Per chi leggesse con uno spirito critico il capitolo 38 del libro della Genesi, esso provocherebbe interrogativi e dubbi sull’opportunità di mantenere nel canone biblico siffatte vicende, tanto lontano dai noi sono i costumi in esso descritti, anche se in verità lo squallore dei personaggi in esso citati non ci è per nulla estraneo.
Un grande Padre riesce, invece, a trarre insegnamenti profondissimi e meditazioni spirituali persino da un simile episodio: quanto ci manca una lettura della Scrittura così ispirata e cattolica!
Dobbiamo essere però precisi nel notare che il nostro padre segue una lezione leggermente differente dal testo della Vulgata: non legge «iustior me est», ma «Iustificata est magis Thamar quam ego», e con questa variante pare più facile avviare la riflessione; che comunque richiede una genialità spirituale che pochi hanno in dono.
Allora, la parola a Sant’Ambrogio:
…concedimi [Signore] anzitutto di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei peccatori. Questa, infatti, è la virtù più alta, perché sta scritto: E non ti rallegrerai sui figli di Giuda nel giorno della loro rovina e non farai grandi discorsi nel giorno della loro tribolazione. Anzi, ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso dicendo: Tamar è più giusta di me. Può darsi che sia caduta una giovinetta, ingannata e travolta dalle occasioni, che sono incitamento ai peccati. Pecchiamo noi vecchi, la legge di questa nostra carne si ribella in noi alla legge del nostro animo e ci trascina prigionieri verso il peccato, così che facciamo ciò che non vorremmo. Quella ha una scusa nella sua età, io non ne ho nessuna: essa infatti deve imparare, noi insegnare. Dunque Tamar è più giusta di me. […] Non arrossiamo dunque di dire la nostra colpa più grave di quella di colui che riteniamo dover rimproverare, perché disse così Giuda che rimproverava Tamar e, ricordandosi della propria colpa, esclamò: Tamar è più giusta di me. In ciò si riscontra la profondità del mistero e l’insegnamento morale, e perciò non gli fu imputato a colpa, perché si accusò da sé prima di essere accusato dagli altri. Che io non mi rallegri, dunque, del peccato di qualcuno, ma piuttosto ne pianga, poiché sta scritto: Non rallegrarti oltre misura per me, o mia nemica, perché sono caduta. Io risorgerò, poiché, se sederò nelle tenebre, il Signore mi illuminerà. Sopporterò l’ira del Signore, perché ho peccato contro di lui, finché giudichi la mia causa; e farà il giudizio su di me e mi porterà alla luce e vedrò la sua giustizia. E la mia nemica vedrà e si coprirà di vergogna, essa che mi dice: Dov’è il Signore Dio tuo? I miei occhi la vedranno e sarà calpestata come fango nella strada. E non senza ragione, poiché chi gode della caduta altrui, gode della vittoria del diavolo. Perciò rattristiamoci piuttosto quando sentiamo che si è perduto un uomo, per il quale è morto Cristo, che non trascura nemmeno una stoppia nella mietitura.
Ambrogio, La Penitenza, II,73-78 (Tutte le Opere di Sant’Ambrogio, 17, Milano-Roma 1982, 267-271)
Può essere interessante rileggere, anche per la rinnovata attualità, alcune riflessioni in preparazione al Giubileo del 2000, di un moderno interprete del grande santo milanese, che da qualche tempo, crediamo, possa goderne la presenza beata nel Paradiso: ci riferiamo al compianto cardinale Biffi, al cui testo integrale rimandiamo con questo link [ http://www.chiesadibologna.it/diaconato/testi/biffi.pdf ]; ne riportiamo qui per esteso solo alcune espressioni:
E a questo proposito c’è una pagina straordinaria di S. Ambrogio – voi credevate che non citassi S. Ambrogio – è una pagina tutto sommato poco nota – come la pagina immediatamente precedente del “De poenitentia”, però anche questa è molto simile – dove il vescovo di Milano commenta, applicandola a se stesso, la parola che nel libro della Genesi uno dei 12 figli di Giacobbe, Giuda, riferisce a Tamar, che era la sua nuora rimasta vedova, una nuora molto intraprendente e spregiudicata nell’ottenere ciò che secondo lei era dovuto. Forse avete in mente questo episodio se no andate a leggerlo, è nel capitolo 38 della Genesi: Tamar si finge prostituta, è un episodio molto interessante! Beh, a un certo punto finisce questo episodio e Giuda dice, mentre stava per condannare la nuora :“Tamar è più giusta di me”. È interessante vedere l’applicazione che fa S. Ambrogio di questa frase. […..] Dove si vede anche la sua abilità di poeta: attraverso questo ritornello, infatti, questo concetto si conficca in noi, e forse sarà l’unica cosa che ricorderete di tutta questa riflessione: “Tamar è più giusta di me”.
Ancora un’osservazione di Biffi, dal testo della meditazione su conversione e rinnovamento proposta dal cardinale l’8 febbraio, davanti al personale dei vari dicasteri vaticani raccolti nell’Aula Paolo VI per prepararsi al Giubileo della curia romana: «La cultura in cui siamo immersi indubbiamente non favorisce l’insorgere in noi di un autentico pentimento. E non già perché – come di solito si dice – non ci sia più il senso del peccato: il moltiplicarsi delle accuse e delle denunce, l’indignazione sempre più diffusa per le prevaricazioni e le disonestà che arriviamo a scoprire, la ricerca delle responsabilità storiche dei personaggi e delle istituzioni, ci dicono che oggi il senso del peccato è acutissimo. Ma è il senso del peccato “altrui”; un’attenzione che può anche essere legittima, ma che per la nostra conversione e il rinnovamento personale non serve» [cf. http://www.30giorni.it/in_breve_id_numero_346_id_arg_32125_l1.htm#74812. ]