Che ci fosse qualcosa di parziale nell’interpretazione popolare e immaginativa delle parole del Signore a Pietro lo sospettavamo da un po’. Parrebbe che i più intendano una Chiesa in atteggiamento difensivo nei confronti delle forze degli inferi, le quali, nonostante tutto il loro dispiegamento di potenza e di forza, non riescono a vincere. Ma ad una lettura più attenta ci si accorge che le cose non possano essere solo così. Risulta infatti difficile concepire delle porte che si muovono in attacco: lo sfondamento deve essere a parti invertite! Sarebbe la chiesa, quindi, in attacco, ad abbattere le porte degli inferi…Non vogliamo invadere il campo degli esegeti italiani, che hanno reso, nella nuova traduzione, le antiche «porte» con più generiche «potenze», ma ci permettiamo di osservare che se così si è risolto un passo di difficile interpretazione, ci si è privati di un significato importante che, fra l’altro, è rimasto esplicitato nelle note della Bibbia di Gerusalemme (1). Potrebbe essere utile, anche se per il metodo storico-critico di esegesi scritturale ciò sarebbe un orrore, interrogare altri testi non biblici e altre discipline teologiche, a proposito delle porte degli inferi…
In un testo apocrifo attribuito a Nicodemo, si racconta di un momento in cui tali porte «non prevalsero» e, nonostante fossero state rinforzate per l’occasione, vennero infine abbattute.
Mentre Satana e l’Ade parlavano così tra loro, ci fu una voce grande come un tuono, che diceva: “Alzate le vostre porte, o prìncipi, aprite le vostre porte eterne ed entrerà il re della gloria”. L’Ade udì e disse a Satana: “Esci e resistigli, se puoi!”. Satana dunque venne fuori, e l’Ade disse ai suoi demoni: “Rafforzate bene le porte bronzee, tirate le spranghe di ferro, osservate tutte le chiusure, vigilate tutti i punti. Se egli entra qui, guai a noi!”. Udito ciò, i primi padri incominciarono a disprezzarlo, dicendo: “O tu che divori tutto e sei insaziabile, apri affinché possa entrare il re della gloria!”. Il profeta David disse: “Non sai, o cieco, che quando vivevo nel mondo profetai questa parola: “Alzate le vostre porte, o prìncipi”?”. Isaia disse: “Illuminato dallo Spirito santo io previdi e dissi: “I morti risorgeranno e coloro che sono nelle tombe saranno svegliati e si rallegreranno quanti si trovano sulla terra”; e: “Dov’è il tuo pungolo, o morte? Dov’è la tua vittoria, o Ade?”. Venne allora una voce che diceva: “Aprite le porte!”. Udita questa voce per la seconda volta, l’Ade rispose come se non lo conoscesse, dicendo: “Chi è questo re della gloria?”. Gli angeli del padrone gli risposero: “Un Signore forte e potente, un Signore potente in guerra!”. A queste parole, le porte bronzee furono subito infrante e ridotte a pezzi, le sbarre di ferro polverizzate, e tutti i morti, legati in catene, furono liberati e noi con essi. Ed entrò, come un uomo, il re della gloria e furono illuminate tutte le tenebre dell’Ade. (2)
Questa tradizione è passata nell’iconografia orientale: Cristo si rialza dagli inferi, trascinando con i sé gli antichi padri. Ai piedi di Cristo si notano generalmente due ante o battenti di porte e qua e là dei chiavistelli divelti, catenacci spezzati e cose simili, proprio ad indicare che è aperta la possibilità di uscire dalla prigionia infernale.
C’è dunque un precedente!
Ma come ogni azione della vita di Cristo, anche questa continua ad opera del suo corpo che è la Chiesa. Se è vero che nella vita di ogni uomo esiste la possibilità che gli inferi richiudano le loro porte e lo rendano prigioniero, è vero che di nuovo potranno essere abbattute e non prevarranno: altre porte dovranno essere sfondate e cedere il passo…
Perché questo post non appaia troppo legato a testi e a tradizioni antiche, lasciamo la parola ad un autore contemporaneo, leggendo il quale abbiamo trovato l’occasione di questo post.
Nell’icona della discesa agli inferi compare questa meravigliosa simbologia: le porte della morte sono inchiodate. Chi la contempla viene in tal modo messo di fronte a quest’altra immagine della crocifissione, viene messo di fronte alla morte, in ultima analisi. Le chiavi della nostra prigione sono state messe fuori uso: il vero potere delle chiavi, di cui Cristo parla altrove a proposito del “potere” della Chiesa, è forse da ricercare qui, nel mistero assoluto della resurrezione (cf. Mt 16,17-19). Se la chiesa ha ricevuto un potere, non è altro che quello di incatenare la morte e il male, di liberare l’amore e la vita. Essa non ha altro potere che quello di liberare il povero, il peccatore e lo schiavo, il disgraziato, l’angosciato o il disperato, di aprire loro le porte della vita. Si può immaginare promessa più straordinaria di questa: impedire l’insorgere in ogni uomo di tutto ciò che aliena in profondità la vita umana? Non si tratta dunque né di un potere sulle persone o sui bene, né di un potere sulle cose o sulle idee, ma unicamente, grazie alla santità di Cristo, di esercitare il potere di inchiodare la morte, di legare o di sciogliere, come mostra quest’icona della risurrezione. È questa la forza all’opera nella pasqua. La chiesa ha senso solo quando perdona, quando dà il pane. E quando riflette o fa teologia deve ricordare sempre che ha null’altro da cercare di esprimere se non ha la potenza della resurrezione. Ogni parola detta deve aprire, liberare qualcuno, far accedere all’intelligenza di Dio, nel suo mistero più profondo, che è mistero dell’esistenza, dell’essere e dell’amore. (3)
(1) «In questo passo, le “porte” dell’Ade, personificate, evocano le potenze del male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatenarono definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” e risuscitato, la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale e soprattutto eterna, per farli entrare nel regno dei cieli».
(2) Vangelo di Nicodemo, 5; per il testo completo, cf. qui.
(3) A. Gouzes, La notte luminosa. Iniziazione al mistero della Pasqua, Magnano (BI) 2015, 124.