Un salmo “trinitario”? La liturgia a scuola dei santi Padri. Brevissime note sull’uso liturgico dei Salmi.

«Tutta la tradizione antica dell’uso liturgico dei Salmi è fondata sul loro significato messianico. E’ quest’ultimo, infatti, che conferisce loro un valore per la comunità primitiva. Essa li ha adottati, lo abbiamo già detto, non per il loro valore religioso, né a causa del loro carattere ispirato, ma unicamente perché essa ha creduto che riguardassero il Cristo; tutto il loro impiego nella Chiesa si basa dunque su una portata messianica. Se tutto ciò non è vero, cioè che quanto attribuito ai Salmi non corrisponde alla realtà, il loro impiego liturgico risulta solamente per un simbolismo accomodaticcio e perde ogni significato dogmatico» (1).

Traiamo queste righe da alcune riflessioni di J. Daniélou sulla liturgia della festa dell’Ascensione, che presenta, lungo la storia, riferimenti ripetuti ad alcuni salmi particolari, i quali, dunque, sono stati letti e interpretati come salmi “propri” – diremmo noi – adatti alla festa, pregati e utilizzati nella liturgia dell’Ascensione perché considerati appunto testi profetici del mistero compiuto nella salita di Cristo, nella sua umanità risorta e glorioso, alla destra del Padre.

Analoghe considerazioni possiamo farle anche relativamente alla festa della Santissima Trinità. Vediamo.

A chi preghi anche l’Ufficio delle Letture con attenzione, non sfuggirà quest’anno una ripetizione sospetta: il Salmo 32 (33) Esultate, o giusti, forma la seconda e la terza sezione salmodica dell’Ufficio come pure il Salmo responsoriale della Messa. Non è una coincidenza del tutto casuale: nella nuova distribuzione del salmi, nelle solennità e nelle feste si tenne conto infatti di un principio tradizionale, ossia l’interpretazione teologica (di solito cristologica) dei salmi, considerati come rivelazione profetica dei misteri di Cristo e di Dio, e non solo come espressione dei sentimenti dell’orante.

Secondo i nostri criteri ermeneutici forse parrebbe una forzatura, ma ai Padri non sfuggì che nel salmo, e in particolare nel versetto 6, vi era adombrata l’opera della Trinità: Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera [Verbo Domini caeli firmati sunt: et spiritu oris eius omnis virtus eorum].

Se questo è vero – e lo è, lo vedremo in un successivo post – la Chiesa in questa solennità non prega il salmo 32 solamente per la liricità di questo inno, per la sua bellezza e per i sentimenti di lode che esprime, ma anche perché vi legge una rivelazione – seppure incipiente e ancora profeticamente velata – del Mistero della Trinità!

Ne era certo, ad esempio, sant’Agostino:

Ascolta come unica sia l’opera del Figlio e dello Spirito Santo. Il Verbo, non v’è dubbio, è il Figlio di Dio, e lo Spirito della sua bocca è lo Spirito Santo. Col Verbo, cioè con la parola del Signore i cieli furono consolidati. Ma che cosa significa essere consolidati, se non avere stabile e solida fortezza? E dallo Spirito della sua bocca tutta la loro fortezza. Si potrebbe anche dire: con lo Spirito della sua bocca i cieli furono consolidati e dal Verbo del Signore tutta la loro fortezza. Perché tutta la loro fortezza è lo stesso che dire furono consolidati. Questo fanno il Figlio e lo Spirito Santo. Forse lo hanno fatto senza il Padre? Ma chi opera per mezzo del suo Verbo e del suo Spirito, se non Colui di cui è il Verbo e lo Spirito?. Questa Trinità è dunque un solo Dio, adorato da chi sa adorare, e che ha ovunque chi a Lui si converte.

Sant’Agostino, Esposizione III sul Salmo 32, 5: http://www.augustinus.it/italiano/esposizioni_salmi/index2.htm

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(1) J. Daniélou, Bibbia e Liturgia. La teologia biblica dei Sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Roma 1998, 277; cf., anche, ID., «Les Psaumes dans la liturgie de l’Ascension», LMD 21(1950) 40-56.

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