La “polvere” quaresimale, a chi deve essere ricordata? La liturgia risponde, a suo modo: incredibili capovolgimenti a partire da un Inno della liturgia delle ore.

Dopo averlo pregato per tutta la quaresima, ci apprestiamo a congedare l’inno Precemur omnes cernui, nella versione italiana conosciuto con l’incipit “Nella santa assemblea”. Si deve riconoscere che la recitazione corale prolungata rende familiare e gradito il testo italiano, il quale, tuttavia, non pare proprio una traduzione fedele dell’originale latino di riferimento. Non vogliamo mettere in discussione, un’altra volta, il valore delle traduzioni, che del resto in questo non sembra nemmeno tanto malriuscita (1), quanto piuttosto far risaltare meglio il retroterra biblico soggiacente al testo latino, forse meno apprezzabile nella nuova versione in italiano: in quest’ultimo aspetto non siamo del tutto d’accordo nella valutazione del lavoro del traduttore quando Lodi afferma: “In questi settenari si rispecchia assai fedelmente la tematica penitenziale del testo originale” (2). Crediamo che le risonanze bibliche che echeggiano in alcuni stichi dell’inno liturgico siano assai ben più ricche e sorprendenti: ci riferiamo a quella parte del testo in cui per un attimo la considerazione delle proprie colpe diventa, quasi paradossalmente, maggiore audacia nell’invocare una clemenza particolare, per suscitare, in Dio, una nuova iniziativa di amore.

Memento quod sumus tui, licet caduci, plasmatis; ne des honorem nominis tui, precamur, alteri. [Non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria. / Ricorda che ci plasmasti col soffio del tuo Spirito: siam tua vigna, tuo popolo e opera delle tue mani.]

In vari passi della Bibbia l’orante si arrende definitivamente, confessando l’invincibilità delle proprie colpe e, in tal modo, affidandole ultimamente a Dio: la fragilità umana è un dato di fatto, quasi connaturale, ma tale umile riconoscimento è tutt’altro che pessimismo inquietante. Pare, infatti, che proprio una tale confessione di impotenza permetta un’ultima audacia: tu ci hai fatti, Signore! Siamo opera delle tue mani, “ricordati che come argilla mi hai plasmato” (Gb 10,9). La confessione della fragilità diventa una supplica che rende necessario e indispensabile l’intervento misericordioso di Dio (3). Ne va del suo onore! Di fronte alla pervicace perversione di Israele, le grandi preghiere penitenziali di Baruc e di Daniele si appoggiano sulla grandezza di Dio per muoverlo alla compassione: agisci per il tuo nome, difendi la tua gloria: “Non ricordare le ingiustizie dei nostri padri, ma ricordati ora della tua potenza e del tuo nome, poiché tu sei il Signore, nostro Dio, e noi ti loderemo, Signore” (Bar 3,5-6); “Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, perché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo” (Dan 9,19). Anche in alcuni passi del profeta Isaia si trovano simili contenuti, e proprio dal profeta Isaia il traduttore italiano pare abbia preso le parole di alcuni stichi dell’inno: “Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. […] Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo? (Is 64,7-8.11). Un altro grande intercessore osò di più: insinuò che abbandonare alla sua invincibile malvagità il popolo avrebbe significato per Dio una pessima fama, non consona alla sua santa dignità: “Ora, se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama diranno: ‘Siccome il Signore non riusciva a condurre questo popolo nella terra che aveva giurato di dargli, li ha massacrati nel deserto’. Ora si mostri grande la potenza del mio Signore” (Nm 14,15-17a) (4). E sembra davvero che Dio “tenga” alla sua fama, se per bocca di Isaia dice più volte: “Io sono il Signore: questo è il mio nome; non cederò la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli” (Is 42,8); “Per riguardo a me, per riguardo a me lo faccio; altrimenti il mio nome verrà profanato. Non cederò ad altri la mia gloria” (Is 48,11). Si dovrebbe approfondire l’indagine anche relativamente all’espressione “caduci” [licet caduci, plasmatis], ma ciò allungherebbe eccessivamente questo semplice post. Ci piace, piuttosto, ritornare a sottolineare la prodigiosa libertà con cui la liturgia sceglie le parole della Scrittura, ridicendole in altri modi: qui la confessione della fragilità diventa invocazione, e la preghiera “ricorda” a Dio le sue stesse parole, che in bocca al penitente che protesta la sua umiltà, sono sicura garanzia di salvezza. All’inizio della Quaresima, la preghiera della Chiesa ci ricordava la nostra caducità e il nostro essere polvere [memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris]; ebbene, per chi ha potuto ascoltare ogni giorno le parole della preghiera innodica e le ha fatte sue meditandole e approfondendole, può verificarsi un curioso capovolgimento: ora si può ricordarla a Dio, la nostra fragilità, e fare della propria polvere una preghiera fiduciosa e un appiglio, un pretesto ed un’occasione perché Dio si muova a salvezza. Un umile penitente, a cui è stato ricordato il suo essere polvere, può ora ricordarlo a Dio: guarda, Signore, sono polvere: ricordartelo! E salvami!

