Nel post precedente abbiamo visto come la preghiera delle Offerte della Domenica XVI del tempo Ordinario ci inviti a contemplare in unità le tante tipologie di vittime e di sacrifici del culto di Israele e dell’Antico Testamento. Ma lo sguardo che la liturgia permette di allargare arriva ancora ben più giù, fino ad Abele:
O Dio, che nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo hai dato valore e compimento alle tante vittime della legge antica, accogli e santifica questa nostra offerta come un giorno benedicesti i doni di Abele, e ciò che ognuno di noi presenta in tuo onere giovi alla salvezza di tutti [Deus, qui legalium differentiam hostiarum unius sacrifici perfectione sanxisti, accipe sacrificium a devotis tibi famulis, et pari benedictione, sicut munera Abel, sanctifica, ut, quod singuli obutlerunt ad maiestatis tuae honorem, cunctis proficiat ad salutem].
Al proposito, prima di eventuali altre considerazioni, pensiamo sia interessante riprendere alcuni brani di una più articolata riflessione di J. Danielou, sul significato di Abele, nella Scrittura e nella liturgia.
Ora questo Abele, di cui la Scrittura e la Tradizione proclamano la santità, non appartiene al cristianesimo e nemmeno al giudaismo, ma a quel lontano periodo dell’umanità che ha preceduto l’uno e l’altro, e che, secondo l’espressione di san Paolo, Dio “non ha lasciato senza testimonianza” (At 14,17) della propria esistenza.
[…]
Abele non ha discendenti. Egli appare come estraneo alle varie generazioni che costituiscono la città terrena; e così prefigura Melchisedech, che pure è senza generazione. Egli appartiene a un’altra città. Costituisce un altro ordine. Mentre Caino inaugura la lunga serie dei persecutori, egli inaugura quella delle vittime, di coloro la cui prosperità non è carnale, ma spirituale. E’ il primo martire. Cristo stesso gli ha reso questa testimonianza e lo ha designato come prefigurazione, così come ha mostrato in Caino il prototipo dei persecutori della sua Chiesa: “Io vi invio profeti, dottori e scribi. Voi li ucciderete e crocifiggerete, affinché ricada su di voi tutto il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barcaccia (Mt 23,34-35). […] La morte di Abele introduce nella storia il mistero del sangue versato. La voce del sangue infatti parla: “La voce del sangue del tuo fratello grida a me dalla terra” (Gen 4,10). Questa voce del sangue reclama vendetta, non in nome della legge del clan, della vendetta della razza ma in nome del diritto di Dio violato. Il sangue appartiene infatti a Dio, e il sangue innocente, attraverso tutti i secoli, innalza a Dio la sua protesta. Abele morto continua a parlare, come dice la Lettera agli Ebrei (11,4). Questa voce si amplifica attraverso i secoli, è “quella di tutti coloro che sono stati immolati per la parola di Dio. Essi gridano con voce decisa: Fino a quando, o Maestro Santo e Venerabile, non farete giustizia e non richiederete il nostro sangue a tutti coloro che abitano sulla terra? (Ap 6,10). Tutto il sangue innocente versato “da quello di Abele fino a quello di Zaccaria” richiede l’espiazione. Questa espiazione si realizzerà alla fine dei tempi, per il sangue che sarà versato in riparazione di tutti i peccati degli uomini, “per il sangue dell’aspersione la cui voce coprirà la voce del sangue di Abele (Eb 13,24) e che otterrà il perdono del castigo dovuto ad ogni sangue versato dalle origini del mondo. Ma già la voce del sangue di Abele era la prefigurazione di questa voce, solo che essa nn giungeva che a Dio. Essa non attirava su Caino la vendetta, ma la grazia, perché gli strappava un grido di pentimento. La Scrittura attesta dunque che Abele è il primo di coloro che “hanno dato la vita per i loro fratelli” (1Gv 4,16).
Così alle origini della storia umana, in un mondo che è già quello del peccato, che non è ancora quello dell’alleanza giudaica, la Scrittura ci mostra che Dio ha già suscitato dei santi. Con la sua elezione, Abele è già la prima espressione della libertà delle scelte divine che accompagneranno tutta la storia della salvezza; con la sua morte egli appare come il primo martire e prefigura il sacrificio del Cristo. La liturgia ha dunque ragione di accordare un posto a colui il cui esempio attesta che Dio non ha mai lasciato senza soccorso, perché è dalle origini dell’umanità che appare questa misteriosa protezione che continuerà durante gli immensi periodi dell’alleanza cosmica e dell’umanità pagana.
J. Daniélou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 37-48.