Uno dei più grandi esperti della letteratura monastica medioevale ci fornisce una chiave per gustare meglio il linguaggio dei testi della liturgia: alcune espressioni, di evidente ed esplicita ispirazione biblica, non possono essere classificate come citazioni vere e proprie. La seguente, invece, è semplicemente una citazione del suo capolavoro:
La memoria, tutta modellata dalla Bibbia, alimentata esclusivamente di parole bibliche e delle immagini che esse evocano, induce ad usare spontaneamente le espressioni del vocabolario biblico; le reminiscenze non sono citazioni, elementi di una frase assunti da un altro testo; sono parole proprie di chi le usa, appartengono a colui che scrive, che non ha forse nemmeno coscienza di essere debitore ad una fonte. Questo vocabolario biblico ha un doppio carattere. Anzitutto è spesso di natura poetica: ha talvolta più valore per la sua potenza evocativa che per la sua chiarezza o precisione; suggerisce più di quanto non dica. Ma proprio per questo è tanto più capace di esprimere l’esperienza spirituale, tutta soffusa di luce misteriosa, che sfugge ad ogni analisi. Inoltre questo vocabolario possiede più che precisione, una grande ricchezza di contenuto.
J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medio Evo, Firenze 1988, 97-98.