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(1) “Meritano attenzione due passaggi felici. Il primo è l’inserzione dello Spirito Santo nella terza strofa (‘Ricorda che ci plasmasti con il soffio del tuo Spirito’), mentre nel latino esiste solo una frase (‘ne des honorem nominis tui, praecamur alteri’) che ha trovato un’elegante versione:'”Non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria’. L’altro è la menzione dell’iter pasquale (‘guidaci con la tua grazia alla vittoria pasquale’), che pure manca nel latino. Dunque si deve riconoscere un arricchimento nel testo italiano.”: E. Lodi, “L’innario della liturgia oraria nell’opera poetica di L. Gherardi”, in La cupola fra le torri. Scritti per mons. Luciano Gherardi nel 50° di ordinazione sacerdotale, G. Matteuzzi – S. Ottani (edd.), Bologna 1992, 108.

(2) Ibid.

(3) Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere [ipse cognovit figmentum nostrum. Recordatus est quoniam pulvis sumus]: Sal 103(102),13-14. Cf. anche Sal 89(88),47-48: Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto: per sempre? Arderà come fuoco la tua collera? Ricorda quanto è breve la mia vita: invano forse hai creato ogni uomo?

(4) Cf. anche Dt 9,26-29: Pregai il Signore e dissi: ‘Signore Dio, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai riscattato nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo e alla sua malvagità e al suo peccato, perché la terra da dove ci hai fatto uscire non dica: Poiché il Signore non era in grado di introdurli nella terra che aveva loro promesso e poiché li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto. Al contrario, essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu hai fatto uscire dall’Egitto con grande potenza e con braccio teso”.

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Infine, può essere interessante guardare alcune altre traduzioni della nostra strofa: Erinnere dich, daß wir deine, wenn auch hinfälligen, Geschöpfe sind, und gib die Ehre deines Namens, wir bitten dich, nicht dem andern preis.

Ricorda che, benché fragili, siamo opera delle tue mani; ti preghiamo: non dare ad altri l’onore del tuo nome. (Sebbene tanto deboli noi siamo tuoi, ricordati: ad altri Tu non cedere del nome tuo la gloria).

Remember we belong to you though members of the fallen flesh; do not we pray to others give the signal glory of your name. (Remember Lord though frail we be that yet thine handiwork are we. Nor let the honor of thy name be by another put to shame).

Souvenez-vous de vos travaux. Car, tombés nous restons votre œuvre. Veuillez ne pas céder à l’Autre la gloire due à votre Nom.

L’espressione francese “Souvenez-vous de vos travaux” ci fa ritornare in mente una strofa del Dies Irae: Quarens me, sedisti lassus, redemisti Crucem passus: tantus labor non sit cassus. Ma ora dobbiamo proprio fermarci!

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