Non si tratta di una preghiera liturgica in senso tecnico, non è eucologia quella che segue: comunque è un capolavoro di rilettura e attualizzazione della Scrittura, ridetta a modo di supplica. Solo un grande come il vescovo Ambrogio poteva mettere insieme Mt 18, Lc 15 e Gv 10 in una preghiera così lirica ed efficace. Tutto parte dal salmo 118 (secondo la numerazione della Vulgata). Appunto nelle pagine finali del suo Commento al Salmo 118, dal versetto 176 l’orizzonte si allarga fino al Nuovo Testamento, e poi indietro fino ad Adamo e poi su su fino alla gioia del Cielo.
Una buona lettura, in vista della IV Domenica di Pasqua:
Vieni, dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora spossata. Vieni, pastore, cerca, come cercava le pecore Giuseppe. E’ andata errando la tua pecora, finché Tu indugiavi, finché Tu ti intrattenevi sui monti. Lascia stare le tue novantanove pecore e vieni a cercare quell’una che è andata errando. Vieni senza i cani, vieni senza rudi salariati, vieni senza il mercenario che non sa passare attraverso la porta. Vieni senza aiutante, senza intermediari, ché è già da tanto tempo che sto aspettando la tua venuta. So che stai per venire, se è vero che non ho scordato i tuoi comandamenti. Vieni, ma senza bastone; con amore invece e con atteggiamento di clemenza.
Non esitare ad abbandonare sui monti le tue novantanove pecore, perché, fin che stanno sui monti, non subiscono gli attacchi dei lupi rapaci. […] Vieni piuttosto da me, che sono oppresso dall’attacco dei lupi feroci. Vieni da me che, scacciato dal paradiso, subisco da un pezzo i morsi del veleno nella piaga provocata dal serpente; da me che sono andato errando lontano da quel tuo gregge sui monti. Perché anch’io ero stato collocato da Te lassù, ma il lupo della notte mi ha distolto dai tuoi ovili. Cerca me, perché io ricerco Te. Cercami, trovami, sollevami, portami. Tu puoi trovare quello che ricerchi. Tu accetti di prendere su di te quello che hai trovato; di porre sulle tue spalle quello che hai accolto. Non ti dà noia un peso d’amore, non ti è di peso un trasporto che sa di giustizia. Vieni dunque, o Signore, se è vero che, anche se posso aver errato, non ho però scordato i tuoi comandamenti. Vieni, o Signore, perché Tu sei l’unico che possa far tornare indietro una pecora vagabonda, senza far rattristare quelli che hai lasciato. Perché anche loro si rallegreranno del ritorno del peccatore. Vieni ad operare la salvezza sulla terra, la gioia in Cielo.
Vieni, dunque, e cerca la tua pecora; ma non farla cercare dai servitori o dai mercenari; cercala tu di persona! Accogli me con quella carne che è caduta in Adamo. […] Portami sulle spalle della croce, che è salvezza degli erranti, nella quale sola trova riposo chi è stanco, nella quale sola trova vita l’uomo che muore. (XXII,28-30)La pecora, che Egli chiama errante, è la centesima: la perfetta interezza di questo numero è di per se stessa istruttiva e significativa. E non senza ragione quella pecora viene preferita a tutte le altre, perché vale di più l’essersi sottratti al vizio che l’averne quasi ignorata l’esistenza. Per chi è stato alla scuola del vizio, liberare l’animo dai ceppi dei desideri ed essere riusciti a correggerlo, è segno non solo di perfetta virtù, ma anche di benevolenza celeste. E difatti, correggersi per il futuro è possibile all’uomo che si impegni, ma rimettere il passato è possibile solo alla potenza di Dio. Tant’è vero che quella pecora, una volta trovata, viene issata sulle spalle del pastore. Tu puoi vedere qui in forma certa il misterioso modo con cui viene rianimata la pecorella stanca, dal momento che la condizione umana così stanca non può essere rianimata alla vita se non grazie al sacro segno della Passione del Signore e del sangue di Cristo, di cui il principio sta sulle sue spalle. Su quella croce infatti Egli ha sorretto le nostre debolezze, per cancellare i peccati di tutti. (XXII,3)
Ambrogio di Milano, Commento al Salmo 118. Edizione: Sant’Ambrogio, Tutte le opere di sant’Ambrogio, 10, Opere esegetiche VIII/II, Commento al Salmo 118/2, ed. L. F. Pizzolato, Milano Roma 1987.