Forse non molti presteranno attenzione al fatto che in questi giorni la Liturgia della Parola ci offre molteplici attestazioni della rilevanza della figura di Barnaba e del suo ruolo decisivo nella vita della primitiva Chiesa; eppure, la bontà di questo levita convertito, che avrà delle conseguenze impressionanti per il cristianesimo, ci è più volte annunciata, con una frequenza curiosa.
Vediamo meglio:
Mercoledi 28 aprile (feria IV, IV settimana di Pasqua), la prima lettura (At 11,19-26) ci narrava come Barnaba fu inviato dalla Chiesa di Gerusalemme ad Antiochia, alla notiza delle prime conversioni di Greci pagani. Il testo annota che l’esito positivo della missione fu possibile perché Barnaba era uomo virtuoso e pieno di Spirito Santo. Pare tuttavia che non considerò compiuta la sua missione: infattò andò a Tarso a cercare Paolo, per poi tornare ad Antiochia con lui, fermandosi in quella comunità un anno intero.
Il legame fra Barnaba e Paolo risaliva a tempo prima, quando fu proprio Barnaba ad introdurre Paolo nella comunità madre di Gerusalemme. Di nuovo spicca in questo episodio la grande apertura d’animo del nostro cipriota, che non guarda Paolo nel suo passato di persecutore, ma ha il coraggio e la fede di vederlo come fratello e futuro collaboratore. Questo lo leggiamo in Atti 9,26-31, che sarà, in quest’anno B, la prima lettura della VI domenica di Pasqua.
Così, in questi giorni fra la IV e la V settimana di Pasqua, il Lezionario liturgico ci fa vivere una sorta di “ora” di Barnaba, parafrasando una geniale intuizione di Benedetto XVI, che così parla di lui, in una sua catechesi sui collaboratori di Paolo:
Barnaba significa «figlio dell’esortazione» (At 4,36) o «figlio della consolazione» ed è il soprannome di un giudeo-levita nativo di Cipro. Stabilitosi a Gerusalemme, egli fu uno dei primi che abbracciarono il cristianesimo, dopo la risurrezione del Signore. Con grande generosità vendette un campo di sua proprietà consegnando il ricavato agli Apostoli per le necessità della Chiesa (cfr At 4,37). Fu lui a farsi garante della conversione di Saulo presso la comunità cristiana di Gerusalemme, la quale ancora diffidava dell’antico persecutore (cfr At 9,27). Inviato ad Antiochia di Siria, andò a riprendere Paolo a Tarso, dove questi si era ritirato, e con lui trascorse un anno intero, dedicandosi all’evangelizzazione di quella importante città, nella cui Chiesa Barnaba era conosciuto come profeta e dottore (cfr At 13,1). Così Barnaba, al momento delle prime conversioni dei pagani, ha capito che quella era l’ora di Saulo, il quale si era ritirato a Tarso, sua città. Là è andato a cercarlo. Così, in quel momento importante, ha quasi restituito Paolo alla Chiesa; le ha donato, in questo senso, ancora una volta l’Apostolo delle Genti. Dalla Chiesa antiochena Barnaba fu inviato in missione insieme a Paolo, compiendo quello che va sotto il nome di primo viaggio missionario dell’Apostolo. In realtà, si trattò di un viaggio missionario di Barnaba, essendo lui il vero responsabile, al quale Paolo si aggregò come collaboratore, toccando le regioni di Cipro e dell’Anatolia centro-meridionale, nell’attuale Turchia, con le città di Attalìa, Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe (cfr At 13-14). Insieme a Paolo si recò poi al cosiddetto Concilio di Gerusalemme dove, dopo un approfondito esame della questione, gli Apostoli con gli Anziani decisero di disgiungere la pratica della circoncisione dall’identità cristiana (cfr At 15,1-35). Solo così, alla fine, hanno ufficialmente reso possibile la Chiesa dei pagani, una Chiesa senza circoncisione: siamo figli di Abramo semplicemente per la fede in Cristo.
I due, Paolo e Barnaba, entrarono poi in contrasto, all’inizio del secondo viaggio missionario, perché Barnaba era dell’idea di prendere come compagno Giovanni Marco, mentre Paolo non voleva, essendosi il giovane separato da loro durante il viaggio precedente (cfr At 13,13; 15,36-40). Quindi anche tra santi ci sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché vediamo che i santi non sono “caduti dal cielo”. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono. E così Paolo, che era stato piuttosto aspro e amaro nei confronti di Marco, alla fine si ritrova con lui. Nelle ultime Lettere di san Paolo, a Filèmone e nella seconda a Timoteo, proprio Marco appare come “il mio collaboratore”. Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi. E tutti possiamo imparare questo cammino di santità. In ogni caso Barnaba, con Giovanni Marco, ripartì verso Cipro (cfr At 15,39) intorno all’anno 49. Da quel momento si perdono le sue tracce. Tertulliano gli attribuisce la Lettera agli Ebrei, il che non manca di verosimiglianza perché, essendo della tribù di Levi, Barnaba poteva avere un interesse per il tema del sacerdozio. E la Lettera agli Ebrei ci interpreta in modo straordinario il sacerdozio di Gesù.
Benedetto XVI, Udienza generale, 31/01/2007
per il testo completo: cf. http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20070131.html.