo/educo (παιδεύω). Bisogna riconoscere che non è consueto tradurre con “accusare” il verbo ἐλέγχω in questo contesto (ma anche altrove nella Bibbia), dove si ritiene invece più accettabile dire che il Cristo “rimprovera” o “riprende” quelli che ama. Ma il rimprovero non è forse un atto di accusa? Il fatto che a livello di traduzione non si espliciti mai tale dimensione accusatoria, chiaramente implicata in ogni atto del genere, è indicativo. […] … il problema a nostro parere si colloca a monte della stessa ricerca lessicografica che ha condotto ad assegnare un determinato significato ad un particolare lemma (ἐλέγχω) e alla sua struttura fonosimbolica. E’ il filtro rappresentato dal nostro stesso uso linguistico del verbo “accusare” che impedisce una corretta resa di tutta una serie di termini che nella Scrittura meriterebbero più precise analisi semantiche. La percezione comune infatti, attribuendo prevalentemente l’atto dell’accusa all’ambito giudiziario (forense) tende in modo inconsapevole a conferire anche alle altre applicazioni linguistiche (metaforiche) del verbo la stessa connotazione di base, facendo dell’accostamento tra il concetto di amore e quello di accusa uno sgradevole ossimoro, non convincente a livello semantico. […] Ora, nell’ermeneutica di tanti testi biblici, il fraintendimento è proprio questo: ritenere il discorso accusatorio estraneo alla dinamica dell’amore e non riconoscere invece che ogni rimprovero, secondo la procedura del rÎb biblico (e la sua utilizzazione profetica), di fatto é un’accusa, nata da un vincolo a un tempo affettivo e giuridico, finalizzata al ristabilimento di una comunione ferita, rivolta con speranza al partner con cui si è legati in nome di un’alleanza riconosciuta e difesa dal diritto. […] Parole troppo dure dunque, o fuori luogo, quello del Cristo? Niente affatto, se si pensa al potere purificatore della sua parola, che intende liberare il tralcio da ogni elemento dannoso per la sua fecondità (cf. Gv 15,13). L’amore infatti è esplicitamente dichiarato (φιλέω) e offerto come chiave per comprendere il senso profondo di tutto il discorso (di accusa e minaccia), e degli stessi interventi storici “correttivi”. […] E non ci sembra un caso allora che proprio e solo alla fine del settenario compaia strategicamente tale affermazione del Cristo. Essa obbliga infatti il lettore-credente, casomai avesse frainteso le espressioni uscite dalla bocca del Figlio di Dio o le sue azioni (o “permissioni”) sperimentate nella dimensione intrastorica, a ripercorrere tutta la serie dei messaggi rivolti alle chiese, come rivolti all’unica Chiesa amata da sempre e per sempre. “Quelli che amo…”, ecco dunque la chiave ermeneutica che permette di rileggere tutte le parole del Cristo sotto l’ottica dell’amore appassionato, che cerca e desidera sopra ogni cosa il bene dell’amato nella verità relazionale dell’alleanza. (2)
Accusa e perdono, misericordia e verità, giustizia e amore… binomi da approfondire, che nella lettura sapiente della Scrittura trovano sorprendenti intrecci e soluzioni. Su cui si dovrà tornare…
(1) Avevamo già presentato l’autore e altri due suoi colleghi, in un post dedicato al loro studio (qui); si tratta di S.M. Sessa, e delle sue intuizioni a partire dalla singolare procedura giuridica biblica che gli esegeti (forse non tutti!) conoscono con il nome di rîb.
(2) S. M. Sessa, «”E i suoi occhi come fiamma di fuoco”. Dal masal de “la vite i tralci” (Gv 15,1-11) al settenario di Ap 2-3. Il páthos del rîb come rilettura unificante», in M. Cucca – B. Rossi – S.M. Sessa, “Quelli che amo io li accuso”. Il rîb come chiave di lettura unitaria della Scrittura. Alcuni esempi, Assisi 2012, 259-262.
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