I trucchi della madre di Giacobbe e i guanti del vescovo: che tipo, quel Guglielmo Durand!

La Liturgia ci permette di compiere viaggi inaspettati e di cogliere relazioni fra l’Uno e l’Altro Testamento, e di ritrovarne attualizzazioni nelle celebrazioni. Talvolta, tuttavia, si esagera, cadendo in un’interpretazione che pare forzata, o comunque non riconducibile alla grande Tradizione. Generalmente, si deve essere abbastanza prudenti nel valutare dati che comunque la Chiesa ha assunto, almeno per alcuni periodi, eppure si può notare la differenza fra le intuizioni dei grandi Padri e le formule di qualità e contenuto meno rilevante.

Ci è capitato di prestare attenzione alla preghiera che accompagnava, nel segmento rituale della cosiddetta “traditio delle insegne”, l’imposizione dei guanti al neo-consacrato nel rito di ordinazione episcopale: si tratta di un testo che compare la prima volta nel Pontificale di Guglielmo Durand (fine del XIII secolo), e arriva fino al Vaticano II.

Ecco il testo, con una nostra traduzione italiana:

Circumda, Domine, manus huis ministri tui munditia novi hominis qui de coelo descendit, ut, quemadmodum Iacob dilectus tuus, pelliculis edorum opertis manibus, paternam benedictionem, oblato patri cibo potuque gratissimo, impetravit, sic et iste, oblata per manus suas hostia salutari, gratiae tuae benedictionem impetrare mereatur. Per Dominum” (PGD I, XIV,60)

Circonda, o Signore, le mani di questo tuo ministro, con la purezza dell’uomo nuovo che discende dal cielo, e come il tuo diletto Giacobbe, rivestite le mani di pelli di capretti ottenne la benedizione paterna, dopo aver offerto cibo e bevanda assai gradito, così anche codesto, quando offrirà con le sue mani la vittima di salvezza, meriti di ottenere la benedizione della tua grazia.

Davvero sorprendente l’accostamento fra i guanti del neo-vescovo e gli accorgimenti suggeriti a Giacobbe dalla madre. Rivediamo il testo della Genesi: Rebecca disse al figlio Giacobbe: “Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: “Portami della selvaggina e preparami un piatto, lo mangerò e poi ti benedirò alla presenza del Signore prima di morire”. Ora, figlio mio, da’ retta a quel che ti ordino. Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io preparerò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre, che ne mangerà, perché ti benedica prima di morire”. Rispose Giacobbe a Rebecca, sua madre: “Sai bene che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi toccherà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione”. Ma sua madre gli disse: “Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu dammi retta e va’ a prendermi i capretti”. Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. Rebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo (pelliculasque hedorum circumdedit manibus…). Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. Così egli venne dal padre e disse: “Padre mio”. Rispose: “Eccomi; chi sei tu, figlio mio?”. Giacobbe rispose al padre: “Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Àlzati, dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica”. Isacco disse al figlio: “Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!”. Rispose: “Il Signore tuo Dio me l’ha fatta capitare davanti”. Ma Isacco gli disse: “Avvicìnati e lascia che ti tocchi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no”. Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: “La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù”. Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: “Tu sei proprio il mio figlio Esaù?”. Rispose: “Lo sono”. Allora disse: “Servimi, perché possa mangiare della selvaggina di mio figlio, e ti benedica”. Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: “Avvicìnati e baciami, figlio mio!”. Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse (Gen 27,6-27).

Il tema principale della preghiera è quindi tratto dall’episodio curioso della vicenda familiare dei patriarchi, composto però insieme ad altri riferimenti biblici, legati apparentemente dall’idea del “rivestire”. Si tratta del passaggio della lettera agli Efesini: “..abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente, e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità…” (4,22-24). Potrebbe essere inteso anche un riferimento a 1Cor 15,47 (“il secondo uomo viene dal cielo”).

La preghiera accosta quindi temi diversi, associando le pelli di capretti e i guanti del vescovo. Risulta difficile trovarne una traccia nella tradizione anteriore: pare invece che si tratti di una ricerca di qualche passaggio scritturale a sostegno di un gesto che, anch’esso, rappresenta una novità. Non possiamo adesso entrare in una questione più complessa quanto quello del progressivo arricchimento cerimoniale della liturgia di ordinazione (1). Si voleva solamente evidenziare l’ardita interpretazione suggerita dalla preghiera liturgica, che tuttavia non convince più di tanto e che, soprattutto, non appare fondata in una tradizione consolidata, nè all’interno della Scrittura stessa nè, a quanto ne sappiamo, nelle pagine dei Padri. Non sembrerebbe quindi che si possa parlare, in questo caso, di tipologia.

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(1) Cf., a proposito, lo studio di A. Lameri, La Traditio Instrumentorum e delle insegne nei riti di ordinazione (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” “Subsidia” 96), Roma 1998.

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