Gli astri ambrosiani sono più eleganti?

Ci eravamo già occupati della lettera dell’inno dei Vespri della prima parte del tempo di avvento (qui). Possiamo aggiungere, per chi lo creda interessante, un altro dato: in lingua italiana, oltre alla versione ufficiale della Liturgia delle Ore, esiste una seconda versione, anch’essa approvata ufficialmente. Si tratta della traduzione ad opera dei curatori della Liturgia delle Ore ambrosiana.

Non ci addentriamo in argomentazioni di critica letteraria. Notiamo alcune note macroscopiche. Innanzitutto questa versione conserva il numero di strofe dell’originale. Anche le metafore e le immagini dell’antico inno sono mantenute (cf., ad es., l’immagine dello sposo che esce dalla stanza nuziale, oppure l’idea della «sera del mondo»). Il testo, infine, risulta assai più lirico.

Riportiamo, a commento, alcune parole assai autorevoli, appartenendo esse ad uno dei periti che prepararono la liturgia delle Ore per il rito ambrosiano: «il canto si apre con’esaltazione della clemenza di Cristo che, provando compassione (condolens) per la triste sorte del mondo, lo ha pietosamente sottratto al destino di morte, a cui il suo peccato lo aveva assegnato e gli ha elargito il rimedio del perdono. […] E qui non è difficile convenire che l’elegante versione italiana abbia alquanto ingentilito il testo latino, che, pur con qualche bel verso, non si distingue per eccessiva bellezza. […] Così, all’accendersi della memoria della prima venuta del Signore, il pensiero corre al suo secondo e definitivo avvento: l’anima diviene vigile, ma non si lascia vincere dall’angoscia, dal momento che la nostra sorte ha toccato il cuore del Figlio di Dio» (1).

Quale sia il testo più riuscito non vorremmo dirlo noi: non si tratta di portare argomenti per una diatriba fra Roma e Milano. Tuttavia fa un certo effetto pensare a due traduzioni italiane, così – per certi versi (!) – differenti, ma entrambe approvate dall’Autorità. Ci pare comunque una ricchezza.

Ma, infine, ecco il testo in questione.

Tu che la notte trapunti di stelle
e di luce celeste orni le menti,
Signore che tutti vuoi salvi,
ascolta chi ti implora!

L’acerba sorte dell’uomo
ha toccato il tuo cuore:
sul mondo sfinito rinasce
il fiore della speranza.

Al vespro volge la storia del mondo;
tu, disposando l’umana natura
nell’inviolato grembo di una vergine,
sei venuto a salvarci.

Compassionevole, tu sei Signore,
ogni cosa a te piega il ginocchio:
il cielo e la terra adoranti
confessano il tuo dominio.

E quando scenderà l’ultima sera,
santo e supremo Giudice, verrai:
oh! non lasciare in quell’ora al Maligno
chi si è affidato a te!

A te cantiamo gloria,
o Cristo, Re pietoso,
con il Padre e lo Spirito
nella distesa dei secoli. Amen.

Per un confronto sinottico fra le due versioni italiane con il testo tipico latino, cf. Tabella comparativa Conditor alme siderum

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(1) I. Biffi, Liturgia, Sacramenti, Feste, Milano 2015, 420-421.

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