“La liturgia della Parola ha anch’essa una sacramentalità? Senza dubbio, anche se non identica a quella dell’Eucaristia. Quindi anch’essa in qualche modo verifica sul piano dell’efficacia salvifica quanto indica. Sarà opportuno in proposito ricordare un testo della Dei Verbum: Nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e prende della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla Sacra Scrittura ciò che è stato detto: ‘Vivente ed efficace è la parola di Dio’ (Eb 4,12) ‘che ha a forza di edificare e dare l’eredità fra tutti i santificati’ (At 20,32; cf 1Ts 2,13). La parola esprime tutte le realtà dell’ordine salvifico e, quindi, in qualche modo le rinnova. Anche la parola ha carattere analettico in quanto ricorda i misteri della salvezza e li rende oggetto di esperienza vitale, dando loro una specie di ripresentazione sacramentale”: V. Raffa, “Parola ed Eucaristia”, in Mysterion. Nella celebrazione del Mistero di Cristo la vita della Chiesa. Miscellanea liturgica in occasione dei 70 anni dell’Abate Salvatore Marsili (Quaderni di Rivista Liturgica, Nuova Serie 5), Leumann (TO) 1981, 342-343.
In verità, ogni tempo, o carissimi, tiene viva negli animi dei cristiani l’attenzione sul sacramento della passione e della risurrezione del Signore, e altro dovere non ha la nostra religione se non quello di celebrare la riconciliazione del mondo e l’assunzione in Cristo della natura umana. Ma questo è il momento opportuno perché tutta la Chiesa sia istruita per una maggiore capacità di comprendere; perché sia accesa da una più fervida speranza, ora che proprio la grandezza di quelle realtà viene espressa dalla ricorrenza dei giorni sacri e dalle pagine autentiche del vangelo (quando ipsa rerum dignitas, ita sacramentorum dierum recursu et paginis evangelicae veritatis exprimitur), così che la Pasqua non sia ricordata come un evento passato, ma sia celebrata come una realtà presente (ut Pascha Domini non tam praeteritum recoli quam praesens debeat honorari). Che lo sguardo della nostra fede non vada cercando altro se non ciò che riguarda la croce di Gesù Cristo, e nessun dettaglio messo in luce dalla narrazione del vangelo sia accolto con orecchio indifferente. […] Noi, non allontanandoci in nulla dalle testimonianze dei vangeli e degli apostoli, facciamoci forti della conoscenza di coloro che ci hanno trasmesso l’insegnamento sicuro della loro esperienza, in modo da poter dire con venerazione e fermezza che in loro anche noi siamo stati istruiti, che quanto essi hanno veduto noi pure l’abbiamo visto, quanto essi hanno appreso, quanto hanno toccato con mano noi pure abbiamo toccato; e così non rimaniamo turbati nella passione del Signore dal momento che non ci siamo ingannati riguardo alla generazione. Sappiamo infatti, carissimi, e con tutto il cuore professiamo, che una è la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e che l’essenza consustanziale dell’eterna Trinità non ha in sé alcuna divisione né diversità, poiché è insieme temporale, immutabile, e non lascia di essere ciò che è. Ma pure in questa unità ineffabile della Trinità, le cui opere e giudizi sono sempre comuni, la restaurazione del genere umano l’ha assunta in proprio la persona del Figlio. E ciò perché Egli, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose e nulla è stato fatto senza di lui, Egli che animò con il soffio della vita razionale l’uomo plasmato dal fango della terra, potesse restituire alla dignità perduta la nostra natura precipitata dal baluardo sicuro dell’eternità e potesse essere anche il restauratore di ciò di cui era anche il creatore. Portò a compimento il suo disegno in modo tale che, per distruggere il dominio del demonio, si servì più della giustizia della ragione che del potere della forza. […] Il Figlio della beata Vergine è infatti l’unico ad essere nato senza colpa, non estraneo al genere umano, ma alieno dal peccato. In lui era perfetta l’innocenza e vera la natura dell’essere creato ad immagine e somiglianza di Dio, venendo all’esistenza dalla stirpe di Adamo come il solo in cui il demonio non trovò nulla da considerare suo. Anzi, dal momento che infierì su di lui, ma non poté sottometterlo alla legge del peccato, perse il diritto all’empia dominazione. L’effusione del sangue del giusto per gli ingiusti fu infatti così potente per ottenere il condono, fu così preziosa per il riscatto che se tutta la moltitudine di coloro che sono in schiavitù credesse nel suo Redentore, nessuno sarebbe più trattenuto dai vincoli del tiranno poiché, come dice l’Apostolo, dove abbondò il peccato, sovrabbondò anche la grazia. Leone Magno, Sermo 51 (De passione dominica 13): edizione: Leone Magno, I Sermoni sul mistero pasquale (Biblioteca Patristica 38), E. Montanari – E. Cavalcanti (edd.), Bologna 2001, 266 ss.
Ciò che Cristo operò, non lo operò soltanto per quelli che aveva davanti a sé allora, ma anche per noi che saremmo venuti dopo, cosicché i nostri antenati, che pure ci precedevano nel tempo, non ci precedessero nella grazia dei segni. Quella potenza, che fu loro manifestata nei miracoli compiuti nel presente, quella stessa potenza ci fu conservata nel tesoro delle Scritture, affinché la pagina ci offrisse ciò che per loro la realtà storica produceva e, anzi, si verificasse per noi tutto quanto dallo specchio persuasivo delle Scritture veniva dettato (Christus enum quod operatus est non illis tantum operatus est, quos habebat tunc praesentes, sed et nobis posta secuturis, ut licet maiores nostri tempore nos pracederent, tamen signorum gratia non praeirent. Quae enim illusi exhibita est prasentiarum in mirabilibus virtus, eadem virtus nobis est litteram thesauro conservata, ut nobis prestare pagina quod illusi gerebat historia, immo nobis geretur quidquid nobis insinuante scripturarum speculo dictaretur; et potenti Domini, qua illi carnalibus oculis cernerent, nos spiritali lumine videremus): Massimo di Torino, Sermone 103: edizione: Massimo di Torino, Sermoni liturgici (Letture cristiane del primo millennio 28), M. Mariani Puerari (ed.), Milano 1999, 351-352; cf. CCL 23, 409).